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L'Unione informa |
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13 maggio 2009 - 19 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano |
Nel
capitolo 5 di Avòt si distingue tra due tipi di discussioni: una in
nome del Cielo e l’altra no e si porta come esempio di discussione
fatta in nome del Cielo quella fra Hillèl e Shammài mentre l’altro tipo
di discussione è quella tra Kòrach e il suo gruppo. La storia di Kòrach
ci può far capire che cosa intendono i chakhamìm per discussione non in
nome del Cielo. Kòrach è a capo di un gruppo di persone che si ribella
contro Moshè. Sono spinti alla ribellione da interessi e motivazioni
diversi che probabilmente avrebbero portato il gruppo di ribelli a
dividersi in un momento successivo. L’unico elemento comune è il
nemico, Moshè. Questa discussione non è in nome del Cielo perché non
basata sulla contrapposizione di idee ma di interessi. La discussione
tra Hillèl e Shammài è invece considerata, per antonomasia, in nome del
Cielo perché Hillèl e Shammài, pur dividendosi su moltissimi argomenti
di Halakhà mantengono intatti i loro rapporti personali. Ogni volta che
assistiamo e ci impegniamo in una discussione ideologica dobbiamo stare
attenti che sotto l’ideologia non si nasconda un interesse personale. |
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L'uomo
nuovo nei rapporti Usa-Israele è Michael Oren. Politologo americano ed
ex paracadutista in Israele, con una sorella morta in un attentato di
Hamas a Gerusalemme e i suoi libri sul Medio Oriente in cima alle
classifiche dei più venduti in America, Oren è un opinionista molto
determinato nei talk show tv e assicura che da ambasciatore di Israele
a Washington lo sarà anche con Netanyahu e Obama. C'è chi parla di
possibile crisi nei rapporti Usa-Israele e Michael Oren rappresenta la
sintesi vivente fra le due nazioni. |
Maurizio Molinari,
giornalista |
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Immigrazione: serve il rispetto dei diritti, senza strumentalizzazioni e fraintendimenti
"L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane considera norma etica universale
irrinunciabile per tutti gli Stati il rispetto dei diritti fondamentali
delle persone anche nel legittimo esercizio della tutela delle proprie
frontiere". Lo ha dichiarato il Presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna. "L'Italia, ha aggiunto
Gattegna, aderendo ai trattati internazionali e ratificando le norme
dell'Unione europea si è impegnata a regolamentare il flusso di coloro
che desiderano immigrare e a rispettare la condizione di coloro ai
quali deve essere riconosciuto il diritto di asilo". "L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, ha concluso il Presidente Ucei,
rifiuta qualsiasi forma di comparazione tra le norme attualmente in
discussione e quelle che furono alla base del tentativo nazifascista di
sterminio dell'intero popolo ebraico; l'accostamento fra eventi e
periodi storici diversi non giova a fare chiarezza né dal punto di
vista giuridico né dal punto di vista morale".
Esperienza ebraica e comune senso del pregiudizio Un convegno al Centro di documentazione ebraica
Il
nostro Paese sta attraversando un momento difficile da molti punti di
vista. Una questione fondamentale, che ha assunto un rilievo sempre più
drammatico, è quella della convivenza con gli stranieri,
“extracomunitari” anche quando magari provengono da paesi Ue, chiamati
clandestini anche se regolari. Gli sbarchi quotidiani sulle coste
siciliane contribuiscono a mantenere elevata l’attenzione sul problema,
così come le parole del Presidente del Consiglio Berlusconi che non più
tardi di pochi giorni fa ha rigettato con forza il modello di Italia
multietnica che l’accettare un numero eccessivo di migranti porterebbe
con sé. Il tema della tutela e della convivenza con le
minoranze non può essere relegato nel dimenticatoio dagli ebrei
italiani, che ben sanno cosa significhi essere considerati una presenza
scomoda, se non sgradita. Per questo motivo il Centro di
Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) organizza oggi, mercoledì
13 maggio, presso l’Istituto dei Ciechi di Milano, una Tavola
rotonda su “Il comune senso del pregiudizio... I pregiudizi di ieri e
quelli di oggi, le ricerche in corso, gli atteggiamenti nella società,
le buone pratiche...” in cui interverranno Gad Lerner, Renato
Mannheimer, Milena Santerini, Gian Antonio Stella, Tommaso Vitale
(nella foto in alto). Parliamo con Tommaso Vitale, sociologo
dell’Università di Milano Bicocca, nonché autore del
libro Politiche Possibili. Abitare le città con i rom e i sinti
(Carocci Editore 2009). Professore, quale è oggi la situazione dei rom in Italia? L’attitudine
degli italiani verso i rom è molto negativa, da sondaggi solo il 6%
della popolazione dichiara di avere simpatia per loro e solo il 30%
ritiene che la convivenza con i rom sia possibile. Chi sono le persone che in Italia manifestano maggiore simpatia verso rom e sinti? Questo
piccolissimo gruppo di gadjés (persone non di etnia rom) che
manifestano una precisa simpatia nei confronti degli zingari ha alcune
caratteristiche che possono essere fatte notare. Sappiamo che il
pregiudizio non può essere spiegato interamente partendo dalla
struttura e dalle dinamiche della personalità. Sono importanti anche
fattori geografici, storici e culturali. Essendo così esigua la
percentuale di persone con sentimenti di simpatia in Italia, possiamo
al più mostrare le catégorie in cui questo sentimento positivo è un
poco più diffuso: sono i più giovani e i cinquantenni, che hanno
vissuto il ciclo di protesta operaia e studentesca del ’68-77 e,
soprattutto, conservano la memoria di una fase in cui le relazioni
locali con i gruppi zigani erano anche positive e segnate da scambi e
complementarietà economiche. Poi non manifestano particolare antipatia
per i rom coloro i quali hanno un diploma di scuola superiore, ma
certamente non i laureati: la simpatia aumenta fino al diploma delle
superiori e poi diminuisce drasticamente. Qual è oggi il problema principale, che sottosta all’ostilità così marcata nei confronti di questi gruppi? Credo
il problema principale sia la perdita della memoria storica
dell'iscrizione di rom e sinti nella storia di lungo periodo delle
società urbane e rurali del nostro Paese. La gestione del
“problema nomadi” è emersa in molte città prima del Nord e poi del
Centro Italia a cavallo fra gli anni ’70 e gli anni ’80, in assenza di
un quadro regolativo comune di coordinamento a livello nazionale. La
scelta è stata quella di attrezzare delle aree di sosta in luoghi
periferici, marginali e invisibili delle città e di fare confluire e
coabitare gruppi itineranti e gruppi stanziali: è stata l’invenzione,
solo italiana, del “campo nomadi”. Nel corso degli anni questi luoghi
segregati sono andati a costituire una trappola per molti gruppi, da
cui solo pochi sono riusciti a uscire. Luoghi visti con ostilità, hanno
contribuito a costruire un’immagine caricaturale dei gruppi zigani, e a
costruire lo stereotipo dell’eterno straniero, ri-attivando
l’immaginario del XVIII secolo. Negli anni ’90 i campi sono diventati
uno strumento di politiche locali usato anche nei confronti di gruppi
zigani di nuova immigrazione, che scappavano dalle guerre balcaniche.
Molte città si sono limitate a politiche locali scarne e
controproducenti, basate sul connubio fra “campo nomadi & sgomberi
ciclici”, in cui la scelta di costituire grandi campi segregati ha
spinto verso la moltiplicazione degli sgomberi forzati. In questo
processo, i meccanismi appena descritti hanno fatto sì che si perdesse,
quantomeno fra le generazioni più giovani, la consapevolezza del fatto
che la maggior parte dei gruppi zigani sono italiani e la memoria delle
diverse forme del loro radicamento locale. Si è dimenticato come essi
facciano parte della storia delle società urbane e rurali italiane.
Rossella Tercatin
La sinagoga ferita
 (copyright tutti i diritti riservati Ruth Ellen Gruber)
La
storia rivelata in un cartellone. A Samorin, una piccola città slovacca
vicino a Bratislava, un manifesto permanente narra in cinque lingue,
compreso l'italiano, il modo in cui la sinagoga locale è stata
riportata in vita dopo mezzo secolo di abbandono. La sinagoga era stata
costruita nel 1912. Durante la Seconda Guerra Mondiale gli ebrei che
vivevano lì furono sterminati. La sinagoga fu utilizzata come un
deposito di munizioni, poi come magazzino di grano. La prima volta che
l'ho vista, nel 1990, il suo stato di degrado e solitudine mi ha
toccato veramente il cuore. Pochi anni dopo, una coppia canadese di
origini slovacche è riuscita a salvarla. Rivolgendosi all'Unione
ebraica di Bratislava, Suzanne e Csaba Kiss hanno preso in affitto la
sinagoga e l'hanno trasformata in un centro per l'arte contemporanea.
L'hanno chiamata la "At Home Gallery" -- "La Galleria di casa." Nessun
ebreo vive più nel luogo. Ma la gente torna, ebrei e non ebrei, per
assistere ai concerti, alle mostre e alle altre manifestazioni
culturali. Lo stesso Dalai Lama è stato un ospite alcuni anni fa.
Durante il restauro della sinagoga, i Kiss hanno preso una decisione
importante. Hanno ripristinato perfettamente la facciata, ma dentro,
invece, hanno lasciato tracce molto suggestive che testimoniano del
danno e del degrado subito. "Le tramandano ricordi," dice Csaba Kiss.
"Li vediamo. E' molto speciale." Questa storia si legge sul cartellone
che accoglie i visitatori.
Ruth Ellen Gruber
Torino e i libri - Un percorso consigliato
Io e gli altri
è il tema che affronterà quest'anno la ventiduesima Fiera
internazionale del libro, che si svolgerà dal 14 al 18 maggio al
Lingotto di Torino offrendo un imponente elenco di nomi che ne
animeranno l'edizione. Un'edizione che vede l'Egitto come paese ospite
d'onore e la presenza di 50 editori in più dell'anno scorso, per un
totale che supera i 1.400 e che celebrerà la tenuta del libro in questi
tempi economicamente e forse anche culturalmente più incerti, come ha
confermato lo stesso presidente Rolando Picchioni: "In alcuni anni
eravamo noi a dover correre dietro gli editori - ha detto - ora ogni
anno bussano new entry". Abbiamo tracciato attraverso alcuni collaboratori di moked.it un piccolo percorso di alcuni degli eventi più interessanti di questi giorni da segnalare ai nostri lettori.
David Bidussa parteciperà domenica 17 maggio, nella sala autori A,
alla conferenza di presentazione di “Carlo Levi ad Alassio: inventario
delle carte”. Rientra nella serie “Proposte degli editori” questo
incontro a cura del Premio Alassio 100 libri - Un autore per l'Europa. Relatori
saranno, oltre a Bidussa, il professor Alberto Beniscelli,
dell’università di Genova, Giovanni Tesio, dell’università di Vercelli,
Feltrinelli ed Antonio Ricci, donatore del Fondo Levi alla biblioteca. L’opera
è stata curata da Luca Beltrami, ricercatore del Dipartimento di
Italianistica dell’Università genovese, sotto la supervisione di Franco
Contorbia e Alberto Beniscelli. Spiega Beniscelli: “Questo corposo
volume è il primo lavoro scientifico, corretto e completo, di
inventario e descrizione di tutti i pezzi che compongono l’archivio
Levi. Si tratta di lettere, manoscritti, diari, schizzi, poesie,
cartoline e bozze del suo lavoro, fra cui una sceneggiatura quasi
completa sul pittore Modigliani”. L’Italia è stata ad un passo dal
perdere gran parte dell’opera dell’autore di “Cristo si è fermato ad
Eboli” che, battuta ad un’asta del Christie’s a Roma, nel giugno 2004,
sarebbe potuta finire frammentata in collezioni private. In quella
occasione, invece, Antonio Ricci l’ha acquistata, per farne dono
alla città di Alassio che a sua volta, in un iter quanto mani virtuoso,
ha permesso l’analisi e lo studio del prezioso materiale. Bidussa
non sarà relatore, ma sarà sicuramente fra il pubblico in
sala durante l'incontro dedicato al centenario della nascita di
Leone Ginzburg, nella sala rossa
del lingotto sabato 16 maggio. Il titolo della conferenza è “Fare
cultura in un paese dominato”, ci si concentrerà sulla figura di
intellettuale organizzatore di cultura più che su quella di scrittore,
si cercherà di ricostruire l’attività di quello che fu chiamato “il
filologo della libertà”, e insieme il valore culturale, politico e
morale di tale impegno nell’Italia fascista. Interverrà, tra gli
altri, Luisa Mangoni, curatrice dell’opera ginzburghiana nonché autrice
di “Pensare i libri”, una storia della casa editrice di Giulio Einaudi
di cui Ginzburg fu fondatore e alla quale, uscito di prigione, diede
un’impronta decisiva. Da ultimo il professor Bidussa
ci consiglia caldamente la conferenza di domenica 17 maggio, che si
terrà nella sala dei cinquecento. “Le stagioni della memoria:
autobiografia e militanza politica nel ‘900”. In che modo i
militanti politici hanno raccontato la loro esperienza? E come è
cambiato quel modo di raccontare e raccontarsi? Un confronto di diverse
opinioni sul tema dell’eredità personale e pubblica dell’esperienza
nella sinistra comunista e postcomunista dal ’68 a oggi. Intervengono:
Fausto Bertinotti, Massimo D'Alema, Giovanni De Luna, Piero Fassino. È
Bidussa stesso a lamentare l’assenza (non inaspettata) di un’iniziativa
analoga delle destre italiane, o forse e più corretto parlare della
Destra italiana. Lo storico delle idee ravvisa una mancanza di
pluralità di opinioni interne all’attuale maggioranza governativa da
confrontare. E certo non è contento di un così lampante difetto di
dibattito nella principale forza politica del nostro Paese.
Ugo Volli
consiglia di essere presenti all’incontro, nel quale interverrà
egli stesso, con Bat Ye’or, figlia del Nilo. È lo pseudonimo di Giselle
Littman, nota studiosa anglo-egiziana rinomata soprattutto nel
campo delle scienze sociali, testimone della distruzione delle comunità
ebraiche egiziane. Bat Ye'or è nota a livello mondiale come pioniera
nello studio della Jihad. Le sue opere sono molto citate nel
contesto della lotta al terrorismo. La studiosa, pubblica articoli su
riviste di tutto il mondo e concede interviste a radio e televisione.
Ha pronunciato discorsi davanti al Congresso degli Stati Uniti ed alla
Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. È stata lei a
coniare l’ardito termine (e insieme la controversa tesi) di Eurabia:
nell’omonimo saggio sostiene che vi sia in atto un pericoloso processo
di islamizzazione dell’Europa derivante dalle politiche troppo
compiacenti condotte dall’UE nei confronti dei paesi arabi, e che
l’“antisemitismo”, ovvero le presunte ostilità delle classi dirigenti
occidentali verso l’establishment israeliano, sia figlio della
subordinazione ai produttori di petrolio. La presentazione del suo nuovo libro, Verso il califfato universale,
avrà luogo venerdì 15 maggio presso lo spazio autori B. Insieme a
Bat Ye’or e a Ugo Volli ci sarà anche Dario Peirone, ricercatore di
economia all’università di Torino.
Alberto Cavaglion
consiglia di essere presenti alla presentazione dell'ultimo libro di
Gerorge Bensoussan, responsabile editoriale del Memorial della Shoah di
Parigi, storico delle idee, autore di fondamentali testi come Histoire de la Shoah e Il sionismo, una storia politica e intellettuale e L’eredità di Auschwitz. Giovedi 14 maggio nella sala blu del
lingotto l’autore presenterà, insieme a Fabio Levi, “Genocidio,
una passione europea”, uno studio sulle pulsioni aggressive alla base
delle persecuzioni delle minoranze, sulle condizioni psicologiche e
culturali che hanno reso possibile il concepimento degli sterminii di
massa. Bensoussan compie un’operazione di archeologia intellettuale: va
alla ricerca di precedenti storici di quelle condizioni, riscoprendo
così l’azione, sotterranea ma potente, che atavici intrecci di
sentimenti e credenze ostili verso l’Altro compiono nella (e contro la)
storia del Progresso.
Alberto Cavaglion stesso, invece,
interverrà alla presentazione dell’ultimo romanzo di Roberto Cazzola,
“La delazione”, giovedì 17 maggio nello spazio autori A. Questo germanista romanziere ci propone un nuovo romanzo storico (come i sui precedenti Lavati le mani Elmar e Fedeltà), questa volta ambientato nella Torino delle leggi razziste. Un tuffo nella quotidianità di quel periodo tanto dolente. Il pomeriggio di sabato 16, sempre per la sessione Grandi autori, Arrigo Levi
presenterà la sua autobiografia: “Un paese non basta”. A illustrare
questa esperienza di grande giornalista interverranno Piero
Fassino, Gad Lerner e Alberto Sinigaglia. Questo libro è il coronamento
di una fortunata ed intensa carriera. Il racconto si sviluppa come un
sereno reincontro con le proprie origini, intessuto di riflessioni e
ricordi, che rievoca il mondo felice della giovinezza, trascorsa in
un'agiata famiglia della borghesia ebraica modenese, e poi le peripezie
subite a causa dell'andata al potere del fascismo e delle leggi
razziste, l'emigrazione in Argentina, il ritorno in patria, la
partecipazione da soldato alla nascita di Israele, il decennio
nell'Inghilterra di Churchill e di Giorgio VI, l'ingresso definitivo
nel giornalismo. Ritessendo la tela della propria formazione,
itinerante di paese in paese, Levi riflette anche sulla fede, sui
totalitarismi, sulla tragedia della Shoah, e in pagine di lucida e
spesso sorridente saggezza consegna al lettore una penetrante lezione
sul Novecento.
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Brand - Le facce, gli idoli e la crisi della politica
Facce
di tutti i tipi stanno invadendo i tabelloni elettorali, la
spettacolarità dell’immagine traborda, invade televisivamente le case,
si impone nelle caselle della posta. Le parole abbondano e ripetono
slogan tra il dire e il fare. Insomma, l’immagine sembra proprio
vincere, quando i valori sembrano proprio arretrare. E’ lo spettacolo
che va in scena, ma non è bello. Tutt’altro. La ritrosia, lo spazio da
lasciare agli altri non c’è più. C’è la voglia di prendere e di
possedere, e c’è la ricerca di chi possa meglio rappresentare questa
scelta. Ma, come sempre, le immagini senza contenuti non si
affermeranno, non c’è brand che tenga, se non è portatore di valori, se
non soddisfa bisogni, se non ha una funzione pratica o affettiva. È
anche per questo che i partiti non esistono più, i loro simboli in
verità non simboleggiano nulla, non danno emozioni. Non sono neppure
parvenze di simulacri, icone, emblemi. Per ben che vada sono idoli. E’
che purtroppo gli idoli e le loro rappresentazioni in questo stato di
cose spesso si affermano. Ma si sa che fine siano destinati a fare gli
idoli.
Elio Carmi, vicepresidente della Comunità Ebraica di Casale Monferrato
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La
visita di Benedetto XVI in Israele campeggia come prevedibile sui
titoli e sulle pagine dei quotidiani di oggi, come del resto in quelle
dei giorni scorsi. Non è difficile, per chi voglia farlo, costruirsi un
dossier dettagliato sui suoi movimenti, sulle sue parole, sui suoi
contatti, sull’accoglienza riservatagli dagli ambienti cristiani
ebraici e musulmani: tutti ma proprio tutti i giornali – che non è
dunque il caso di citare uno ad uno – raccontano con dovizia di
particolari i vari momenti della giornata del Pontefice, segnata dalle
soste a Yad Vashem, alla moschea di Al Aqsa, al Muro del Pianto. Per la
completezza dell’informazione e la centralità data all’evento una
menzione a parte merita comunque l’ Avvenire,
dove il lettore interessato trova anche i testi dei discorsi più
significativi pronunciati dal Papa. Approfondimento naturale e quasi
ovvio per il giornale della Cei, ma certo utile e interessante. Dalla
nostra prospettiva, tuttavia, preme di più soffermarsi sul giudizio
controverso che le parole e l’atteggiamento di Benedetto XVI hanno
suscitato negli ambienti israeliani e italiani. “Il Papa tedesco delude
Israele”, nota Umberto De Giovannangeli su L’Unità,
passando in rassegna i giudizi severi dei maggiori quotidiani di
diverso colore (Maariv, Yiediot Ahronot, Haaretz, Jerusalem
Post). “Un muro di diffidenza saluta Ratzinger”, titola
significativamente Riccardo Paradisi su Liberal,
analizzando i pareri negativi di gran parte dell’opinione pubblica
israeliana. Con durezza essa denuncia l’assenza – nel discorso sulla
Shoah – di una richiesta di perdono per l’atteggiamento della Chiesa di
fronte allo sterminio, la mancanza in definitiva di un reale senso di
coinvolgimento e di responsabilità. Accuse gravi, che nello stesso
articolo Fiamma Nirenstein (interpellata da Liberal come altri
giornalisti e intellettuali italiani) attualizza in rapporto alla
realtà israeliana e al suo forzato isolamento, notando la palpabile
differenza di atteggiamento tra questo papa freddo, controllato e il
commosso calore umano di Wojtila. Non tutti la pensano così. Tra gli
intellettuali italiani non ebrei (Cacciari, Cardini, Rusconi) prevale
un parere positivo sulle parole chiare usate dal Pontefice contro
l’antisemitismo e la convinzione che la sua presenza in Medio Oriente
sia un contributo importante sulla via degli sforzi di pace. Anche se
Rusconi va più in profondità, e nota amareggiato che “le religioni non
comunicano più teologicamente”. Come dire che è lo stesso linguaggio
usato dal teologo Ratzinger a collocarsi fuori dalla comunicazione
d’oggi. Come dire anche però, da laico convinto, che le religioni
parlano sempre di più con altri linguaggi impropri, e spesso con quello
della violenza. Rivendica invece la forza della parola teologica il
fondatore della Comunità di S. Egidio Andrea Riccardi, che in un
corsivo sul Corriere della Sera
parla di “un dialogo non scontato”, un preciso “disegno di dialogo” con
l’ebraismo che il Papa teologo porta avanti con coraggio e
tenacia. Ad essere insoddisfatti dell’atteggiamento di
Benedetto XVI non sono solo gli israeliani. Anche dall’Islam si levano
proteste. L’intellettuale arabo Hossam Shaker, intervistato dal Riformista,
lamenta il sostanziale silenzio di Ratzinger nei confronti del mondo
musulmano; un silenzio di cui non solo il papa sarebbe responsabile, ma
che apparirebbe legato all’intera operazione organizzativa della
visita, sapientemente gestita da Israele in modo propagandistico.
Parole dure, anche queste. E forse non vere, visto che Benedetto XVI
mantiene in questi giorni un continuo contatto con la realtà islamica
della regione. Il parere degli analisti politici è come sempre più
sfumato e meno emotivo, indirizzato a cogliere le conseguenze concrete
sul piano dei rapporti internazionali. Così Emanuele Ottolenghi nota
su Liberal
(“Un capolavoro di diplomazia”) che il papa in realtà non è stato
insignificante, anzi “ha detto molto”, tanto al mondo arabo e in genere
musulmano ricordando dalle moschee che la religione non può essere
violenza (la lezione di Ratisbona), quanto al mondo israeliano
richiamando all’esigenza di pace condivisa da tutti coloro che vivono
nell’area mediorientale. E il parere degli scrittori mira invece
alla profondità di concezione, sfuggendo agli immediati sottintesi
politici. La critica e la delusione di Avraham Yehoshua (intervistato
dal Messaggero)
di fronte alle parole di Ratzinger appaiono – su un piano non politico
ma sostanziale e direi filosofico – saldamente fondate. Manca nella
visione del Papa la riflessione teologica e storica di fondo, non solo
in rapporto agli ebrei, ma rispetto a ciò che ha significato e
significa la Shoah nell’insieme, per tutta l’umanità. E rispetto alla
fondamentale debolezza, all’assenza della Chiesa quale istituzione,
allora, davanti al nazismo e al fascismo. Concludendo, molto si
può dire – in bene e in male – di questo viaggio del papa. Certo
un’impressione di lontananza, di freddezza, di incomprensione resta
nell’insieme. L’immagine di Ratzinger che con gesto rapido e quasi di
circostanza “imposta” con fare sbrigativo il foglietto ripiegato tra le
antiche pietre del Muro del Pianto come se fosse la prima cassetta
disponibile dell’ufficio postale stride col ricordo del dolore, della
macerazione personale di Wojtila nel compiere quello stesso simbolico
gesto. Che gliene sia sfuggito il significato? Da segnalare
ancora, in chiusura, l’estradizione del criminale nazista Demanjuk
dagli Stati Uniti in Germania. Ne danno conto molti giornali (Il Manifesto, Il Messaggero, La Repubblica, Il Riformista, La Stampa, L’Unità). Bello tra tutti mi pare il pezzo di Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore,
capace di cogliere la centralità per la storia – per l’umanità – per la
giustizia, e non semplicemente “per gli ebrei”, di questo tipo di
processi oggi, a settanta anni di distanza dal più disumano degli
eventi.
David Sorani |
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Gad Lerner accusa il ministro Maroni "Sul razzismo non ha mantenuto le promesse" Roma, 12 mag - Il
ministro Maroni non si è costituito parte civile nel processo, a carico
del conduttore del programma di Radio Padania, 'Filo diretto', Leopoldo
Siegel per alcune affermazioni fatte il 27 settembre 2007 a proposito
di una puntata dell'Infedele condotta da Gad Lerner su La7. Nel corso
della trasmissione del 2007 Siegel aveva pronunciato affermazioni,
riportate nel capo di imputazione, come "quella oscenità condotta da
Gad Lerner, che aveva per tema la beatificazione di una banda di ladri,
cioé i nomadi o i rom", facendo riferimento a una precedente puntata
dell'Infedele. Il conduttore di Radio Padania aveva anche detto: "non
ne possiamo più di sopportare dei nazistelli, dei gerarchetti rossi". In
una lettera inviata al Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche
italiane, Renzo Gattegna, e pubblicata sul blog del giornalista, Gad
Lerner scrive: "Caro presidente, come ben ricorderai lo scorso
mercoledì 11 febbraio 2009, partecipando come ospite d'onore a un
nostro convegno sul settantesimo anniversario delle leggi razziste, il
ministro dell'Interno Roberto Maroni annunciò che si sarebbe costituito
parte civile nel processo istruito a Milano contro un redattore di
Radio Padania Libera, rinviato a giudizio per gravi parole di odio
xenofobo". "'Ci costituiremo parte civile contro questa persona',
dichiarò testualmente il ministro Maroni di fronte alle telecamere, ma
soprattutto - aggiunge Lerner - di fianco a te che rappresenti
istituzionalmente l'ebraismo italiano. Le agenzie e i giornali
riferirono quell'impegno dall'inequivocabile significato politico e
culturale. Mi duole perciò segnalarti che oggi, nella prima udienza del
processo, né il Viminale né l'onorevole Maroni hanno presentato
richiesta di costituzione come parte civile". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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