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L'Unione informa |
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26 aprile 2009 - 2 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Bendetto Carucci Viterbi, rabbino |
Chi
non ha mai messo lo tzitzit in vita, non si può far seppellire avvolto
in un talit (decisione ripresa da rav Jaaqov Jechiel Weinberg).
Ammantarsi di ciò che non si è o non si è stati non è concesso, neanche
dopo la morte.
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La sintesi della giornata di ieri tra i fischi di Piazza Duomo a
Roberto Formigoni, le dichiarazioni di Silvio Berlusconi prima incerte
e poi corrette in corso di giornata indicano varie cose. Le elenco
senza un ordine preciso. La prima è la parzialità di quella piazza dove
è palese che la destra non è “a casa sua”. La seconda cosa è che se
davvero la destra riconosce come suo il 25 aprile deve trovare un luogo
suo dove radunarsi in massa e non solo delegare il capo – per celebrare
festosamente il “suo 25 aprile”. La terza è che la possibilità di una
data civile che parli per tutto il paese obbliga a fondare un senso
civico che ancora non c’è. Quel senso civico non si riassume solo nell’
urlo “Mai più!”, ma deve dire anche qualcos’altro. Riguarda un’idea di
sviluppo e di modernità che si persegue, un’idea il cui fondamento è
nella cultura della tutela e della promozione dei diritti. |
David Bidussa, storico sociale delle idee |
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25 aprile, l’adesione degli ebrei italiani
"La
Liberazione, oltre ad essere il simbolo del riscatto del Paese nel
momento in cui gli fu restituita libertà, indipendenza e dignità,
significa anche, per gli ebrei italiani, la riconquista dei diritti
civili brutalmente calpestati durante il fascismo e l'occupazione
nazista". Così il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna ha ribadito il
profondo significato del 25 aprile per gli ebrei italiani ribadendo
l’adesione del mondo ebraico a quest’anniversario di centrale
importanza per la vita civile del Paese. In occasione della
giornata Liberazione il presidente della Comunità ebraica di Roma
Riccardo Pacifici si è invece soffermato, dopo l’uscita di shabbat,
sulla proposta di legge che prevede l’equiparazione tra partigiani e
combattenti di Salò. "Qualora la proposta dovesse trovare consenso in
Parlamento - ha detto - sarebbe grave e inaccettabile". Quanto
alle celebrazioni, ha affermato Pacifici, "è importante sapere che ogni
anno di più il 25 aprile coagula intorno a sé forze politiche e
istituzionali proiettando l'Italia in un paese al pari di altri in
Europa dove giorni come questi sono momenti d'unità nazionale".
"Bisogna ricordare quei partigiani che combatterono affianco delle
truppe alleate per liberare l'Italia dal nazifascismo - ha detto ancora
Pacifici - riscattando l'onore di un paese che usciva devastato dalla
guerra e che soprattutto aveva perso la sua dignità con l'avvento del
fascismo, le leggi razziste e la privazione di libertà per ogni
cittadino. Sono dunque importanti le presenze bipartisan alla
manifestazione di celebrazione del 64° anniversario della festa per la
Liberazione svoltasi a Porta San Paolo". Il tributo di sangue
pagato dal mondo ebraico alla libertà del Paese è stato infine
ricordato dal sindaco di Milano Letizia Moratti. "Nella sua cultura di
libertà - ha detto - Milano aderisce convinta all'invito del Presidente
Napolitano. Perché il 25 aprile ritrovi anche oggi un'Italia unita.
Perché a combattere per la libertà in quel 25 aprile c'era un popolo.
C'erano i partigiani, con le loro famiglie. C'erano le donne, c'erano
gli ebrei italiani e milanesi, i più colpiti dalle persecuzioni della
dittatura, che portavano il loro contributo di combattenti e difensori
della libertà e del Paese".
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Prigionieri di Tito
Questa
settimana vorrei segnalare un libro, stampato da una coraggiosa casa
editrice specializzata in storia dell’anarchismo: Joseph Marcou-Baruch,
“Un ebreo garibaldino”, a c. di V. Vantaggio (Pisa, Biblioteca Franco
Segantini, 2009). Libertari anarcoidi hanno sempre fecondato la storia
dell’ebraismo italiano, che per altro deve tutto a numerosi maestri
stranieri (Chajes, Glass, Margulies, Beilinsohn). Marcou Baruch
(1872-1899), originario di Costantinopoli aveva girovagato per
l’Europa, prima di mettere radici in Italia. Attratto dai movimenti
risorgimentali fu volontario al seguito di Ricciotti Garibaldi in
occasione della guerra greco-turca. La curatrice annuncia una
monografia su di lui, al termine di un lungo lavoro di scavo, di cui
gli studiosi dovranno esserle grati. Troppo a lungo ci
dimentichiamo di intellettuali anticonformisti come questo ebreo in
camicia rossa. Baruch insegnò agli ebrei italiani di fine Ottocento che
l’ebraismo è compreso nell’idea di “Oriente libero”: per questo partì
volontario per combattere in difesa della libertà della Grecia, in una
guerra che vedeva come anticipatrice della libertà di Sion. Il nome di
Marco Baruch è fondamentale per la storia del sionismo italiano. A lui
si deve il primo documento “ufficiale”. Come è noto, al primo congresso
del 1897 gli italiani parteciparono in absentia, inviando un
telegramma: “Ai piedi dell’Arco di Tito Marcou Baruch manda un saluto a
chi riaccende il primo lume del candelabro”. Il telegramma era
firmato così: “I prigionieri di Tito”. Un’assonanza con la mozartiana
“clemenza” del medesimo? Non direi. Direi che era una metafora della
schiavitù dell’ebraismo diasporico, una metafora ancora attuale per
rappresentare il declino dell’ebraismo europeo, rispetto a quello
americano e a quello israeliano. Chiamati a partecipare ad un congresso
che ridisegnasse gli scenari del terzo millennio, prigionieri della
memoria come siamo, prigionieri soprattutto della piccola politica
italiana, insomma prigionieri di noi stessi credo dovremo continuare a
mandare telegrammi con la firma del geniale Baruch.
Alberto Cavaglion
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rassegna stampa |
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Se arriva un elfo nel kibbutz
Forse
la pioggia se la sono portata con loro. Dalla Russia, dalle pianure
dell'Ucraina, dalla tragedia che li ha cacciati di là. O forse tutta
quell'acqua viene da una favola presa troppo sul serio. Da una di
quelle leggende africane che Rimona copia con la sua scrittura
ordinata: «Quando viene una notte di luna, i kikuyu in Kenia riempiono
secchi e bacinelle per trattenere la luna nell'acqua e averla in serbo
per le notti più nere, e poi con quell'acqua curano i malati». Ma
adesso, tra i monti di Galilea, di acqua ce n'è in abbondanza. E anche
di malati, che, per curarsi, vorrebbero piuttosto un po’ di tepore. C'è
chi è malato di vecchiaia, chi di disillusione, chi come Yonatan ha
l'anima fradicia di solitudine. Una pace perfetta di Amos Oz è
stato pubblicato in ebraico nel 1982, e già allora aveva i toni di un
tuffo nel passato. Perché in Israele cambiava tutto così in fretta, che
anche il 1966 appariva come un'epoca remota. Era un inverno infilato
tra due guerre, col kibbutz che sembrava ancora un'utopia possibile, e
poi le sigarette esibite per darsi un tono e il desiderio di andarsene
alla scoperta del gran mondo.
Quello di Yonatan è un
esistenzialismo girato in bianco e nero. Il suo smarrimento ritaglia il
sogno israeliano in grevi scene di desolazione quotidiana. E dire che
in guerra si è comportato Come un eroe, «con sprezzo della propria
vita», come hanno scritto i giornali, e non ci sarebbe motivo per
essere disgustato da quella comune sionista, in cui tutti s'aiutano
l'un l'altro, o almeno vorrebbero farlo. Ma c'è quel «cielo basso che
scende tra le case, sporcando tutto con chiazze di lana grigia e
densa», e il peggio viene di notte, quando dal villaggio che gli arabi
hanno abbandonato nel 1948 sembrano levarsi risate cattive. Un giorno
dopo l'altro Yonatan trova una scusa per non partire, finché una specie
di elfo dalle dita affusolate non fa irruzione nel kibbutz. Azariah
è forse l'invenzione più riuscita del libro. Logorroico, narcisista,
con un disperato bisogno di piacere e un orecchio finissimo, capace di
catturare anche il suon dell'anima. Nessuno lo può sopportare, ma tutti
se ne invaghiscono e si sciolgono alla sua apparente ingenuità, non
solo le donne, anche i ruvidi pionieri, tra cui il «malmostoso Yonatan».
Oz
è molto bravo a far tralucere attraverso gli eccessi verbali e
psicologici di Azariah il trauma giovanile che lo tormenta: gli anni
della guerra e della Shoah, la fuga tra i boschi dell'Europa orientale
e una paura inesorabile, che lo perseguita come un fantasma. Altre
parti del libro sono meno convincenti, come le tirate sulla politica
israeliana degli anni Sessanta e sul tramonto del sionismo socialista.
«C'era una volta il kibbutz», potrebbe intitolarsi un lungo capitolo, e
rileggere queste pagine oggi, con il disincanto di un Israele
sopravvissuto a fatica alle proprie illusioni, fa un po' tristezza. I
protagonisti della storia ci sono dentro fino al collo, e rimangono
irretiti da un intrico di legami amoroso-cerebrali. C'è il triangolo
sentimentale, quasi d'obbligo in quegli anni, e la rivalità tra amici,
largamente machista. Meglio giocare a scacchi o azzuffarsi per una
donna? Oggi sarebbe un quesito politically incorrect. Ma forse il bello
di essere rimasti agli anni Sessanta è quello di potersi permettere,
almeno per lo spazio di un racconto, la nostalgia per le scelte
sbagliate. E non solo in una Galilea orrendamente piovosa.
Amos Oz, «Una pace perfetta», traduzione dl Elena Loewenthal, Feltrinelli, Milano, pagg. 350, 17,50 euro.
Giulio Busi, Il Sole 24 ore, 26 aprile 2009 |
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notizieflash |
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Haaretz, “a Nazareth l’incolumità del Papa è a rischio” Tel Aviv, 26 apr Nell’imminente
visita a Nazareth il Papa potrebbe vedersi costretto a rinunciare alla
“papamobile” per non mettere a rischio la sua incolumità. La notizia è
riportata dal quotidiano Haaretz secondo cui i servizi segreti
israeliani avrebbero raccolto informazioni secondo cui nella cittadina
della Galilea sarebbero in preparazione manifestazioni di protesta da
parte di gruppi estremisti islamiche che potrebbero anche attaccare
Benedetto XVI. Un
ulteriore motivo di preoccupazione, rivela Haaretz, deriva da una
singolare coincidenza di date. Il Papa sarà infatti in Israele e nei
territori dell’Autonomia palestinese tra l’11 e il 15. E proprio il 14
i palestinesi ricorderanno la Naqba (la "catastrofe", ovvero ai loro
occhi la fondazione di Israele, nel 1948). Spesso in quella data nel
passato si erano verificati disordini.
Iran, una pacifica invasione di arance israeliane Tel Aviv, 26 apr - La
pacifica invasione di un carico di arance israeliane sta suscitando
reazioni a catena in Iran. Il paese che considera Israele il suo
peggiore nemico ha infatti visto sbarcare al mercato un certo
quantitativo di arance Jaffa con l’etichetta “Dolce Israele”. Il
presidente Mahmud Ahmadinejad, che più volte ha auspicato la
cancellazione d’Israele dalle carte geografiche, ordinando un'inchiesta
e ha promesso "una dura risposta" delle autorità. La stampa riformista
suggerisce intanto che l’importazione avvenuta in casse che figuravano
arrivare dalla Cina, sarebbe opera di qualche commerciante con
protezioni in alto loco. "Le importazioni – scrive infatti il
quotidiano Etemad Melli - sono monopolio di pochi imprenditori: non più
di 5-10 per le automobili, 2-3 per i cellulari e altrettanti per la
frutta. E mentre alla preghiera del venerdì i fedeli gridano 'Morte a
Israele', in certi magazzini di Teheran qualcuno cambia le scritte
sulle casse israeliane per farle diventare cinesi".
Giovani ebrei contro l'antisemitismo in Venezuela Milano, 26 apr - Un
centinaio di giovani del gruppo Hashomer Hatzair venerdì ha manifestato
a Milano davanti alla sede del consolato del Venezuela in segno di
protesta contro le ripetute aggressioni alla Comunità ebraica di
Caracas. Ultima in ordine di tempo, quella alla sinagoga centrale. I
giovani di Caracas hanno chiesto a tutti gli aderenti all’Hashomer
Hatzair, alcune migliaia di persone in tutto il mondo, di organizzare
manifestazioni davanti alle sedi diplomatiche. All’iniziativa ha parte
anche il parlamentare del Pd Emanuele Fiano: "In Venezuela – ha detto -
ci sono state manifestazioni molto dure contro la comunità. Scopo della
protesta è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica contro
l'antisemitismo".
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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