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L'Unione informa |
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7 maggio 2009 - 13 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
La
gestione della fine della vita, del passaggio da questa vita ad
un'altra, dà un enorme potere a chi riesce a convincere di saperla
controllare. E' il segreto del successo di tante religioni passate e
presenti. Il problema si presenta con tante facce differenti e sempre
nuove; in un un'epoca, come questa, di tumultuoso sviluppo tecnologico,
uno di
questi aspetti è la questione etico-giuridica-scientifica
del momento della morte e se, e come, ognuno possa disporre di sé in
questo momento (se ne parlerà stasera a Roma al Palazzo della Cultura).
Sappiamo quanto questo dibattito sia coinvolgente e come le religioni
vi intervengano. Il brano della Torà che leggeremo questo sabato, Emòr,
stabilisce su tutta questa storia un principio che all'epoca era
rivoluzionario e che lo è tuttora, anche contro le tendenze interne
dell'ebraismo di adagiarsi a modelli esterni. Si prescrive che i
Sacerdoti non debbano avere contatti con i cadaveri. Si pensi che gli
ebrei erano appena usciti dall'Egitto dove tutta la religione e il
sacerdozio erano basati sulla gestione della morte e dell'aldilà. La
Torà è religione di vita e non di speculazione sulla morte. |
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Questa
settimana [Lode al Signore] è nato a Gerusalemme il nostro ottavo
nipotino. Le mamme in Israele sono in buona parte laureate, la maggior
parte lavorano. Ci si può chiedere allora come mai il livello della
natalità sia cosí differente in Israele (2,8 figli) e in Italia (1,2).
La spiegazione sta chiaramente nell’ambito dei valori, più che
dell’economia. Valori religiosi, sì, ma non solo. Il numero ideale di
figli fra gli ebrei in Israele è fisso da 30 anni attorno ai 4, dunque
superiore al numero reale che non cambia da 50 anni. Ma anche gli
strati più secolarizzati ne vorrebbero 3. La spiegazione che le persone
danno delle loro preferenze è lontana dalla retorica nazionalista ma
gravita semmai nell’ambito del privato: i figli sono sentiti un primo
luogo come un elemento essenziale nella vita della coppia e del nucleo
familiare, non come uno strumento per potenziare lo Stato o la sua
difesa. Si è dunque creata una relazione positiva fra sviluppo sociale
e dimensioni della famiglia. Chi ha maggiori risorse può meglio
realizzare le proprie aspirazioni riproduttive. E poi ci sono
istituzioni in grado di recepire i segnali che provengono dalla
società. L’ultima sentenza della Corte Suprema stabilisce che,
dall’anno prossimo, nella dichiarazione dei redditi le donne
lavoratrici potranno dedurre la spese sostenute per la governante dei
bimbi o per l’asilo nido. Indicazioni per l’Europa.
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Sergio Della Pergola,
demografo Università Ebraica di Gerusalemme |
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Un ricordo perenne di Anna Politovskaja e altri 5 eroi nel Giardino dei Giusti
"C'è
un albero per ogni uomo che ha scelto il Bene" dice un'iscrizione sul
cippo principale all'ingresso del Giardino dei Giusti di Milano, il
parco sorto nel 2003 sulla scia di altri già esistenti a Gerusalemme,
in Armenia e a Sarajevo. Tanti alberi piantati per ricordare le
persone comuni che hanno cercato di salvare degli esseri umani dalla
persecuzione, che si sono opposti ai genocidi o alla cancellazione
della loro memoria. E ora, altri sei nomi si sono aggiunti agli altri
già esistenti in una cerimonia svoltasi ieri alla presenza del sindaco
di Milano, Letizia Moratti, e di altri rappresentanti del mondo
politico fra cui il Presidente del Consiglio Comunale di Milano
Manfredi Palmieri, l'onorevole Emanuele Fiano, il Presidente del
Comitato per la Foresta dei Giusti, Gabriele Nissim, rappresentanti
della Regione, oltre alla vicepresidentessa Ucei, Claudia De Benedetti,
al Presidente della Comunità Ebraica di Milano, Leone Sued e a vari
consiglieri della Comunità di Milano. Un pruno, piantato dalla
figlia Vera, ricorda Anna Politkovskaja, la giornalista russa
assassinata a Mosca per aver denunciato i massacri di civili in
Cecenia, (nell'immagine in alto il Presidente Manfredi Palmieri a
fianco all'albero piantato per la giornalista), gli altri cinque
ricordano Hrant Dink, assassinato a Istanbul, Dusko Condor, il
professore di filosofia ucciso nel 1997 dopo aver testimoniato
presso il Tribunale contro i crimini di guerra su un eccidio di 26
musulmani commesso da nazionalisti serbi, Abdul Wahab, che ha salvato
la vita a numerose famiglie ebree durante l’occupazione nazista della
Tunisia, il console italiano Pierantonio Costa che durante i massacri
nel Rwanda salvò 2.000 persone, tra cui 375 bambini e infine quello in
ricordo dei 440 italiani che salvarono la vita agli ebrei durante la
Seconda Guerra Mondiale. "Oggi
ricordiamo coloro che hanno sacrificato la propria vita dimostrando una
straordinaria umanità, pur nella consapevolezza del rischio a cui
andavano incontro, ha detto la vicepresidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, Claudia De Benedetti, [...]uomini e donne
che hanno avuto il coraggio di essere uomini, nel senso più semplice e
più difficile di questa parola". "I Giusti, ha continuato la De
Benedetti, sono la nostra coscienza, fanno cadere tutti gli alibi della
malafede o della semplice indifferenza. Hanno dimostrato che di fronte
al male c’è sempre un’alternativa, si deve avere il coraggio di
scegliere, di dire un sì o un no. Grazie a loro, nell’immane orrore
della Shoà, una tenue luce di speranza e di fiducia si è fatta
strada. Ricordano a noi tutti che è umano perdonare, mai dimenticare:
perché è la memoria, che aiuta a scegliere tra l’indifferenza ed il
coraggio, che impedisce il ripetersi di errori nefasti". Nel
deporre i fiori nel luogo che ricorda la giornalista uccisa il 7
ottobre 2006 nell'ascensore del palazzo in cui viveva, il Sindaco
Moratti ha osservato "È il Giardino di tutti i Giusti del mondo, di
tutte le persone apparentemente normali ma che hanno sacrificato la
loro vita per i diritti di altri". Dopo di lei, Manfredi Palmieri,
che ha seguito la nascita del Giardino voluto dal suo predecessore
Giovanni Marra ha dichiarato: "È un luogo già nella mappa dell’impegno
civile di Milano. La collina del Montestella è stata scelta anche
simbolicamente perché sorta sulle macerie. Abbiamo mantenuto un impegno
verso la città che avevamo votato in aula".
l.e.
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Curiosità scientifiche
Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman è arrivato in Italia e non ha dilaniato nessuno.
Il Tizio della Sera
Leone, allora e oggi. Un ritratto di Leone Ginsburg
Non
può passare inosservato il centenario della nascita di Leone Ginzburg,
venuto alla luce a Odessa il 4 aprile del 1909 e prematuramente
scomparso a Roma, nel febbraio del 1944, nel carcere di Regina Coeli,
dov’era detenuto dai nazifascisti e dove morì a causa delle terribili
torture da loro impartitegli. La sua esistenza, tanto intensa
quanto breve, non più di trentacinque anni di vita, rappresenta il
crocevia delle aspirazioni di quanti, ebrei e non, intendevano il
Novecento non solo come il secolo di una generica e ambivalente
«modernità» bensì come l’epoca che portava in sé i caratteri di una
emancipazione umana, sia culturale che materiale, nel medesimo tempo
possibile ma anche e soprattutto definitiva. 'Se non ora, quando?',
sembravano chiedersi uomini della sua tempra, già allora cittadini di
una Europa che partiva dall’Atlantico per raggiungere gli Urali. La
riflessione di Ginzburg, peraltro, era debitrice di due esperienze
esistenziali, per più aspetti dirimenti nella sua traiettoria morale:
la nascita in Russia e, dopo l’espatrio in Italia nel 1910, quand’era
ancora in fasce, la maturazione culturale e civile in un paese posto
sotto il tallone di Mussolini e del fascismo; laddove, detto per
inciso, entrambe le parti, duce e movimento politico, costituivano non
solo la radice di una insopportabile dittatura ma anche e soprattutto
di un brutale regime, fondato sul consenso diffuso, ancorché passivo,
di molti italiani. Le idee che il giovane Leone e gli intellettuali e
politici (molto spesso le due funzioni si sommavano nelle stesse
persone) antifascisti della sua sofferta generazione andavano
maturando, nascevano dalla consapevolezza, condivisa con altre eminenti
figure della cultura d’opposizione, come Antonio Gramsci, i fratelli
Rosselli, Gaetano Salvemini e Piero Gobetti (tutti esuli o imprigionati
e quindi destinati a morire, se non già morti, per mano assassina), che
il fascismo non fosse un fenomeno transitorio e congiunturale bensì una
delle espressioni, ancorché patologica nella sua enfatica
manifestazione, di una sotterranea vocazione che era propria al paese.
Questo tanto più nei momenti di crisi, quando le fragilità già
evidenziatesi nel processo di unificazione nazionale, durante gli anni
del Risorgimento, riemergevano prepotentemente, in tutta la loro
dirompenza, trasformandosi in una disposizione d’animo, sospesa tra il
cinismo e l’ineluttabilità, ad abbandonarsi ad esperienze autoritarie.
Non a caso Gobetti aveva parlato del fascismo come di una «
autobiografia della nazione». Lungi dal volere declinare ciò nei
termini di una antropologia negativa, altrimenti ispirabile ad una
tanto perentoria quanto elitaria condanna della società nostrana in
toto, Leone Ginzburg, del pari a coetanei e sodali che si erano
raccolti intorno alla Casa editrice Einaudi, nata nel novembre del
1933, si adoperò quindi per cogliere i caratteri non transitori di quel
fenomeno chiamato per l’appunto fascismo, che in quegli anni si stava
affermando in tutta l’Europa, avendo però ad epicentro Roma. Non è un
caso, peraltro, se il motto dell’Einaudi era ed è rimasto spiritus durissima coquit,
ossia lo spirito digerisce tutto. Fu quindi una generazione di “dura
cervice”, che annoverava al suo interno figure come quella del futuro
musicologo Massimo Mila, del filosofo e politologo Norberto Bobbio, di
uno scrittore del tenore di Cesare Pavese, del sindacalista e politico
Vittorio Foa, del filologo e letterato Carlo Dionisotti, del politico e
dirigente d’impresa Giorgio Agosti e dello stesso editore Giulio
Einaudi, a chiedersi quale fosse il segno dello spirito dei tempi. A
capitanare l’intero gruppo, da Mila definito come una «confraternita»,
raccoltosi nella quasi sua totalità intorno al liceo Massimo D’Azeglio
di Torino, era Augusto Monti, che fino al 1934 aveva occupato, proprio
in quella scuola, fucina di futuri quadri dell’antifascismo, gli
insegnamenti di lingua e letteratura latina e italiana, nella sezione
B, passata poi alla storia come un piccolo allevamento di intelligenze
antimussoliniane. La formazione di Ginzburg, non diversamente dai suoi
compagni di studi, seguì quindi l’orientamento laico e risorgimentale
che Monti, tributario del magistero di Benedetto Croce, seppe offrire
loro. Il viatico antifascista fu offerto dalle letture montiane del
Breviario di estetica, redatto nel 1912 dal filosofo partenopeo, e
adottato come strumento di azione culturale dal gruppo torinese. Leone,
in questa congerie (il presagio di una catastrofe prossima ventura, la
guerra, andava intanto sinistramente maturando, percependo d’essa il
fatto che costituisse lo sbocco inevitabile della pulsioni regressive
dei fascismi europei) espresse la sua lucida precocità. Sulla scia del
dettato crociano Ginzburg, in un primo tempo, evitò l’impegno politico
diretto preferendo invece l’adesione a quanto il filosofo andava
professando, ovvero l’«aperta cospirazione della cultura». Pesava nella
scelta di questo percorso, con tutta probabilità, anche la condizione
di apolide nella quale ancora si trovava (otterrà la cittadinanza solo
l’8 ottobre 1931), pur essendo considerato, dai suoi pari, come un
intellettuale «russo-piemontese», a volere dire che in lui si
coniugavano radici lontane e un radicamento pervicace nella realtà
locale. In cuor suo, tutto ciò si traduceva nella passione per la
storia e la letteratura italiane e per gli studi di «slavistica»,
proiettati verso la lontana terra d’origine. Agli anni del liceo
seguirono così quelli dell’Università, a fare dal 1927, sempre a
Torino, dove poi si laureò in lettere, con la fine del 1931, ottenendo
poco dopo la libera docenza in letteratura russa. La frequentazione in
Francia, degli ambienti dei fuoriusciti antifascisti accese in lui la
volontà di gettarsi nella lotta politica. Tornato a Torino, dove la
polizia fascista aveva colpito duramente e con efficacia il nucleo
locale di Giustizia e Libertà, il movimento che cercava di dare anima e
corpo ad una opposizione di nuova specie al regime, si adoperò con
altri per ricostruire le file dell’organizzazione. Il suo diniego a
prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, imposto a tutta la
docenza universitaria, comportò infine l’estromissione dall’Accademia,
nel 1934, alla quale fece seguire, per parte sua, l’insegnamento presso
l’Istituto magistrale Berti. È di quell’anno, per l’esattezza l’11
marzo, il “fattaccio” di Ponte Tresa, al confine italo-svizzero, quando
due giovani ebrei torinesi, Mario Levi e Sion Segre Amar, vennero
fermati dalla polizia di frontiera che trovò sulla loro macchina una
ingente quantità di materiale clandestino di contenuto antifascista. Il
cerchio si strinse così anche su Ginzburg che il 13 marzo venne
arrestato insieme ad altre sessanta persone. Il regime, quasi a volere
dare un anticipo a quanto sarebbe successo con le leggi razziali del
1938, colse la palla al volo: l’agenzia Stefani, incaricata di fornire
alla stampa e al pubblico le versioni ufficiali dei fatti, in sintonia
con i voleri del fascismo, mise da subito in evidenza la matrice
“giudaica” della “cospirazione”. A seguito di ciò Ginzburg, insieme a
Segre Amar, fu condannato dal Tribunale speciale a quattro anni di
detenzione. Uscito dal carcere nel 1936, si poté dedicare solamente
alle collaborazioni editoriali, isolato com’era in ragione della sua
condizione di vigilato speciale. Il 12 febbraio 1938 sposò quindi
Natalia Levi, sorella di Mario. Dopo di che, con l’entrata in vigore
delle leggi razziali, fu privato della cittadinanza italiana. I primi
anni della guerra lo videro costretto a fare i conti con il cappio che
andava stringendosi intorno al collo di tutti gli ebrei italiani.
Confinato negli Abruzzi come «internato civile di guerra» vi rimase
anche dopo il 25 luglio 1943, alla caduta del regime di Mussolini, in
quanto apolide. Liberato in agosto, si attivò subito nell’intensa
attività politica che animava i circoli antifascisti, dividendosi tra
Milano, Torino e Roma. Mentre sul piano professionale continuò a
lavorare per l’Einaudi, sul versante politico si riconobbe nel
ricostituito Partito d’Azione, condividendo la militanza con Ferruccio
Parri, Ugo La Malfa, Manlio Rossi Doria, Riccardo Lombardi, Carlo
Muscetta, Riccardo Bauer, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Enriques
Agnoletti e tanti altri ancora. In questo breve elenco c’era già quasi
tutto il nucleo fondatore della futura Repubblica italiana. Per Leone
Ginzburg i tempi si fecero però sempre più duri. Nella Roma occupata
dai tedeschi diresse l’«Italia libera», giornale clandestino degli
azionisti. Si muoveva usando un nome di comodo, Leonida Granturco,
sapendo di essere nel mirino nazifascista, sia come oppositore politico
che come ebreo. Il 20 novembre 1943, dopo l’arresto di alcuni suoi
compagni di militanza, venne quindi catturato dalla polizia fascista e
tradotto a Regina Coeli. Gli fu fatale il fatto che quasi dieci anni
prima avesse già soggiornato in quel carcere poiché la sua vera
identità venne ben presto scoperta. Trasferito nella sezione
controllata dai tedeschi, iniziò per lui il terribile periodo delle
torture. Dopo alcune settimane di tormenti, oramai stremato, fu mandato
all’infermeria del carcere dove, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio
del 1944 morì. Leone Ginzburg fu e rimane figura di difficile
definizione poiché, ponendosi al crocevia di due mondi, quello
d’origine odessita e quello di acquisizione torinese, assommava
all’acribia del letterato e del filologo la passione per la ricerca. A
questa indole, che mai gli venne meno, e che coltivò anche a contatto
con alcuni membri della vivace comunità israelitica di Torino, dai
quali trasse motivi di autonoma riflessione su una ebraicità che però
mai visse come elemento di alterità rispetto al suo essere italiano di
acquisizione, si sommò ben presto la radice antifascista. Questa era
ben lontana dall’esaurirsi in una banale precettistica avversa al
regime, indagando piuttosto sulla necessità di originare una “Italia
nuova” che avrebbe dovuto fare i conti non solo con la notte
mussoliniana ma anche con le gravi carenze, se non gli inauditi
cedimenti, che avevano caratterizzato l’azione delle élite liberali,
aprendo la porta alle camicie nere. In questo Leone Ginzburg recuperava
la lezione del giovane Piero Gobetti, ispirandosi ad un rigore che era
prima di tutto morale e civile. Così lo ricorda, tra i tanti pensieri,
Norberto Bobbio quando della sua figura umana dice che: "Leone,
il grande mediatore: mi mise in pace con me stesso, con gli altri, con
le cose che non comprendevo, cui recalcitravo. Mi iniziò al «lungo
viaggio», che si sarebbe concluso nel «sangue d’Europa», e che abbiamo
terminato, dolorosamente, senza di lui". Torino ricorderà,
nei mesi a venire, in più occasioni e circostanze, questo suo
conterraneo d’acquisizione che tanto ha dato al Paese come alla stessa
città. Per informazioni si può consultare il sito
www.comitatopassatopresente.it.
Claudio Vercelli |
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rassegna stampa |
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Mentre
papa Benedetto XVI è ormai a un passo dal suo arrivo in Israele e
il sindaco di Roma Alemanno si appresta a ritirare, il 17 maggio, a Tel
Aviv il premio “Dan David” (Ester Mieli su Libero),
l’Onu ha già steso il suo tappeto rosso in Israele in attesa
dell’arrivo degli illustri ospiti che, probabilmente, saranno costretti
a commentare almeno parte dei dati sull’ultima guerra a Gaza presentati
dall’organizzazione internazionale. La Nazioni Unite hanno infatti
stilato un rapporto in cui viene condannata Israele per il modo in cui
è stata militarmente condotta l’operazione Piombo fuso. Tanto da
suscitare l’ira del presidente Shimon Peres: “E’ scandaloso, non lo
accetteremo mai. Pensiamo che non ci dobbiamo scusare perché abbiamo il
diritto di difendere la vita delle nostre donne e dei nostri bambini”,
è riportato da Repubblica, Giornale e il Messaggero. Anche perché, spiega ancora Peres, il rapporto non fa neanche menzione di Hamas: “E questo ci rende furiosi”. In
Italia, intanto, la politica bisticcia sul disegno di legge sulla
sicurezza che, approvato, instaurerà il reato d’immigrazione
clandestina (già previsto in altri Paesi europei, in forme più o meno
morbide). A far polemica è una frase del segretario del Partito
democratico, Dario Franceschini, che commentando il ddl dice: “Non è
moralmente accettabile che si strumentalizzi la paura, per tornare 70
anni dopo alle leggi razziali” (Corriere, Repubblica, Stampa, Giornale, Mattino, Unità, E Polis).
Battuta che scatena reazioni da una parte e dell’altra, tra chi
appoggia il segretario e chi, come la maggioranza, si indigna per le
leggi terribili che Franceschini si è permesso di evocare. La
politica, del resto, è in fermento per le elezioni europee di inizio
giugno. E tra il valzer veline-sì veline-no, va segnalata una
candidatura per il Comune di Imperia. Il Corriere della Sera racconta come il Popolo della Libertà abbia inserito nelle proprie liste di candidati
Gabriele Piccardo, 25 anni, figlio di Hamza Piccardo, l’imam di Imperia
ed ex presidente dell’Ucoii conosciuto per essere stato indagato per
incitamento all’odio razziale, E in attesa che il papa giunga in Medio Oriente un interessante articolo de Il Foglio, prova a fare ulteriore luce sui rapporti tra Israele e Santa Sede.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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Gaza, sì israeliano al trasferimento di fondi da banche della Cisgiordania Gerusalemme, 7 mag - Dopo
un colloquio che il premier Binyamin Netanyahu ha avuto ieri sera con
Tony Blair, ex premier del Regno Unito e attuale inviato per la pace in
Medioriente, il governo israeliano ha autorizzato il trasferimento di
12 milioni di dollari destinati a banche operanti nella striscia di
Gaza, dove si avverte una forte penuria di contanti. I fondi, che
saranno trasferiti da banche in Cisgiordania a quelle operanti a Gaza,
rappresentano circa un quarto della somma di cui l'Autorità palestinese
afferma di aver bisogno per pagare mensilmente gli stipendi ai suoi
dipendenti pubblici. Anche il mese scorso Israele aveva permesso il
trasferimento di una somma in shekel pari a 12 milioni di dollari.
Israele crea difficoltà all'invio di fondi a Gaza nel timore che
possano finire nelle mani di Hamas. Ma fonti palestinesi assicurano che
i soldi saranno accreditati direttamente sui conti dei
beneficiari. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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