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L'Unione informa |
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1 maggio 2009 - 7 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Sabato leggeremo la parashà di Kedoshim. Tra le tante mitzvòt sociali della parashà vi è quella che dice: "lo ta'amòd 'al dam re'èkha
- non fermarti di fronte al sangue di un tuo fratello. Quando una
persona è in pericolo si deve dunque intervenire. Il Bà'al shem tov
spiegava: "Quando Adam - l'uomo, perde la sua Alef, la sua unicità e
particolarità, diventa solo un essere fatto di dam -
sangue. Non ci si deve fermare di fronte ad un ebreo che ha perso la
sua caratteristica, che è fatto ormai solo di sangue privo di anima.
Senza tanti discorsi e discussioni si agisca assieme per aiutare ogni
ebreo lontano a ritrovare la sua Alef.
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Primo
maggio, festa dei lavoratori, ma anche di Aleftav che compie un anno.
Auguri! Non avremmo scommesso di arrivarci, un anno fa, quando eravamo
solo il rav Di Segni e io a scrivere il nostro pezzettino. Ora siamo in
tanti, il compito è più leggero, eppure sento a volte la nostalgia di
quando, sei mattine su sette, la mia prima preoccupazione era quella di
comunicarvi qualcosa dei miei pensieri e del mio stato d'animo. Oggi,
vorrei tanto ricordare che tra gli operai di Milwakee in sciopero
per ottenere la giornata lavorativa di otto ore, uccisi dalla polizia
nel 1886 e che la festa del 1 maggio commemora, c'erano anche operai
ebrei polacchi, quegli ebrei che avevano cominciato ad emigrare negli
Stati Uniti agli inizi degli anni Ottanta, che avevano portato nelle
Americhe la loro volontà di trasformazione del mondo. Quegli operai
ebrei che, a New York come nelle altre grandi città, lottarono,
crearono sindacati ebraici, giornali, e fecero tutt'uno del loro
lavoro, della loro identità ebraica, della loro spinta verso il
cambiamento. |
Anna Foa,
storica |
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Moked primaverile - Educazione ebraica, la direzione possibile
Quali sono le domande scomode che i figli pongono ai genitori? Quale
rapporto c'è fra educazione e pensiero ebraico contemporaneo? Quali
politiche educative sono attuabili? Quale offerta educativa si adatta
maggiormente ai giovani di oggi? Quale è il ruolo attribuibile
all'educazione? A queste e ad altre domande ancora si cercherà di
rispondere nei quattro giorni di studio al Moked primaverile a Milano
Marittima. Una formula diversa quella studiata per questo Moked, che
non prevede il susseguirsi di interventi e conferenze di esperti o
almeno non soltanto questo, ma un percorso comune fra esperti e
pubblico presente in sala per cercare di capire in quale direzione va
l'educazione ebraica e quali possibilità si offrono ai nostri giovani. "Abbiamo
iniziato a lavorare sugli argomenti che ci sembrava più interessante
affrontare qualche mese fa, dice Ilana Bahbout coordinatore di attività
del Dipartimento educazione e cultura dell'UCEI, che per questo Moked
si è occupata, insieme al rav Roberto Della Rocca, della selezione dei
relatori e degli argomenti da approfondire. Abbiamo organizzato una
riunione con tutti gli operatori degli enti che si occupano di cultura,
ma ci siamo subito resi conto che ciascun ente era preso da impegni
precedentemente assunti. Un'idea che però è scaturita da quella
riunione è stata di organizzare dei workshop di confronto, non
una conferenza a cui il pubblico partecipa in maniera passiva quindi,
ma un luogo dove far nascere nuove idee. La scelta dei relatori è
stata molto attenta: a fianco ad interventi di rabbanim e
insegnanti delle varie Comunità, come il rav Benedetto Carucci Viterbi,
il rav Roberto Colombo, il rav Gianfranco Di Segni, il rav Giuseppe
Momigliano, Sonia Brunetti Luzzati, pedagogista e vicepreside della
scuola ebraica di Torino o Anna Arbib direttrice del settore ebraico
della scuola materna e primaria di Milano, ci saranno relazioni di
esperti come il neuropsichiatra Gavriel Levi e il pedagogista Jonathan
Cohen. Dan Segre, esperto di coaching, svolgerà un'attività interattiva
per far emergere le difficoltà che si pongono fra genitori e figli". "Questo
Moked dovrà porre le basi per iniziare a operare un ragionamento
sull'educazione tema che sarà affrontato sia dal prossimo Consiglio
UCEI aperto a Presidenti di Comunità e rabbini sia dal prossimo
Congresso, precisa rav Roberto Della Rocca, che spiega anche quanto sia
difficile coniugare le diverse esigenze dei partecipanti: " Soddisfare
a pieno le diverse esigenze sociali culturali ricreative logistiche
degli ebrei italiani è molto difficile, ci siamo quindi convinti di
realizzare due edizioni del Moked durante l'anno, uno da realizzarsi in
una piccola Comunità e l'altro in una località di attrattiva turistica
che facilita la coniugazione fra cultura e relax e che in ragione di
questo attiri molte più persone, in questo senso Milano Marittima con
la sua spiaggia, con le sue strutture alberghiere, con i suoi servizi
ha rivestito per molti anni e continua a costituire una località di
grande richiamo. All'obiezione sollevata da molti rispetto ai
costi eccessivi del Moked, rav Della Rocca risponde che "il problema
dei costi ha costituito sempre un limite alla partecipazione di molte
persone, aggravato in questo momento dalla sopravvenuta crisi
economica. La Giunta UCEI si è rivelata molto sensibile a questo
problema decidendo di fare ingenti sconti e offerte promozionali per
agevolare la partecipazione al Moked soprattutto di quelle famiglie che
hanno maggiori difficoltà. Sono dispiaciuto che le Comunità italiane
non abbiano ancora raccolto l'invito di inviare una famiglia al Moked
assumendone in toto o in parte gli oneri finanziari. In questo modo
potrebbero partecipare almeno 20 famiglie in più. Due anni fa ho
partecipato al Limud, presso l'Università di Birmingham, una sorta di
Moked che organizzano le Comunità ebraiche inglesi, dove erano presenti
3200 persone che seguivano assiduamente tutte le conferenze. Tutti
indistintamente eravamo alloggiati nei dormitori universitari con i
bagni comuni e mangiavamo in modo molto spartano nella mensa
universitaria. I costi erano sicuramente più bassi rispetto ai nostri,
ma mi domando se gli ebrei italiani sarebbero disposti ad accettare
questa formula per partecipare a un Moked ".
Lucilla Efrati
L’educazione ebraica tra azioni, domande e meraviglia
Si aprono con l’intervento di Jonathan Cohen, pedagogista e professore
dell’Università di Gerusalemme, i lavori della seconda giornata del
Moked di Milano Marittima, dedicato all’educazione nel mondo ebraico. Tema
quanto mai attuale, in coincidenza con un momento in cui tutta l’Italia
si interroga sul troppo frequente fallimento della società nel
trasmettere valori alle nuove generazioni, come si evince
dall’editoriale di oggi del Corriere della Sera, “I nostri ragazzi
senza maestri”, firmato da Isabella Bossi Fedrigotti, che segue ai
sempre più numerosi episodi di violenza e abbrutimento morale, che
hanno per protagonisti giovanissimi. Quale può e deve essere la
strada da percorrere per condurre i ragazzi sulla via dell’ebraismo, ma
anche più genericamente per aiutarli a costruire e apprezzare la
propria vita, perché non siano annoiati e scontenti, è appunto
l’interrogativo da cui parte la riflessione del Professor Cohen. “Noi
maestri, professori, rabbini, siamo sempre concentrati
sull’insegnamento delle mitzvot, dei precetti, di ciò che la Torà
spiega.” sostiene Jonathan Cohen. “Il rapporto con D-o è fondamentale
in ogni religione, e nell’ebraismo si stabilisce e rinnova ogni giorno
attraverso le nostre azioni, l’osservanza delle mitzvòt. Esse
rappresentano il modo in cui quotidianamente ringraziamo e cerchiamo di
restituire a D-o, l’enorme dono che ci ha concesso, la vita. Le
mitzvot, le tefillot (le preghiere), i precetti, gli insegnamenti dei
Chachamim, costituiscono la nostra risposta ai grandi interrogativi su
noi stessi e sul mondo, interrogativi che ogni ebreo dovrebbe porsi.
Solo in quest’ottica, è possibile comprenderne pienamente il
significato. Per questo motivo, noi maestri sempre attenti a
spiegare e ribadire queste risposte, non dobbiamo mai dimenticarci di
assicurare che i nostri giovani si pongano queste domande. E purtroppo
accade sempre più frequentemente che non accada, perché l’uomo moderno
non sembra più capace di meravigliarsi. È diventato troppo sofisticato,
troppo propenso a spiegare ogni cosa in maniera tecnica e razionale,
come spiega splendidamente il rabbino e filosofo Abraham Joshua
Heschel: “Fra le molte cose che la tradizione religiosa tiene in serbo
per noi vi è un retaggio di meraviglia. La maniera più sicura per
soffocare la nostra capacità di comprendere il significato di D-o e
l’importanza del culto è quello di dare tutto per scontato.
L’indifferenza al sublime miracolo della vita è l’origine prima del
peccato” (God in Search of Man: A
Philosophy of Judaism, Farrar, Straus and Giroux, New York 1955;
pag. 62 Dio alla ricerca dell’uomo: una filosofia dell’Ebraismo, Borla,
Torino 1971). La meraviglia diventa quindi la chiave per apprezzare ogni piccola cosa, anche apparentemente banale. “Pensiamo ad una berachà (benedizione) che tutti conoscono l’“amotzì lechem min haaretz”, prosegue Jonathan Cohen, Benedetto Tu Signore D-o nostro, Re del Mondo, che hai fatto uscire il pane dalla terra.
È forse vero, scientifico, che il pane esca direttamente dalla terra?
Ovviamente no, ma questo non significa che la Benedizione menta. Essa è
poesia, questo cerco di spiegare ai bambini, ai ragazzi, poesia che
vuole sottolineare il miracolo del pane che viene sulla nostra tavola.
E quando nelle benedizioni del mattino ringraziamo il Signore di aver
aperto gli occhi ai ciechi, potremmo domandarci perché non ringraziarlo
solo di averci svegliati, perché ciechi veramente non lo eravamo. Ma
anche questo rappresenta un miracolo, un grande dono, che in questo
modo possiamo ricordarci di apprezzare. Il cibo, la salute, il
benessere economico, troppo spesso siamo abituati a dare per scontate
queste cose, e tanto più tendono ad assumere questo atteggiamento i
più giovani, che non hanno sperimentato situazioni in cui di
tutto ciò erano privi. Per questa ragione diventa sempre più importante
che noi maestri trasmettiamo alle nuove generazioni un messaggio, di
amore, di meraviglia e di gratitudine per le piccole cose, e
ricordiamo, prima ancora di insegnare le risposte, di ispirare le
domande.” Rossella Tercatin |
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pilpul |
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Ricevuto
C'è questa bottiglia. Era cementata dentro a un muro di Auschwitz
Birkenau.Il muro era parte di un ex rifugio antiaereo. Nella bottiglia,
erano stati messi i nomi e i numeri di matricola di sette persone. Se
mai ci fossero dubbi, il messaggio nella bottiglia di Auschwitz
racconta il più grande naufragio della storia umana e l'impossibilità
di distruggere lo spirito. Yit'gadal v'yit'kadash.
Il Tizio della Sera
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Giorno
di festa per i lavoratori – non di meno anche per i giornalisti, loro
stessi lavoratori sia pure di quel variegato e a tratti funambolico
mondo che è l‘universo della comunicazione/informazione – ma le notizie
non latitano. Cerchiamo ancora una volta, e i nostri lettori non ce ne
avranno al riguardo, di andare al di là della superficie dei fatti
narrati per cogliere i trend di medio e lungo periodo che ci chiamano
in causa. Partiamo dall’articolo comparso su il Giornale,
che ci rimanda alla cosiddetta « febbre suina» . Nel caso in oggetto,
il contagio virale, farebbe testo il pronunciamento di Yacov Litzman,
del partito ultraortodosso Ebraismo unito nella Torah (così la traduzione italiana di Yahadut HaTorah HaMeukhedet
che è, a ben pensarci, una tautologia bella e buona: che cosa dovrebbe
costituire il comune denominatore dell’ebraismo se non la Torah
medesima?). Litzman ha dichiarato intollerabile l’aggettivazione
animale della malattia, demandando al suino, bestia impura per la
tradizione ebraica. Da ciò ne ha fatto derivare la necessità di
chiamarla « messicana», in ragione delle sue origini territoriali, cosa
peraltro assai poco gradita ai messicani medesimi. La vicenda in sé,
destinata a lasciare il tempo che trova, procurando semmai qualche
sorriso tra le tante preoccupazioni che la diffusione della malattia
ingenera, è l’epitome di ben altre questioni, poiché la questione della
denominazione del fenomeno epidemico in corso va al di là della
querelle puramente nominalistica per lasciare il campo al problema del
rapporto tra la definizione di un evento di scala planetaria e il suo
impatto sulla comunità umana. Partiamo quindi da ciò per recuperare
alcune riflessioni come quelle alle quali ci demanda l’articolo
comparso l'altro ieri su l’Osservatore romano
dedicato al confronto tra « Abu Mazen e Netanyahu sul carattere ebraico
dello Stato d’Israele» . Anche qui si parla di denominazione, sotto le
quali si cela però la questione fondamentale della legittimazione ad
esistere (e in quale modo). Nelle ultime due settimane, infatti, ha
ripreso vigore la querelle, peraltro mai esauritasi, sulla natura
ebraica dello Stato d’Israele. Si tratta di una notizia? Per molti
aspetti sì, poiché rilancia la questione dell’identità dello Stato
degli ebrei. La ragione di questa rinnovata attenzione ce la offre per
l’appunto il diniego, secco e netto, di Abu Mazen, alla richiesta
avanzata da Benyamin Netanyahu riguardo al riconoscimento, per parte
palestinese, del «carattere ebraico» d’Israele. Cerchiamo di intenderci
poiché la questione non è di lana caprina e va quindi sottratta ai
marosi della polemica spicciola. Dire Stato degli ebrei non è la
medesima cosa del parlare di Stato ebraico. Non si tratta di un gioco
linguistico o semantico, e neanche di una sfumatura lessicale, ma di
diverse (a tratti quasi opposte) accezioni alla moderna Israele. Così
come c’è una differenza non da poco tra popolo d’Israele, che demanda
al dettato biblico, e popolo israeliano, che racchiude la natura
giuridica del rapporto di cittadinanza, dove coesistono insieme ebrei e
non ebrei. Già a suo tempo, peraltro, alcuni tra i fondatori d’Israele
avevano posto l’accento sulla non facile coesistenza, nella medesima
Dichiarazione d’Indipendenza letta a Yom ha Atzmaùt del 1948 da Ben
Gurion, della declinazione democratica e, nel medesimo tempo, ebraica,
della natura dello Stato che andava nascendo. Peraltro nella stessa
Dichiarazione, a rafforzare il fondamento di ciò che si istituiva,
soccorreva l’espressione che il tutto stava avvenendo «in virtù del […]
diritto naturale e storico» degli ebrei di vivere in Eretz Israel
secondo criteri e strumenti di autogoverno. A suggello di questa
affermazione si elencavano nel corpo della Dichiarazione, tuttavia, non
fatti di natura religiosa (che avrebbero suffragato il «diritto
naturale») bensì gli eventi e le deliberazioni di natura politica che
costituivano gli antecedenti della stessa iniziativa che si consumava
nel pomeriggio del 5 di Iyar 5708: il primo congresso sionista di
Basilea del 1897, la Dichiarazione Balfour del 1917, il Mandato della
Società delle Nazioni, la Shoah e la Risoluzione 181 votata
dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947. A fondamento
della legittimità d’Israele i costituenti posero quindi sia una
consuetudine, l’«attaccamento storico e tradizionale» degli ebrei a «
Eretz Israel» (che è terra, non Stato), fatto che è di per sé solo in
parte il prodotto di una identità religiosa, sia il materiale
concatenarsi degli eventi che avevano reso inderogabile il fare sì che
nascesse Medinat Israel (che
è invece Stato, nel senso moderno del termine), la patria degli ebrei
intesa non più come aspirazione bensì come nazione tra le nazioni. È
abbondantemente risaputo quanto la medesima religione ebraica
risultasse assai poco pertinente ai laici fondatori d’Israele,
perlomeno nel merito dell’azione della sfera dei poteri pubblici. Di
essa avevano una concezione per così dire funzionale non meno che
privata: il demandarvi era inteso nel senso di affermare un comune
ethos civile, non certo il sancire una qualche forma di teocrazia che è
del tutto estranea all’esperienza storica israeliana. Dopo di che le
contingenze politiche fecero sì che Israele non riuscisse a dotarsi di
una Costituzione, in questo impedita anche dallo sbarramento posto dai
partiti religiosi. Il quesito che oggi si ripropone è allora uno: può
una comunità politica moderna, intrinsecamente democratica, ovvero
inclusiva, poiché capace di raccogliere nel suo seno il pluralismo
identitario della moltitudine di individui che la abitano e ne
condividono i luoghi e i tempi, caratterizzarsi per una appartenenza
che si vorrebbe come definita una volta per sempre, come per l’appunto
quella ebraica? Più chiaramente, ha senso parlare di Stato ebraico? Per
meglio dire, ancora, la natura ebraica d’Israele, in cosa concretamente
consisterebbe? Si sono versati fiumi d’inchiostro su questo problema ma
non si è pervenuti a nessun accordo poiché non sussiste alcun punto di
mediazione. L’ebraicità, se attribuita ad un complesso di istituzioni,
è un concetto puramente storico, ovvero discendente dal giudizio di
valore che si dà sul momento. In altre parole ancora, non connota una
sfera inderogabile, una radice inalienabile bensì l’insieme dei
costrutti identitari che prevalgono in un dato momento. Per parte
palestinese il rifiuto dell’ebraicità d’Israele può volere dire più
cose ma rimanda, nel momento corrente, alla implicita comprensione che
la formula «due Stati per due popoli» pare avere oggi poche chance.
L’impasse è evidente e non data all’attuale governo Netanyahu, sul
quale presumibilmente le leadership divise di Ramallah e Gaza
cercheranno d’ora innanzi di fare cadere tutte le responsabilità dei
loro rispettivi ambiti, ma alla crisi che dal 2000, anno in cui fu
lanciata l’ intifadah al-Aqsa, attanaglia il campo palestinese. La
frattura nel seno dell’Autorità nazionale palestinese e la nascita di
due entità separate politicamente, prima ancora che geograficamente,
ossia Gaza e la Cisgiordania, ha coinvolto tutto il gruppo dirigente
dei Territori palestinesi, segnandone la definitiva spaccatura in due
tronconi non ricomponibili e facendo tramontare molte delle possibilità
verso la costruzione di uno Stato unitario. Dette queste cose, e
andando oltre esse, a ricordarci che esiste sempre un passato che non
può passare c’è poi la notizia che ci racconta il Corriere della Sera,
facendoci sapere che Youssef Al Molqi, membro del commando palestinese
che assassinò nel 1985, sulla motonave Achille Lauro, il passeggero
americano di origine ebraica Leon Klinghoffer, è stato liberato
per buona condotta dopo 23 anni di galera. A questo cupo passato,
fatto di tragedie e lutti inconsolabili, contrapponiamo le riflessioni
di Dino Messina, sempre sul Corriere della Sera,
riguardo al centenario della nascita di Leone Ginzburg. A Torino ci si
sta adoperando per un fitto carnet di incontri, che troveranno nella
Fiera del libro, a metà di questo mese, il punto di partenza. Non di
meno, e sempre pensando ad un passato che ci chiama in causa,
trattandosi di una questione che demanda alla nostra coscienza di
cittadini d’Europa, si leggano le note critiche di Pierluigi Magnaschi
su Italia oggi
riguardo al silenzioso boicottaggio che sta subendo, da parte della
distribuzione, il bellissimo film che Andrzej Wajda ha dedicato al
massacro consumatosi nelle fosse di Katyn. In quei luoghi, gli uomini
di Stalin trucidarono 22.000 appartenenti alle forze armate polacche, a
partire dagli ufficiali di un esercito la cui nazione era stata
straziata e disintegrata dalla duplice occupazione nazi-stalinista del
1939. Così riguardo ad altre proscrizioni, come quella
raccontataci da Anna Maria Merlo su il Manifesto, imposta al romanzo di Nedim Gürsel Le figlie di Allah , giudicato offensivo nei confronti della religione musulmana o quella narrataci da Fabio Scuto su la Repubblica contro il Teatro della libertà,
compagnia palestinese insidiata e minacciata dai fondamentalisti
islamici. Per finire, segnaliamo il lungo articolo di Antonio
Landolfi su Riformista Socialismo Europa dedicato al conflitto tra israeliani e palestinesi.
Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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Israele, rinnovo di incarico per Meir Dagan a capo del Mossad Tel Aviv, 1 mag - La
radio militare israeliana ha reso noto che Meir Dagan, dirigerà il
Mossad, il servizio di spionaggio israeliano, fino al 2010. Dagan
comanda il Mossad dal 2002 e, secondo la emittente, si é distinto per
una serie di successi che scaturiscono da un netto rafforzamento del
suo "braccio operativo". La decisione di Netanyahu, viene affermato, è
legata alla necessità di evitare avvicendamenti ai vertici dei servizi
segreti in un periodo critico in cui Israele moltiplica gli sforzi per
contrastare i progetti nucleari iraniani. Da parte sua, il Mossad
pubblica oggi sulla stampa annunci in cui propone ai giovani israeliani
incarichi particolarmente complessi. Fra le qualità necessarie sono
menzionate "una facoltà mentale elastica e creativa, curiosità,
maturità e rigore morale".
Papa in Israele, per l'ambasciatore Mordechai Lewy la concessione dei visti dipende anche dall'Anp Città del Vaticano, 1 mag - L'ambasciatore
israeliano presso la Santa Sede Mordechai Lewy, ha affermato che il
problema dei visti dei cristiani di Gaza e dei territori occupati è
"una questione complessa" perché "coinvolge tre parti". "Da un lato i
cristiani che li richiedono, dall'altro Israele, preoccupata di far
uscire dei palestinesi da Gaza e dall'altro ancora l'Autorità
palestinese che deve lasciarli entrare. Questo perché - ha precisato
Lewy - non chiedono di andare in Israele, ma a Betlemme e quindi la
decisione spetta al 50% all'Anp". Lewy ha precisato che Israele
sta facendo il possibile per risolvere il problema dei visti richiesti
dai cristiani di Gaza e dei territori occupati che desiderano
incontrare il papa durante il suo prossimo viaggio in Israele.
Israele, razzo Qassam cade nel Neghev, nessuna vittima Tel Aviv, 30 apr - I
media israeliani hanno dato notizia di un razzo Qassam lanciato dalla
Striscia di Gaza e piovuto ai margini di un kibbutz, nella
regione israeliana di Eskhol (Neghev) senza provocare vittime. Si
tratta del primo lancio da diversi giorni a questa parte, dopo una fase
di relativa quiete seguita all'attacco militare Piombo Fuso (concluso
da Israele il 18 gennaio); fase coincisa con i tentativi - poi
congelati - avviati attraverso la mediazione dell'Egitto per provare a
dar vita a una tregua duratura.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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