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L'Unione informa |
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4 maggio 2009 - 10 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
E'
stata fotocopiata e rilegata in un numero limitato di copie l'edizione
del lunario di Roma per il 5707, il lontano 1946-47, quando era rabbino
capo David Prato, appena tornato dalla Palestina
dopo i traumi della Guerra Mondiale. Tra le cose (e sono tante) che
destano curiosità e stupore è l'elenco delle date da ricordare nel
calendario ebraico, dove non solo sono ovviamente presenti le feste
tradizionali, ma tutta una serie di eventi legati alla recentissima
storia del sionismo e alla biografia dei suoi fondatori. In quella
scelta di ricordare certe date, in quel momento, c'era un'evidente
forzatura ideologica e polemica, la cui necessità si è attenuata col
passare degli anni (tempo galantuomo?). Lo Stato d'Israele non c'era
ancora, e ora che c'è da 61 anni nessuno o quasi ricorda, almeno da
queste parti, la nascita del suo promotore, Theodor Herzl, di cui
proprio questa settimana è la data civile di nascita (2 Maggio 1860,
l'anno prossimo saranno 150 anni). Flussi curiosi dell'identità e della
storia ebraica. E a proposito di compleanni, godiamoci la prima
candelina (ammesso che non sia un rito pagano) di questa rubrica e un
ringraziamento a tutti coloro che l'hanno promossa e ci hanno creduto:
spero di non offendere nessuno citando Guido Vitale, Lucilla
Efrati, Valerio Mieli e last but not least, Anna Foa, collega dall'inizio di questo strano tandem di "pensierini" quotidiani. |
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Non
riesco a pensare ad altro: a questa ragazza poco più che ventenne, al
suo viso delicato nelle foto. Delara, che penzola da una forca in Iran,
come tanti prima di lei e come tanti dopo, se non li fermiamo. Loro e
anche gli altri che ancora fanno penzolare i bambini dalle forche e
assassinano senza giustizia.
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Anna Foa,
storica |
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Moked - I giovani l'educazione ebraica e i luoghi dell'ebraismo
Più di 200 ragazzi tra i dodici e i diciotto anni si sono ritrovati a
Milano Marittima per un week end parallelo, e in qualche modo
complementare, al Moked sull’educazione ebraica, di cui erano già
indirettamente protagonisti. Organizzati dall’Ufficio Giovani Nazionale (UGN),
questi quattro giorni hanno rappresentato un momento divertente ed
educativo, che ha visto, cosa inconsueta, la partecipazione di ragazzi
di diverse organizzazioni giovanili ebraiche. Oltre all’UGN erano
infatti presenti un gruppo del movimento religioso Benè Akiva, a cui è
stata presentata l’Hachsharà, il programma per passare un anno in
Israele al termine del liceo, e i ragazzi dell’Ufficio Giovani di Roma
che partecipano al corso di preparazione per il Bar-Mizvà e di
formazione per madrichim. Oltre alle peullot (attività) sul tema scelto, I luoghi dell’ebraismo,
in cui si è parlato di Israele, ma anche delle nostre Comunità, non
sono mancati i momenti di puro svago, come la gita a Mirabilandia di
venerdì. Una bellissima occasione per ragazzi provenienti non solo
da Roma e Milano, ma anche da Torino, Livorno, Venezia, Pisa e Napoli,
per incontrarsi e vivere uno Shabbat speciale e un assaggio d’estate in un’atmosfera di ebraismo.
Rossella Tercatin
Un "bimbo" da Dimona al Liverpool Yossi conquista il campionato inglese
Sin
dagli esordi è stato per tutti “il bambino”. Complice una precocissima
carriera. Ma a 28 anni Yossi Benayoun lo è ancora. Nel senso che tutti
lo chiamano così. Un nome non da titanico marcantonio per il
capitano della nazionale israeliana di calcio, nativo di Dimona, una
piccola città del deserto del Negev. Perché Yossi è mingherlino e non
ha i trapezoidali muscoli di altri capitani, vedi John Terry o Steven
Gerrard. Ma la rapidità, il talento e la personalità hanno colmato le
altre pecche, trasformandolo in un giocatore di caratura assoluta. Del
resto, non sarebbe altrimenti approdato, nel settembre 2007, al
Liverpool di Rafa Benítez. Che, sempre in quella stagione, costrinse la
dirigenza a farsi comprare un altro eterno bambino, quel “niño” di
Fernando Torres, inseguito per anni (e vanamente) dal Milan.
I
rossoneri vengono dipinti nei bar sport italiani (in quelli rimasti,
direbbe Benni) come una squadra di vecchi. In Inghilterra, invece, si
punta sui giovani. Benítez è andato oltre, pensando bene di portarsi
due “bambini” in prima squadra. Ma se l’infante spagnolo è stata una
promessa svezzata con tutti i vizi e le accortezze dall’Atlético Madrid
e dalla Spagna intera, altra è la storia di Benayoun. Sì, anche lui è
stato considerato da giovanissimo un genio del calcio di casa. Ma le
comodità che aveva Torres gli erano sconosciute. Tanto che
quando cominciò la sua carriera a 9 anni nell’Hapoel di Beersheva, la
più grande città del Negev, il piccolo Yossi ogni giorno faceva
l’autostop per andare agli allenamenti. Provenendo da una “delle più
piccole e povere città israeliane” (Benayoun dixit),
dove la sua famiglia ancora vive, non v’era altra soluzione.
All’improvviso, però, nel 1995 arriva l’occasione della vita. Alla
porta di casa Benayoun bussa l’Ajax. La squadra che probabilmente vanta
il miglior settore giovanile del mondo, la cui covata ha svezzato
campioni cristallini come Van Basten, Seedorf, Cruyff, Ibrahimovic -
per citarne solo alcuni. Come potrebbe mai rifiutare tale offerta un
giovane di radiose speranze come Yossi?
E così, si
carica tutta la famiglia sull’aereo e decide di abbandonare il deserto
per la depressione olandese. Una depressione che, purtroppo, non sarà
solo geografica. Sia chiaro, non si sta parlando di patologia per
Yossi, che nelle giovanili dei lancieri diventa subito il miglior
giocatore e il capocannoniere. Lui che punta non è. Tanto che, dopo
pochi mesi, l’Ajax gli offre un contratto quadriennale da
professionista. La risposta di Benayoun? “Mi dispiace, ma devo
ritornare a casa”.
“Il trasferimento in Olanda lacerò la
mia famiglia” ha spiegato successivamente il giocatore. La famiglia e
la ragazza Mirat, allora quindicenne, oggi amata moglie, non riuscivano
ad ambientarsi in Olanda. “Il denaro era importante, specialmente per
una famiglia povera come la nostra. Ma ci sono cose più importanti
nella vita”. E così, dopo otto brevissimi mesi di successi con l’Ajax,
il piccolo Benayoun ricomincia in Israele. Di nuovo all’Hapoel. Ma
la prima stagione, nonostante 15 goal in 25 partite (un’immensità per
un’ala come lui) e un rigore delicatissimo realizzato al novantesimo
dell’ultima partita contro il Maccabi Haifa, la squadra di Beersheva
retrocede in B. Uno scenario non da Benayoun, le cui lacrime post
partita non sono state dimenticate in Israele.
E così
nell’estate ‘98 si trasferisce proprio al Maccabi, il primo club nella
storia del paese a partecipare alla Champions League 2002. Qui
contribuisce prima al licenziamento del mister Eli Cohen, con un
diverbio scaturito in campo. Ma intanto, il 18 novembre 1998, esordisce
in nazionale contro il Portogallo. E poi, sotto la guida del futuro
allenatore del Chelsea Avram Grant, si consacra definitivamente,
segnando a raffica, vincendo due campionati (il primo dopo 7 anni per
il Maccabi) e venendo eletto “miglior giocatore d’Israele”. Yossi sarà
pur sempre un “bambino”. Ma a 22 anni il calcio di casa gli sta
stretto. E allora via, si riparte. Destinazione Spagna. Dove forse vive
le stagioni calcisticamente più opache. I tre anni al Racing di
Santander lo hanno fatto crescere da molti punti vista, soprattutto
mentale. Ma la squadra spagnola è quello che è, ossia mediocre. Yossi
vuole “provare qualcosa di diverso”. Arriva l’offerta del West Ham.
Benayoun accetta, seguendo le orme del connazionale Eyan Berkovic.
Anche qui la squadra non è trascendentale.
Ma l’israeliano,
dopo un primo periodo di assestamento, sfoggia presto le sue qualità
tecniche e fisiche (l’allenatore Pardew arriva a paragonarlo persino a
Zidane), soprattutto in finale di Fa Cup 2006, persa contro il
Liverpool ai rigori. Quella sera convinse i Reds ad investire su di lui
per la stagione successiva. Dal trasferimento in rosso, fortemente
voluto dal giocatore, Yossi ha ottenuto, tra alti e bassi, la
consacrazione internazionale. In questo periodo è diventato capitano
della nazionale, per la quale ha sempre dato tutto. E anche oltre. Come
dimenticare, ad esempio, la decisiva partita contro la Croazia per la
qualificazione a Euro 2008 (peraltro mancata per un misero punto).
Quando Benayoun, in condizioni fisiche precarie, si sottopose a
numerose infiltrazioni pur di giocare. Col risultato di peggiorare la
sua cartella clinica, finendo ko per un altro mese.
Dal
Liverpool, tuttavia, dove la concorrenza è spietata, il piccolo Yossi
ha chiesto più volte di andar via. Ma quando viene chiamato in causa,
spesso fa la differenza. Quest’anno, negli ottavi di Champions League,
ha affossato il Real Madrid al Bernabeu con un siluro di testa,
svettando tra i colossi spagnoli. Nell’ultimo, epico 4-4 europeo del
Liverpool contro il Chelsea, Benayoun è rimasto in campo sino
all’ultimo secondo. Ed è stato decisivo anche nel primo match di
aprile in Premier League contro il Fulham. Partita che, dopo quattro
traverse dei Reds, sembrava maledetta. Ma ecco al 92’ un
mingherlino che squarta le maglie della difesa avversaria e scarica un
missile sotto il sette. 1-0 tutto cuore e il Liverpool prosegue la sua
rincorsa al Manchester United. E ora, essendo l’unica squadra inglese
di vertice esclusa dall’Europa, con Yossi potrebbe rivincere la Premier
League dopo 19, pesantissimi anni di digiuno. Non sarà un gioco da
ragazzi. Ma da “bambini” sì, a casa Liverpool.
Antonello Guerrera
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Fragilità e forza dello Stato di Israele
La fondazione dello Stato di Israele e la sua esistenza rappresentano
nell’ordine del mondo una sfida che è ancora difficile valutare in
tutta la sua portata. Già costretto a difendersi prima ancora di essere
fondato, Israele è diventato negli ultimi decenni, dopo Oslo, e
soprattutto dopo la prima conferenza di Durban del 2001, lo Stato-paria
fra gli Stati-nazione. La demonizzazione del sionismo, la
delegittimazione mediatica, il riemergere di stereotipi arcani hanno
tentato di decretarne l’isolamento mondiale. E la questione ebraica ha
assunto dimensioni planetarie.
Si
può e si deve essere orgogliosi delle stupefacenti realizzazioni
compiute dallo Stato di Israele. Ma ancor più si deve essere orgogliosi
del difficile e scomodo compito a cui Israele è chiamato. Lo Stato
ebraico infatti non è – e non può essere – uno Stato come un altro, uno
stato normale. Perché la sua esistenza viene messa in dubbio?
Perché lo scandalo è il suo stesso modo di essere. È noto l’argomento
della sua supposta illegittimità: l’esistenza di Israele sarebbe
segnata da un peccato originale,
quello cioè di aver scalzato, come popolo straniero, un popolo
“autoctono”, cioè indigeno, nativo, locale. Se però il popolo ebraico è
sopravvissuto a venti anni di esilio, è perché è rimasto legato a Sion,
rivolto con la sua speranza a Gerusalemme. Ma Israele
irrita la sovrana autocoscienza delle nazioni che vantano le loro
radici nella terra, la loro presunta identità territoriale. È come se –
per la sua irriducibile estraneità – Israele sollevasse la domanda: chi
sono gli abitanti originari, i primi occupanti, gli autoctoni, di
questa terra, ma anche di ogni terra? Il popolo ebraico non può né
dimenticare, né far dimenticare, che sulla terra nessuno è autoctono,
ma tutti sono ospiti temporanei, stranieri residenti (Lev 20, 23).
Rispetto all’autoctono, a chi crede di essere radicato sin
dall’origine, lo straniero, pur essendo residente, ha un rapporto del
tutto diverso con la terra, con l’altro, con se stesso. È questa
possibilità aperta di un nuovo abitare che il popolo ebraico è chiamato
a testimoniare.
Ecco perché il ritorno di Israele
rappresenta la minaccia di un sisma per tutti gli Stati-nazione. Anche
nel conflitto che, suo malgrado, lo coinvolge, Israele esibisce il
limite dello Stato-nazione inchiodato all’immanenza del potere e del
territorio, fondato sull’esclusione dello straniero. Se tutti i popoli,
nello scenario attuale della globalizzazione, lo sperimentano ogni
giorno, è Israele a indicare tale limite, ma anche a rinviare a un
oltre. Quel che è richiesto a Israele, oggi più che mai, è
restare fedele all’aldilà da sempre inscritto nello Stato di David. Il
che vuol dire far fronte realisticamente alla “necessità dell’ora”
senza smettere di guardare, nell’ora, a cioè che è a venire. Forza e
fragilità di uno Stato che si richiama al diritto futuro di una
promessa e che potrebbe aprire perciò nuovi scenari nel diritto
politico mondiale. Donatella Di Cesare
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Oggi arriva a Roma il nuovo ministro degli esteri israeliano Lieberman (notizia breve sul Corriere, articolo di Figà-Talamanca sul Mattino che riporta la posizione del suo collega italiano Frattini "pronto a mediare", notizia su D-News delle contestazioni preparate dagli estremisti filopalestinesi). Sarà
l'occasione per chi lo incontrerà di capire meglio la politica del
nuovo governo, che non è ancora del tutto esplicita. Amid Oren su Haaretz
lamenta per esempio una certa incertezza strategica israeliana
sull'Iran: vi sarebbe chi come Netanyahu e perfino Livni considera
quella iraniana una "minaccia esistenziale", che implica la necessità
assoluta di un'azione militare, mentre Barak non sarebbe d'accordo. Una
breve di Repubblica
riporta a questo proposito la notizia che era circolata dei giorni
scorsi che l'aviazione israeliana ha realizzato un'esercitazione estesa
fino a Gibilterra, a 3000 chilometri da Israele, compreso il
rifornimento in volo: è evidentemente la simulazione di una missione
sull'Iran. A proposito della diplomazia israeliana, da leggere un
editoriale non firmato del Jerusalem Post
che saluta con calore la nomina di Michael Oren al ruolo di "nostro
uomo in America": l'ambasciatore a Washinghton è il posto diplomatico
più importante per la diplomazia israeliana. Si avvicina intanto la visita del papa in Israele, che inizierà venerdì. Il programma viene raccontato da Giuseppe De Carli sul Tempo. Su Le Monde
leggiamo un articolo di Stephanie Le Bars la descrive come
problematica e affrettata, sia per i rapporti col mondo arabo, sia per
la questione fiscale dei beni ecclesiastici, che sta molto a cuore del
Vaticano. Sulla Repubblica
Marco Politi dà rilievo a un accenno nel discorso ai pellegrini tenuto
da Benedetto XVI come "un segnale": preghiamo, ha detto il papa, per la
sofferenza del popolo palestinese. Altri "segnali" verso il mondo arabo
sarebbero una colletta a una messa papale dedicata a Gaza per un
accordo con la Lega araba. D'altro canto, riporta L'Unità,
"Il cardinale Walter Kasper ha riconosciuto che il secolare pregiudizio
antiebraico della Chiesa è stato il terreno di coltura
dell'antisemitismo. In un'intervista al settimanale Focus il
presidente del Consiglio papale per l'unità dei cristiani, responsabile
anche per il dialogo tra cristiani ed ebrei, precisa che per un
credente cattolico l'antisemitismo costituisce un peccato."
Intanto
in varie parti del mondo proseguono gesti antisemiti. In particolare è
preoccupante la situazione in Colombia, dove imperversa Chavez, come
racconta Melanie Kirkpatrick sul Wall Street Journal Europe
in un articolo dal titolo significatoivo: "the politics of
intimidation. Una "lettera aperta" di David Breakstone a Theodor Herzl
in occasione dell'anniversario della sua nascita gli serve a commentare
il fatto che, nonostante le speranze di Herzl e di molti altri, la
fondazione dello Stato di Israele non è servita a far sparire
l'antisemitismo.
Una bella notizia dalla giustizia italiana è riportata in una nota del Corriere:
Il portavoce della Comunità ebraica di Milano, Yasha Raybman, ha vinto
la causa per diffamazione che gli era stata intestata da Oliviero
Diliberto per essere stato accostato ai bruciatori di bandiere
israeliane, neofascisti o comunisti che fossero.
Ugo Volli
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Roma, prima missione all'estero per il ministro israeliano Lieberman Roma, 4 mag - Colazione
di lavoro per il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, a
Roma per due giorni, che incontra il collega
italiano Franco Frattini alla Farnesina. Dopo la colazione di lavoro, il ministro
israeliano incontra a Montecitorio il presidente Gianfranco Fini.
Questa mattina Lieberman è stato ricevuto dal sindaco di Roma Gianni
Alemanno "Credo molto nella collaborazione e nel lavoro comune tra Roma
e Gerusalemme, le due città storiche per eccellenza che possono creare
un grande rapporto nel Mediterraneo e a livello internazionale" ha
affermato Alemanno che ha accompagnato Lieberman a visitare i
Fori e l'Arco di Tito che per gli ebrei di tutto il mondo, e per
lo Stato di Israele, ha un significato simbolico. "Gli ho raccontato -
ha aggiunto il sindaco di Roma - della cerimonia per il 60°
anniversario della Fondazione dello Stato di Israele, quando per la
prima volta abbiamo fatto una grande manifestazione insieme alla
Comunità ebraica di Roma". Nel pomeriggio, il Ministro israeliano vedrà
anche esponenti della Comunità ebraica. Prima di cena poi, dovrebbe
incontrare il ministro delle Politiche europee Andrea Ronchi. Domani in
agenda il faccia a faccia di Lieberman con il presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi, previsto per le 11 a Palazzo Chigi. Dopo Roma, tappa
di apertura del suo primo tour europeo, Lieberman proseguirà per
Parigi, Berlino e Praga.
Gerusalemme, la controversia sul ruolo di Pio XII non sarà in agenda nella visita del papa in Israele Gerusalemme 4 mag - Il
nunzio apostolico a Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, ha oggi
annunciato che la controversia sul ruolo svolto da Pio XII negli
anni dell'Olocausto "non sarà in agenda" nella visita che il papa
compirà in Israele dall'8 al 15 maggio. Monsignor Franco, ha
ribadito tuttavia che il pontefice si recherà allo Yad Vashem, il
memoriale della Shoah, per "rendere omaggio alle vittime" dello
sterminio nazista. Non è prevista invece una sosta nell'annesso museo
storico (laddove è affissa la contestata targa sui 'silenzi' imputati a
Pio XII), sosta di cui peraltro "non si è mai discusso - ha notato - né
per la visita di Benedetto XVI né per quella del 2000 di Giovanni Paolo
II". Quanto alle controversie, il nunzio si è detto certo che non
troveranno spazio. Il presule ha poi sottolineato che la Chiesa
cattolica è impegnata "a svolgere un lavoro di ricerca congiunto" con
gli studiosi dello Yad Vashem su papa Pacelli. L'obiettivo - ha
spiegato - è quello di "studiare insieme i documenti" per giungere a
"un approccio comune su questioni complesse di un'epoca storica
difficile". Un obiettivo non di breve termine, ha lasciato capire,
assicurando tuttavia che la Santa Sede negli ultimi mesi "ha accelerato
l'attività di catalogazione dei documenti" non ancora classificati su
Pio XII, in vista di quell'apertura piena degli archivi che molti
storici - e lo Yad Vashem - sollecitano. "Certo servono molti
investimenti, molto lavoro e grande professionalità", ha concluso il
nunzio, sostenendo che "non si può avere fretta se si vogliono
preservare i documenti". Ma dicendosi comunque fiducioso che
"l'accelerazione in atto possa condurre al traguardo entro quattro o
cinque anni". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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