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L'Unione informa |
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23 aprile 2009 - 29 Nissan 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Oggi
pomeriggio a Terni ci sarà una cerimonia per la collocazione di una
lapide nel luogo che gli studiosi (Anna Esposito, in particolare) hanno
identificato come sede del cimitero ebraico in uso nel medioevo, quando
abitava là qualche famiglia ebraica (c'è tuttora un cognome ebraico che
ricorda questa origine, lo portava tra gli altri il rabbino fiorentino
d'inizio ottocento Daniel Terni, l'autore degli 'Iqqare haDaT, dove la T,
tet, sta per Terni). Ricordo importante e suggestivo, ma anche
stimolante di riflessioni. C'è stata una lunga epoca in cui gli ebrei
sono stati sparsi in Italia in una miriade di luoghi, e nella maggior
parte di casi si trattava di nuclei di piccole famiglie. Eppure
riuscivano non solo a sopravvivere come ebrei ma anche a prosperare.
Oggi in Italia (ma anche nel resto della Diaspora) se in una Comunità
non c'è una "massa critica" di persone il declino verso l'estinzione
appare inevitabile. Sono evidentemente cambiate moltissime condizioni,
ma soprattutto è cambiata l'autopercezione della responsabilità e
dell'identità. E' evidente che bisogna ragionare su questo come su una
priorità. Sarà bella la cerimonia di oggi, ma è angosciante la
prospettiva che qualcuno, tra qualche secolo, in qualsiasi luogo
d'Italia, venga a mettere una lapide sul posto dove una volta c'era un
cimitero ebraico... |
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In
economia di mercato le crisi dimostrano che i crediti non onorati
portano al fallimento dei debitori. In politica internazionale le crisi
dimostrano che i crediti non onorati possono portare al fallimento dei
creditori. Tutto dipende dall'importanza dei crediti e dei debiti. |
Vittorio Dan Segre, pensionato
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Giornale nazionale: informazioni distorte inquinano il dibattito
Prosegue,
come è giusto che sia, il dibattito a proposito del progetto di
giornale ebraico nazionale lanciato dall’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane al Consiglio di Livorno dello scorso 15 marzo. Le
differenze di opinioni e di strategie, se espresse correttamente e
sulla base di sentimenti di rispetto reciproco, possono costituire solo
un arricchimento comune. Quello che invece rischia di nuocere agli
interessi della minoranza ebraica in Italia è il tentativo di sollevare
un polverone di fraintendimenti e informazioni falsate. Avevo
recentemente già segnalato come alcune indiscrezioni apparse su organi
di stampa nazionali rischiassero di rappresentare la realtà in maniera
distorta. Chi le avesse consapevolmente o inconsapevolmente
suscitate o manipolate si è assunto una grave responsabilità e ha
danneggiato gli ebrei italiani. La pubblicazione di un servizio apparso
sul numero di aprile del mensile specializzato Prima comunicazione mi costringe ora a tornare sull’argomento. Si tratta di un articolo in cui non posso riconoscermi. Ed è importante che sia chiaro a tutti il perché. Sebbene
le dichiarazioni a me attribuite (rilasciate peraltro molte settimane
fa, all’indomani del Consiglio di Livorno e ben prima che si
conoscessero tutte le tematiche e gli orientamenti emersi nel
frattempo) siano state correttamente riportate dal giornalista,
infatti, il tono generale, la contestualizzazione e la titolazione
corrono il rischio di lasciare l’impressione che il progetto presentato
dall’Unione non tenga in conto le volontà, le esigenze e le autonomie
delle maggiori Comunità ebraiche italiane. Si corre anche il rischio di
lasciar credere ai male informati che il numero unico di una
pubblicazione destinata a stimolare e difendere la raccolta dell’Otto
per mille costituisca un passo irrevocabile, quasi una forzatura, verso
la realizzazione di un giornale ebraico nazionale. Ciò non è solo del tutto inesatto, ma anche ridicolo. La
realtà è ben diversa. L’Unione ha impegnato negli scorsi anni risorse
ingenti per tentare di sostenere la raccolta dell’Otto per mille
acquistando spazi pubblicitari sui mezzi di comunicazione. Ora ha
deciso di investire risorse molto minori per aprire con la società
italiana, che lo richiede pressantemente, un dialogo più aperto e
incisivo e tutelare gli interessi e il futuro della minoranza ebraica
in Italia. Non più slogan, ma approfondimenti, ragionamenti,
informazioni, documentazione. Questa azione è cominciata con la realizzazione della Rassegna stampa, che ha integrato in poco più di un anno oltre 100 mila documenti; con il notiziario quotidiano l’Unione informa, che a giorni compirà il suo primo anno di vita; con il lancio del Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it,
che offre servizi a tutte le realtà ebraiche italiane e in pochi mesi
ha pubblicato migliaia di articoli; con la chiamata a raccolta di
collaboratori prestigiosi che offrono volontariamente la propria opera. Il
fatto che in una singola occasione venga dato alle stampe parte di
questo lavoro e di questo patrimonio e venga messa a frutto parte di
questa esperienza, non può in alcun modo significare che tale specifica
scelta strategica possa o voglia predeterminare il futuro
dell’informazione ebraica in Italia. Il dibattito è appena
cominciato e prima di tirarne le somme sarà necessario compiere
approfondimenti, ascoltare la voce di tutti, lasciare che le diverse
realtà possano esprimersi in totale autonomia. Resta il fatto che
la minoranza ebraica in Italia deve urgentemente trovare il modo di
aprire un confronto aperto, sereno e autorevole con la società. Deve
farsi capire e deve far sentire il peso che deriva non tanto dai propri
esigui numeri, ma dai valori di cui è portatrice e che rappresenta. Chi
cercasse di impedirlo, o cedesse alla tentazione di divagare e di
confondere le acque, presto o tardi credo sarà costretto ad assumersi
la responsabilità del proprio operato.
Renzo Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Durban 2 – Diario
Nazanin
era una ragazza di diciassette come tante altre. Viveva a Teheran con
la sua famiglia curda quando, un giorno di sei anni fa, iniziò il suo
incubo. Mentre passeggiava per compere con il nipote di quindici anni,
fu assalita da un gruppo di malviventi che tentarono di rapire i due
ragazzini. Nazanin si mise a urlare con tutte le sue forze, ma nessuno
nei paraggi sentì i suoi lamenti. Gli assalitori reagirono però
rabbiosamente e le tapparono la bocca minacciando di abusare di lei se
avesse continuato. Lei non si fermò, anzi prese a urlare ancora più
forte. Uno degli uomini, furioso, la buttò a terra, le salì addosso e
iniziò a picchiarla. Nazanin, disperata, riuscì infine a tirare fuori
dalla tasca un coltellino e colpì l’uomo al cuore: morì poco dopo. A distanza di poche settimane, il tribunale esaminò il caso e, alla luce della shari’a,
condannò Nazanin alla pena più grave: l’esecuzione. Né la legittima
difesa, né la minore età della ragazza furono prese in considerazione
come attenuanti. È una delle storie raccontate nel corso della
Conferenza contro il razzismo, la discriminazione e la persecuzione
organizzato ieri da una ventina di sigle del mondo ebraico, in
parallelo alla Conferenza ufficiale di Durban 2. A riportarla è Nazanin
Afshin-Jam, attivista iraniana per i diritti delle donne e dei minori,
che con la protagonista di quella storia condivide oltre all’origine
anche il nome. È grazie al suo impegno personale che quella vicenda
guadagnò poco per volta l’attenzione di Amnesty International, quindi
quella dei media internazionali e infine fu sottoposta all’Alto
Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, che richiamò
l’Iran a mantenere i suoi obblighi internazionali, in conformità alla
Convenzione internazionale per i diritti politici e civili. Dopo mesi e
mesi di intensa campagna, il tribunale accettò infine di rivedere la
sentenza: il nuovo processo si concluse – con tre voti favorevoli su
cinque – con un verdetto d’assoluzione piena per la giovane. Il
messaggio lanciato dalla Afshin-Jam è chiaro: ciascuno di noi, come
individuo o come membro di un gruppo, con il proprio impegno può fare
moltissimo per correggere l’andamento delle cose, e perfino per salvare
vite umane, a maggior ragione nei Paesi democratici. Ed è lo
stesso messaggio che da quel palco viene lanciato pure da altri due
protagonisti diretti di storie che hanno tragicamente segnato il mondo
negli ultimi anni: Ahmed Diraige, ex governatore del Darfur e oggi
direttore del “Darfur Peace and Development Center”, sfuggito al
massacro in atto in quella regione, ed Esther Mujawayo, oggi sociologa
e psicoterapista, sopravvissuta al terribile genocidio dei tutsi che
quindici anni orsono insanguinò il Rwanda. Sono queste le storie
che dovrebbero essere al centro di una vera Conferenza internazionale
contro le discriminazioni e per i diritti umani, ispirata ai valori più
profondi alla base della Carta delle Nazioni Unite ed alla
Dichiarazione universale ad essa annessa: né Durban 1, nè Durban 2,
dunque, ma una nuova e radicalmente diversa “Ginevra 3” – è l’appello
lanciato a gran voce dal palco dal filosofo francese Bernard-Henri
Lévi, che infiamma il pubblico presente nella sala del teatro dove si
tiene la Conferenza parallela. Il suo giudizio su Durban è tranchant:
pagliacciata – né più né meno – un Consiglio per i diritti umani
presieduto e manipolato da “campioni di tolleranza” come Iran, Cuba e
Libia; pagliacciata, dunque, alla radice, questa Conferenza di Durban,
così come il documento approvato nella sessione di martedì, un
compromesso al ribasso che non affronta affatto le vere, grandi
emergenze per i diritti umani nel mondo. “Sogno una Conferenza mondiale
per i diritti umani – conclude Bernard-Heri Lévi – aperta da un ragazzo
sfuggito alle persecuzioni dei signori della guerra congolesi, da un
rifugiato del Darfur o da una sopravvissuta al genocidio rwandese”, e
non – il riferimento è tanto chiaro quanto stridente – dal razzista per
eccellenza che veste oggi i panni di presidente dell’Iran.
Simone Disegni
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pilpul |
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Volatilità
Giorni
fa scrivevano che il soldato Shalit è stato sicuramente spostato in
Sudan. Poi il silenzio. Non ci sono problemi. Shalit in questo momento
è al sicuro, nel dimenticatoio della coscienza
giornalistica.
Il Tizio della Sera
Fumetto - Rutu Modan, le origini di un genio
Il passato è passato
è un'antologia di short stories disegnate da Rutu Modan dal 1996 al
2003, pubblicata dalla Coconino Press di Bologna. Raccoglie sei storie
pubblicate sotto l’etichetta Actus Tragicus, e una Jamilti con
l’editore statunitense Drawn & Quaterly. Queste storie rivelano il
percorso creativo della Modan quasi dagli esordi fino alla maturazione
che possiamo far coincidere con Exit wounds.
Sfortunatamente l’edizione italiana non riporta la data di
pubblicazione delle storie, tanto meno i titolo originali, riducendo di
molto il valore della pubblicazione.
Questo percorso
comunque svela una autrice magicamente poliedrica nello stile e nella
composizione della narrazione. Le storie che possiamo leggere
raccontano la vita in Israele delle gente comune, o meglio potremmo
dire la vita comune, quindi non storie di guerra, di avventura o di
spionaggio. Un società sottoposta a sessantuno anni di guerra non cerca
nella fiction l’espressione delle proprie dinamiche, probabilmente
anche perché il senso del futuro è una sensazione, una emozione che gli
israeliani hanno messo da parte quasi per scaramanzia, come ci racconta
Anna Momigliano nel suo libro Karma Kosher.
Così
le storie di Rutu Modan ci svelano le vicende di una assassina/serial
killer, di una famiglia in attesa del figlio disperso in Libano,
parliamo ovviamente della Prima Guerra Mondiale, oppure di un rocker
che cerca il successo fuori da Israele. Ma anche storie di amore
familiare e ossessioni amorose di amanti.
Certo è
ricorrente il riferimento a una società in guerra, ma la guerra che
pensiamo noi, a cui siamo abituati a pensare dopo 60 anni di pace
europea, è quella di soldati, carri armati, eserciti che si scontrano;
mentre la guerra che colpisce Israele è quella psicologica degli
attentati, dei missili da Gaza o dal sud del Libano. In Jamilti
(del 2002) un’infermiera accorre nel luogo di una bomba e soccorre un
ragazzo palestinese, per poi scoprire che era un terrorista. Mentre
in Ritorno a casa (The
home coming, del 1999) una ragazza non si risposa convinta che suo
marito, pilota di aerei militari, non sia morto in Libano, ma che
presto ritornerà. Convinzione rinforzata dai suoceri che vivono in
attesa del miracoloso ritorno.
La storia L’assassino delle mutande
(The panty killer, del 2001) è un curiosissimo giallo ambientato a Tel
Aviv, come mai potremmo immaginare. Ci sono ingredienti che vanno dal
mistery all’investigativo con un tocco di dolcezza. Il tutto presentato
con uno stile quasi surreale, dalle linee distorte, completamente
incentrato sugli occhi e il viso dei personaggi. Tant’è che il tema è
quello della vergogna che si palesa con il rosso del viso.
In Blocco di energia (Energy Blockage, del 2004) e Il passato è passato
(Bygone, del 1999) l’attenzione si pone sui legami familiari, padri che
abbandonano moglie e figli, madri che si sacrificano oltre
l’immaginabile per far crescere le figlie, ma anche le stesse figlie
che poi prendono per mano i propri genitori. Un circolo di
dolcezza al femminile, dove l’uomo non ha un ruolo positivo. Così come
in Exit wounds.
Infine King of the Lillies
(del 1998) è una storia quasi mitteleuropea incentrata sull'amore
ossessivo di un chirurgo plastico per una giovane donna, un amore
talmente esclusivo da portarlo a modificare le pazienti secondo le
caratteristiche fisiche della amata Lilly, scomparsa da anni. Quando il
chirurgo riuscirà a ritrovare la donna, sarà modificata anche lei sulla
base di un amore ormai talmente idealizzato, divinizzato, da non essere
più amore.
Rutu Modan spiega sulla tavola da disegno una
capacità artistica, una varietà di stili e linguaggi che eccitano
l’occhio e obbligano il lettore a una grande attenzione visiva. E anche
emozionale. La lezione dell’underground statunitense, come Charles
Burns, o anche europeo, se non italiano con interessanti similitudini
con lo stile dei Valvoline,
gruppo di artisti italiano degli anni Ottanta, segnala una particolare
attenzione per la ricerca grafica e stilistica. L’ispirazione sembra
proprio, come fu dei movimenti fumettistici dei decenni precedenti,
venire dal design pubblicitario con scelte grafiche di volta in volta
modificate e adattate al contenuto. Questa è comunque la firma
stilistica degli Actus Tragicus, il gruppo di artisti israeliani di cui fa parte Rutu Modan.
Questa
antologia è un piccolo tesoro artistico e narrativo, che sottintende
una grande maturità creativa e spiega anche il percorso evolutivo che
ha portato a Exit wounds.
Andrea Grilli
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rassegna stampa |
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«Se
avesse negato negato l’Olocausto saremmo usciti». Il Vaticano motiva
così, in un’intervista di Monsigonr Silvano Maria Tomasi a Davide
Frattini sul Corriere,
la scelta di rimanere in sala a Ginevra, dopo le parole di Mahmud
Ahmadinejad. Si chiude così, tra una condanna della Ue e le
dichiarazioni sull’«occasione persa» del ministro degli Esteri Franco
Frattini la terza giornata dei lavori di Durban 2, la conferenza Onu
sul razzismo.
Il presidente iraniano è tornato ad attaccare
Israele da Teheran. E la sua posizione, scrivono in molti oggi,
potrebbe costare al suo Paese sanzioni più dure dalla Comunità
internazionale. «Siamo pronti a discutere con Teheran di tutti i
problemi - ha detto Hillary Clinton davanti al Congresso -. Se le
nostre offerte venissero respinte o le trattative dovessero saltare,
stiamo già preparando un regime di sanzioni molto severe» (Il Messaggero). Ma per capire meglio Ahmadinejad, è bene conoscere chi lavora con il presidente iraniano. Giulio Meotti racconta dunque sul Foglio la storia di Ali Ramin, «il Goebbels di Ahmadinejad», il consulente che ha costruito la «menzogna dll’Olocausto».
Sul Corriere,
Antonio Ferrari sottolinea che «pochi hanno sottolineato come la sfida
di Ahmadinejad, oltre ad essere rivolta contro il nemico Israele, aveva
come obiettivo anche l’Onu» e propone «la censura e la sanzione del
razzismo verbale. Potrebbe essere - spiega - un’efficace partenza
simbolica». Liberazione evidenzia il «pasticcio» di Durban 2, e ancora
sul Foglio Carlo Panella individua nella «geopolitica dell’odio» la strategia «contro la legalità internazionale» dell’Iran.
In Israele, invece, «l’esercito si autoassolve su Gaza», secondo Repubblica.
Il generale Dan Harel ha anche fornito i dati delle vittime: dei 1666
palestinesi uccisi 709 erano di Hamas, 295 tra bambini, donne e
anziani, e 162 civili. E sempre in Israele, racconta Marco Ansaldo
sempre su Repubblica,
vive il nipote di Adolf Hitler, che dopo esser diventato ebreo, insegna
il Talmud in un’università israeliana. A piazza San Pietro, invece,
ieri, Benedetto XVI ha ricevuto e indossato una kefiah ricevuta da due
ragazzi palestinesi di Betlemme (Il Messaggero).
Beniamino Pagliaro |
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notizieflash |
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Terromoto: Maccabi Italia, solidarietà e aiuti a Fossa, nel segno della Tzedakà Fossa, 22 apr - “E'
obbligo per un ebreo, aiutare chi è in difficoltà (fare Tzedakà ) e chi
meglio di questa generosa popolazione lo merita, alla luce del fatto
che la Tzedakà di questa gente fu quella di ospitare degli ebrei, per
loro perfetti sconosciuti, rischiando la loro vita e quella dei
familiari, per salvare, da morte certa, alcune famiglie ebree romane
durante la Seconda Guerra Mondiale" - questa la motivazione che
ha spinto l'associazione sportiva ebraica Maccabi Italia a offrire il
proprio contributo in aiuto dei terremotati di Fossa - ad affermarlo è
stato lo stesso presidente dell'associazione Vittorio Pavoncello. Lo
stesso ha spiegato che l'associazione, nata allo scopo di stimolare lo
sviluppo di programmi sportivi e culturali volti ad arricchire le
Comunità ebraiche italiane, si è messa in contatto con il sindaco di
Fossa, Luigi Calvisi, sin dai primi giorni dopo il sisma che ha
sconvolto l'Aquilano. Oggi, nelle prime ore del mattino, alla tendopoli
di Fossa, è arrivato un intero camion di vari articoli di vestiario
destinati alla comunità locale. Trecento tute, altrettante paia di
scarpe, acquistate dall'associazione sportiva ebraica, oltre a 700
t-shirt e 300 zainetti - donati dal comitato organizzatore della
Maratona di Roma – che verranno distribuiti tra gli abitanti di Fossa
con un occhio particolare per i più giovani. "La visita di oggi - ha
spiegato Pavoncello - segue quella della settimana scorsa fatta
dall'Unione delle Comunità ebraiche italiane e dalla Comunità ebraica
romana, al cui seguito c'erano 9 nuclei familiari che devono molto agli
abitanti del comune di Fossa, durante la Seconda Guerra Mondiale
infatti alcuni ebrei romani vennero aiutati dagli abitanti del paese a
sfuggire alla persecuzione nazista”.
Lieberman: "Sì alla pace ma a una condizione: l'iniziativa deve essere nelle nostre mani" Tel Aviv, 23 apr - Il
nuovo governo d'Israele è deciso a portare avanti il processo di pace
con i palestinesi, ma intende farlo prendendo l'iniziativa nelle
proprie mani. Lo ha precisato oggi alla Radio militare il ministro
degli Esteri, Avigdor Lieberman. "Il nostro interesse è quello di
prendere l'iniziativa nelle nostre mani e di andare avanti", ha
assicurato Lieberman e ha spiegato che per lui non ha senso
perdere tempo, "noi vogliamo guidare e non essere guidati". Due
settimane fa Lieberman aveva destato scalpore quando aveva detto di non
sentirsi più vincolato dal Processo di Annapolis, sottoscritto con la
mediazione americana per rimarcare l'impegno verso la prospettiva dei
due Stati, e ancora ieri si era ripetuto dichiarando di essere
contrario alla proposta di pace regionale saudita. Interpellato sul suo
"no" all'iniziativa saudita - che indica l'obiettivo del ritiro dai
territori occupati in cambio del riconoscimento collettivo di Israele
da parte degli Stati arabi - egli ha confermato di essere contrario in
particolare al riconoscimento del 'diritto al ritorno' per tutti i
profughi palestinesi, cosa che ha definito "fuori questione". Quanto
infine ad Annapolis, ha sostenuto che non si è mai tradotta in realtà
nella parte relativa agli impegni sul terrorismo. "Io - ha affermato -
non ho visto i palestinesi riuscire a smantellare una singola
organizzazione terroristica". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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