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L'Unione informa |
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22 aprile 2009 - 28 Nisan 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano
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Nel
primo capitolo di Avòt che abbiamo letto questo shabbàt, Yosè ben
Yoèzer dice: “Sia la tua casa un luogo di riunione per i chakhamìm,
impolverati alla polvere dei loro piedi e bevi come un assettato le
loro parole”. Yosè ben Yoèzer vive nell'epoca della dominazione
ellenistica in Eretz Israel, nel periodo di maggiori persecuzioni e di
più alta assimilazione. La ricetta che propone per la sua epoca è una
dose massiccia di Torà e di ebraismo che possa far fronte a una
fortissima influenza esterna. La nostra epoca non è molto diversa, a
parte le persecuzioni, da quella di Yosè ben Yoèzer ma quello che viene
spesso proposto per il recupero di un'identità ebraica spesso molto
affievolita è la ricerca di qualche flebile elemento ebraico da trovare
nel cinema e nella letteratura ebraico-americana o israeliana. Yosè ben
Yoèzer giudicherebbe tutto ciò inadeguato. |
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Yom
ha-Shoà a Manhattan si celebra alla sinagoga di Shaarei Zedek
nell'Upper West Side come nel Beit Emanuel dell'Upper East Side allo
stesso modo: alla presenza di centinaia di sopravvissuti. Assistono a
discorsi e preghiere in silenzio, senza tradire commozione, ma poi
cantano in yiddish con voce ferma, determinata, sulle note dei
combattenti del Ghetto di Varsavia. Sono circondati da figli, nipoti e
bisnipoti. Sono gli eroi del popolo ebraico. |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Durban 2 - Diario
Badge
sì, badge no: il grande gioco dell’accreditamento alle Nazioni Unite
domina questo secondo giorno della Conferenza di Durban 2, e di ora in
ora si fatica davvero a capire il valore del tesserino che abbiamo al
collo. Dunque: a seguito delle vivaci proteste del primo giorno contro
Ahmadinejad, il personale dell’ONU decide di togliere l’accreditamento
all’intera delegazione dell'European Union of Jewish Students ( EUJS).
Ma la Conferenza è appena iniziata, e quell’organizzazione risulta
iscritta regolarmente come ONG all’interno del Comitato Economico e
Sociale dell’ONU. E soprattutto la protesta è stata pacifica e festosa.
Si negozia, quindi, per tutta la mattinata; finalmente viene raggiunto
il compromesso, e a patto che siano banditi cartelli e nuove proteste
dentro la sede siamo riammessi alla Conferenza. Funziona davvero,
allora, questa diplomazia! Non per molto, però, perché nel frattempo i
giovani ebrei francesi hanno organizzato una propria delegazione e,
giunti in forza a Ginevra, inscenano nel pomeriggio una nuova protesta
nell’ormai tipico stile “pagliaccesco” nella grande hall centrale.
Stavolta la sicurezza interna non è più disposta a tollerare, ed i
protagonisti della protesta vengono molto gentilmente accompagnati
all’uscita, non prima di essere identificati uno ad uno. Risultato:
poche ore dopo, l’accreditamento della EUJS viene nuovamente sospeso. E
come spiegare, ora, a un personale un po’ confuso da un mare di sigle
similari di ONG che no, noi non rappresentiamo l’UEJF (Union des
étudiants juifs de France), ma la EUJS, e che meno ancora c’entrano
l’AJC (American Jewish Committee), la WUJS (World Union of Jewish
Students) o l’EJC (European Jewish Congress) e così via. E sì
alcuni di noi discutono correntemente in francese, ma non veniamo da
Marsiglia, né da Lione, o da Grenoble, né le ragazze conservano scorte
di parrucche colorate nelle borse. Un po’ troppo complicato, in
effetti, e dunque di nuovo niente badge per entrare dentro l’ONU. Poco
male, in ogni caso. Perché nel pomeriggio è da giorni prevista la
manifestazione fuori dal palazzo assieme ai rifugiati dal Darfur per
riportare di nuovo l’attenzione del mondo su quella tragedia, su quel
nuovo genocidio di cui troppo poco si parla, e contro il quale la
comunità internazionale ancora esita a prendere iniziative forti, anche
in questa sede. Non è la prima manifestazione convocata da
un’organizzazione ebraica per sostenere questa causa, con in testa ben
chiaro il messaggio del “Mai più” reiterato ancora una volta nel giorno
della commemorazione della Shoà; ma fa davvero un bell’effetto vedere
uomini e donne in costumi tradizionali africani manifestare
festosamente insieme a tanti giovani europei, israeliani e americani. E
poco male, in fondo, anche perché poco dopo giunge la notizia che – un
po’ a sorpresa – gli Stati presenti hanno raggiunto il
compromesso sul documento finale della Conferenza, una risoluzione
depurata dai riferimenti più oltraggiosi nei confronti d’Israele, che
afferma senza remore l’importanza della memoria della Shoà nel quadro
della lotta al razzismo e che sembra aver risolto persino la spinosa
questione della diffamazione delle religioni, anche se rimane
inalterato il primo paragrafo che riconferma la validità dell’intero
documento adottato nel 2001. Si può discutere, a questo punto, se la
scelta di boicottare dal principio la Conferenza sia stata la più
saggia, o se non sia stata più azzeccata la strategia di un lavoro «
dall’interno » adottata da molti Paesi europei. Rimane poco chiaro, in
ogni caso, quali altri lavori svolgerà la Conferenza nei tre giorni
restanti di convocazione, dato che sembra che il testo concordato non
sia più aperto ad ulteriori emendamenti. La seconda giornata, per noi
studenti, si chiude infine con un grande barbecue in un incantevole
parco di Ginevra. Animato, neanche a dirlo, da uno spettacolo di magia.
Niente contestatori, tuttavia: almeno per questa volta, i clown sono
artisti veri.
Simone Disegni |
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pilpul |
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Durban 2 - Vignetta
Dal Jerusalem Post del 22 aprile 2009 |
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rassegna stampa |
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Ancora
tanta cronaca e tante riflessioni da Ginevra, da questo rito assurdo e
rivelatore di “Durban 2”, sinistramente intrecciato con la sofferenza
di Yom ha Shoah. Tutto come da copione. Se volessimo limitarci
agli aspetti esteriori basterebbe usare questa espressione. Secondo il
copione il violento attacco a Israele da parte di Ahmadinejad:
conoscendo il personaggio e le sue precedenti uscite, c’era forse da
aspettarsi un discorso diverso? Secondo il copione l’atteggiamento dei
Paesi arabi e quello degli Stati europei: l’allineamento sostanziale
degli uni e la plateale e annunciata uscita di sala degli altri erano
del tutto prevedibili e di fatto preannunciati. Ciononostante, è stato
bello vedere la Ue per una volta unita nel rifiutare con gesto deciso e
d’effetto l’accanimento fanatico del leader iraniano; quella passerella
di delegati che uscivano dalla sala ha rappresentato un vero e proprio
schiaffo politico dell’Europa a un antisionismo-antisemitismo che
offende i valori della civiltà occidentale. Anche se, come giustamente
nota Fiamma Nirenstein sul Giornale,
questa decisione è durata non più di dodici ore, visto che poi tutti –
tranne la Repubblica Ceca – hanno ripreso il proprio posto nella
Conferenza. Ma se andiamo oltre e proviamo a gettare uno sguardo
dietro e dopo il “copione” della rappresentazione mediatica, allora il
discorso si fa più difficile, problematico, intrigante. Su questo
scenario provano ad affacciarsi sui giornali di oggi alcuni analisti,
proponendoci visioni differenti e portandoci a riflettere sulle
prospettive che a questo punto possono dischiudersi, sull’eredità
effettiva o presunta di questa Conferenza di Ginevra. Forse sfuggente
ma efficace appare l’analisi di Pierre Chiartano, che su Liberal
si chiede: “Si può trattare con quest’uomo?” e parla apertamente di
“tradimento di Ginevra”, mettendo acutamente a fuoco due immagini
contrastanti: la sofferenza del popolo ebraico “banalmente” calpestata
proprio nel giorno del ricordo e il trionfo riservato ad Ahmadinejad di
ritorno a Teheran. Intanto, la palla passa a Obama, che ha coraggio ma
rischia molto procedendo sulla via del dialogo con l’Iran nonostante
tutto (sempre su Liberal,
Luisa Arezzo). Certo il Presidente americano può farlo con dignità
perché ha pagato il dazio, visto che a Ginevra gli Usa non c’erano e il
loro rifiuto dell’antisionismo iraniano è netto. Le posizioni sono
chiare, precise, proprio “da copione” anche secondo Luigi Spinola (Il Riformista);
il ventaglio di possibilità è ampio e giustamente la partita è stata
lasciata aperta dall’amministrazione Usa e dall’Europa, anche se certo
si tratta di una “partita sporca” che porta a trattare con posizioni
aberranti. Improntata al possibilismo di una posizione aperta anche
l’intervista (su Liberal)
ad Alessandro Cancian, autore di “L’Iran e il tempo. Una società
complessa”. L’Iran, dice forse con realismo, non è Ahmadinejad, un
leader esperto che rappresenta però una sorta di idealtipo weberiano
ormai logorato dal potere in una situazione iraniana non così
drammatica e molto più aperta di quanto si pensi in Occidente. Forse è
vero, se lo dice un esperto. Ma la sua fiducia nell’uso civile del
nucleare da parte degli ajatollah appare piuttosto una pia illusione. Tornando
a ciò che Durban 2 rappresenta oggi e alle posizioni mondiali rispetto
alla conferenza, il dibattito si fa acceso. A fare da sfondo pesante,
la sofferenza di Israele – la sofferenza degli ebrei tutti per l’offesa
alla memoria della distruzione e del dolore. Se ne sono fatti portavoce
a Ginevra Alan Dershowitz, che ha descritto l’incontro internazionale
come una “festa dell’odio” ed Elie Wiesel, che chiede all’Onu di
scusarsi per il “sabotaggio” rappresentato dalla conferenza, come ci
riferisce Carlo Marroni sul Sole 24 Ore. L’oltraggio è avvenuto proprio durante Yom ha Shoah, ci ricorda Gian Micalessin sul Giornale, notando amaramente che “nel ricordo stavolta non c’è però nulla di definitivamente trascorso”. Ancora sul Sole 24 Ore,
è Alberto Negri a considerare saggiamente come “l’antisemitismo cresce
con la deriva integralista”: è con la sconfitta dello Stato laico che
l’opposizione politica al sionismo si è trasformata in maledizione
razzista. Su questa base inquietante, che fare? Che dire? Come
giudicare i diversi atteggiamenti tenuti rispetto a un evento mondiale
che comunque obbliga a schierarsi? Sergio Romano sul Corriere della Sera
non ha dubbi. Dibattendo idealmente con Angelo Panebianco e Paolo Lepri
che già hanno scritto sul tema, sostiene che l’Italia avrebbe dovuto
partecipare per opporsi apertamente alla linea-Ahmadinejad e lasciare
agli atti la sua posizione. L’Aventino non serve, come già sosteneva
Giolitti; l’assenza diffonde solo la sgradevole sensazione che noi non
accettiamo di essere minoranza. Ed è per questo che il Vaticano,
rimanendo sempre e comunque, ci avrebbe dato una “lezione di laico buon
senso”. Le ragioni della presenza ostinata della Santa Sede a Ginevra
ci sono brevemente ed efficacemente fornite – sempre sul Corriere
– da Luigi Accatoli: trattare con tutti, non delegittimare l’Onu, non
appiattirsi sull’Occidente, favorire un ampliamento della
concentrazione antirazzista. Posizioni nettamente “presenzialiste” sono
anche sostenute, con forza e argomenti assai concreti, da Umberto De
Giovannageli sull’Unità. Tutto
molto chiaro e ben detto. Ma forse la fragilità di questa posizione
presenzialista è alla radice. Esserci e rimanere non può che voler dire
dare credibilità a tutta l’operazione “Durban 1 - Durban 2”. E come
dare credibilità politica, umana, etica a una simile pagliacciata
(sapientemente evocata l’altro giorno dai giovani contestatori ebrei di
Ahmadinejad vestiti da clown)? Come non percepire che stare dentro
quella logica significa avallare una colossale menzogna messa in piedi
solo per condannare e isolare ulteriormente Israele nel panorama
mondiale? Come non accorgersi che l’antirazzismo, quello vero, qui non
c’entra niente e che questa nobile qualifica qui rappresenta solo una
gigantesca scusa per praticare invece proprio un razzismo escludente?
Come non cogliere, oltretutto, la prova del nove di tale
pseudo-antirazzismo, il fatto che l’antisemitismo non è neppure citato
tra le forme reali e possibili di razzismo? Di esso infatti non si fa
menzione, in quel documento finale del tutto emendato ma che fa
comunque proprio il testo conclusivo di Durban 1 (Liberal lo analizza con finezza, nelle sue affermazioni e nei suoi sottintesi). Di
tale segno è la legittima indignazione rispetto alla sostanza della
Conferenza espressa da analisti di orientamento differente, come tra
gli altri Fiamma Nirenstein che sul Giornale
sottolinea la continuità della linea sostanzialmente anti-israeliana e
filo-araba sostenuta nel corso degli anni dalla gran parte dei Paesi
d’Europa. Sottile, originale, politicamente penetrante l’analisi di Gad
Lerner su Repubblica.
Nel suo scritto traspare la partecipazione piena allo “sgomento” di
Israele, all’ “incubo dei sopravvissuti per la negazione della
sofferenza patita”. Ma l’indagine politica va oltre, e coglie
l’indubbia astuzia di Ahmadinejad, che non è affatto Hitler come lo si
dipinge in queste ore; è piuttosto un politico intelligente che con la
forza dirompente delle parole persegue un preciso disegno. Quello di
smuovere le masse europee, asiatiche, sudamericane sofferenti per il
fallimento economico attraverso lo stereotipo antisionista-antisemita.
E’ per questo, sostiene Lerner, che non dobbiamo reagire impulsivamente
allargando così la crepa in cui il leader iraniano cerca di inserirsi,
ma dobbiamo invece mantenere il sangue freddo per respingere con
decisione e lucidità la sua sfida. Parole sagge e politicamente
avvedute. Purché l’Occidente sia comunque capace di mantenere forte e
di dimostrare con chiarezza l’indignazione, la ribellione morale di
fronte alla messinscena di Ginevra. David Sorani |
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notizieflash |
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Benyamin Netanyahu e la consultazione straordinaria su Gaza Gerusalemme, 22 apr - Israele
- Prevista per oggi una consultazione ad alto livello per esaminare la
situazione creatasi a Gaza in seguito all'operazione Piombo Fuso. La
consultazione è stata indetta oggi dal premier israeliano Benyamin
Netanyahu, a riferirlo è stata la radio militare. Intanto la
stampa odierna, con l'ausilio di fonti militari comunica la
ripresa del contrabbando di armi verso la Striscia. Previsto, sempre
per oggi, un incontro con il responsabile dei servizi segreti egiziani,
gen. Omar Suleiman. Sosterrà colloqui con il premier israeliano, il
presidente Shimon Peres, il ministro della Difesa Ehud Barak e
probabilmente anche con il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman (su
quest'ultimo incontro non sono ancora giunte conferme ufficiali). Nel
frattempo Netanyahu ha sollevato Ofer Dekel dall'incarico di mediatore
con le autorità egiziane per uno scambio di prigionieri fra Israele e
Hamas, che da quasi tre anni tiene in ostaggio a Gaza il caporale
israeliano Ghilad Shalit. Dekel sarà per il momento sostituito dal capo
dello Shin Bet (servizi di sicuerzza) Yuval Diskin.
Avigdor Lieberman e la proposta di pace araba Tel Aviv, 22 apr - Lieberman
non è d'accordo con la proposta di pace araba. “L'iniziativa (che
prevede, fra l'altro, un ritiro totale dai territori occupati in cambio
del riconoscimento dello Stato israeliano da parte dei Paesi arabi)
rappresenta un pericolo per il futuro di Israele” - questa l'opinione
del ministro degli Esteri israeliano secondo il quotidiano Maariv. A
sostenere l'iniziativa invece il presidente Usa Barack Obama. Fonti
vicine a Lieberman hanno spiegato che il ministro si oppone in
particolare al cosidetto Diritto del ritorno per i profughi
palestinesi, che a suo parere rappresenta un pericolo per Israele.
Ancora Haaretz ha pubblicato oggi, traendone la fonte da un'intervista
dello stesso ministro rilasciata al periodico russo Moskowsky
Komsomoltzin, la sua opinione sulla pace in Medio Oriente: "occorre
coinvolgere maggiormente la Russia nella ricerca di un futuro assetto
di pace in Medio Oriente. Compito di Israele - sottolineava
nell'intervista Liebreman - sarà di fare da ponte fra Russia e Stati
Uniti". Due settimane fa Lieberman aveva già destato scalpore quando
aveva detto di non sentirsi più vincolato dal Processo di Annapolis,
elaborato dalla Conferenza del novembre 2007 nell'omonima cittadina
statunitense, in cui l'allora premier israeliano, Ehud Olmert, e il
presidente palestinese, Abu Mazen, davanti all'allora capo della Casa
Bianca, George W. Bush, si impegnarono nella formula di "Due Stati per
i due popoli".
Barack Obama e il conflitto in Medio Oriente Washington, 21 apr - “Israele,
i palestinesi e tutte le parti coinvolte nel processo di pace
mediorientale devono fare un passo indietro dall'abisso e lavorare per
soluzioni pacifiche”, questa l'opinione del presidente americano Barack
Obama. Lo stesso presidente, nel corso dell'incontro con il re giordano
Abdallah II, ha ribadito l'impegno degli Stati Uniti per un soluzione
in Medio Oriente che preveda due stati separati per israeliani e
palestinesi. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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