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L'Unione informa |
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15 maggio 2009 - 21 Yiar 5769 |
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alef/tav |
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Roberto Colombo, rabbino |
Terminato
il periodo di lutto dell’Omer, in tutte le Comunità ebraiche del mondo
si tornerà a celebrare matrimoni. Le parole Ysh e Yshà – uomo e
donna, contengono la prima la lettera “iud” e la seconda la “he”. Il
Rabbino Epshtein, commentatore e grammatico del 900, forniscequesta spiegazione: “La parola ben – ragazzo, deriva dal verbo banah
– costruire, ma manca della lettera “he”. Un ragazzo è un costruttore
ma solo in potenza, finché non ritroverà la lettera mancante. Il
termine Bat – ragazza, si origina dal vocabolo bait – casa, ma manca
della lettera iud- Sulla
ragazza si posa in teoria l’intera casa e l’educazione dei figli. Un
vero matrimonio avviene quando la donna fornisce all’uomo la he mancante e l’uomo alla donna quella iud
che la completa, quando un uomo, aiutato dalla moglie, e la donna
aiutata dal marito agiscono uniti per creare il futuro ebraico della
famiglia. Un mio personale augurio a tutti i giovani che con il loro
matrimonio ebraico contribuiranno a rendere eterno Israele. |
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L'appello
di Elie Wiesel a tutti i Nobel per la pace perché si battano per la
liberazione di Aung San Suu Kyi, il premio Nobel birmano
incarcerato con un risibile pretesto dalla giunta militare, deve avere
la più vasta eco possibile. Non è uno dei soliti appelli, ma si rivolge
ai Premi Nobel, cioè a quanti hanno avuto questo prestigioso
riconoscimento e ora vivono al sicuro nelle loro case, mentre la
Signora di Rangoon, insignita nel 1991 dello stesso altissimo
riconoscimento, affronta ancora una volta il carcere. Il fatto che
questo appello sia stato lanciato da Elie Wiesel lo rende ancora più
importante per il mondo ebraico. Non solo perché è iniziativa di un
Nobel ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, che è giunto ad incarnare nel
mondo la memoria stessa della Shoah, ma perché ci ricorda che la lotta
per i diritti umani, contro le dittature e le repressioni, è una lotta
che ci concerne due volte: in quanto esseri umani e in quanto ebrei.
Grazie a Elie Wiesel che ce lo rammemora. |
Anna Foa,
storica |
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Grande successo per "pagine ebraiche"
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Esordio
alla Fiera del libro di Torino in grande stile - centomila copie
alacremente e gratuitamente distribuite da giovanissimi volontari - per
"Pagine ebraiche", il nuovo giornale dell'Unione delle Comunità
ebraiche italiane che, nell'occasione, presenta la propria campagna
sull'8 per mille. Un anno dopo la presenza di Israele come ospite
d'onore al Lingotto, l'infopoint dell'Ucei è, paradossalmente, ancora
più visibile, immediatamente al di là dell'ingresso in Fiera. "Pagine
ebraiche" è la fase sperimentale di un più vasto progetto di rilancio
dell'informazione dell'Ucei in Italia. (da La Repubblica)
Torino e i libri - Ada Gobetti nell'ultima intervista con Vittorio Foa
L’ultima
intervista rilasciata da Vittorio Foa, ormai ultranovantenne, è un
ricordo della sua grande amica Ada, la moglie di Piero Gobetti.
“Pensando ad Ada penso alla Resistenza, mi pare impossibile scinderla
dalla Resistenza”. Per il loro gruppo di partigiani piemontesi
provenienti da Giustizia e Libertà e dal Partito d’Azione, Ada era un
“punto di riferimento”, materiale e spirituale. Il suo profondo amore
per la vita, figlio di una dirittura morale che reggeva tutta la sua
attività e di quella leggerezza propria solo degli spiriti più nobili e
aggraziati, faceva sì che ella avesse sempre una parola di conforto per
ciascuno, che ispirasse una quasi mistica fiducia (nel futuro, nella
politica, nell’azione…) anche nei suoi momenti più bui, anche nelle
sconfitte. Mentre le sue capacità organizzative da generale (e anche la
tempra pragmatica del semplice partigiano) facevano di lei la
coordinatrice dell’azione bellica, dell’approvvigionamento di armi e
cibo, dei contatti con la popolazione. Uscito di prigione nel
settembre del ’43, già trentatreenne e da tempo avulso dalla vita
civile, Vittorio Foa venne accolto nella casa di Ada, che fu moglie del
grande intellettuale italiano Piero Gobetti, autore della Rivoluzione
liberale e esponente dell'antifascismo liberale. A quel tempo era quasi
un quartier generale, un viavai incessante di gente, partigiani,
antifascisti, compagni, amici, intellettuali, contadini della zona,
“ragazzi e ragazze che dicevano -è giunta la nostra ora, è il momento
di fare qualcosa!- ecco, Ada era il centro di questo processo”. Ma Ada
e la sua casa di Reaglie non hanno mai smesso, anche nel dopoguerra, di
essere base e centro di un grande fermento umano e intellettuale. “Lì
si radunavano vecchi amici con figli, Bobbio, Panzieri, sindacalisti,
militanti comunisti, persone di Reaglie. C’erano tutti i giorni ospiti
a pranzo: Guido Aristarco, Gigliola Venturi, la famiglia Uther, Rodari,
Giorgio Agosti, vecchi partigiani della Val di Susa, militanti
dell’Udi…”, un contesto vivace e frizzante, aperto e coinvolgente, dove
si facevano feste, si lavorava, si discuteva. Quest’atmosfera gioiosa
di “Reaglie”, di quella grande “bellissima casa colonica” pulsante di
vita e di socialità, è rimasta impressa anche nelle memorie d’infanzia
di Anna Foa, figlia di Vittorio e storica, una dei bambini che si
ritrovavano a giocare in quel giardino. Proprio Anna, insieme allo
storico Marco Revelli, racconta questa straordinaria testimonianza. La
presentazione del documentario che raccoglie l'intervista a Vittorio
Foa si tiene a Torino a margine delle tante manifestazioni della Fiera
del Libro. L'appuntamento è per oggi, venerdì 15 maggio, alle 17.30
nella sala Rossa, la storica sala delle riunioni del Consiglio Comunale
a Palazzo di Città. La sede è un omaggio al primo vicesindaco donna di
una grande città italiana; e fu proprio Vittorio Foa a proporre, dopo
la fine della guerra, il nome di Ada per questo incarico. Questo
documentario, prodotto dal Centro Studi Piero Gobetti con il sostegno
della Regione Piemonte per il quarantesimo anniversario della morte di
Ada, è frutto del lavoro del documentarista torinese Teo De Luigi. Il
regista ci spiega che l’iniziativa è nata proprio dal suo incontro (sui
documenti) con questo personaggio così affascinante. Sono poi stati
ritrovati dei filmini di famiglia inediti nella casa di Reaglie. De
Luigi tiene molto a sottolineare, nel nostro breve colloquio, chi
l’intento di quest’opera, al di là del suo valore commemorativo, non si
ferma al racconto di una storia del passato, ma è radicalmente
proiettato nel presente e nel futuro, proprio come lo era Ada. Lei
pensava costantemente al futuro, ed in questa prospettiva trovavano
senso le sue due grandi passioni, quella politica e quella pedagogica.
Il fondamento della sua lotta politica era l’educazione della società,
la lotta al pregiudizio e all’appiattimento consumista. La sua grande
fiducia, fiducia nel futuro, nell’azione, nel lavoro, fiducia
nell’umanità, le diede la forza di sopportare i dolori, i lutti
(soprattutto quello prematuro e mai completamente assorbito di Piero),
le frustrazioni. Così si è deciso di ricostruire la vita e il
pensiero di questo monumento dell’impegno civile, sperando di offrire
alla società contemporanea, troppo spesso dimentica dei valori
resistenziali e democratici, un modello di tale levatura. E ci si è
voluti rivolgere in particolar modo ai giovani, agli adolescenti tanto
amati da Ada. Quei giovani la cui energia vitale- disse Ada- è stata
sfruttata prima dai fanatici, con le armi e le divise tutte uguali, poi
dai commercianti. Giovani che “non possono più Essere, ma soltanto
Avere e Consumare”. È per questo che guardò alle contestazioni del ’68
con occhio così attento, come alla reazione culturale spontanea di quei
giovani defraudati della loro identità generazionale e personale.
Arrivò addirittura a concepire quel fenomeno come la diretta
continuazione della Resistenza, considerando quest’ultima non solo come
un glorioso episodio storico ormai concluso e consegnato alla retorica
dei nuovi poteri costituiti, bensì come perpetua lotta difensiva contro
ogni discriminazione (etnica, religiosa, politica o sessuale),
autoritarismo, oppressione. Un irresistibile impulso a intervenire
sulla realtà data per migliorarla, a ribellarsi alle ingiustizie. È per
questo che Goffredo Fofi, altro assiduo frequentatore di casa Gobetti
intervistato da De Luigi, dice che lei era “quella che Trotzkij avrebbe
definito una rivoluzionaria permanente". Anna Foa ha fatto da
guida nel ricordo che suo padre conservava di questa grande donna del
‘900. Discuterà con il pubblico del ritratto umano viene fuori
ripercorrendo la vita, l’amore con Piero, l’impegno politico dalla
resistenza alla fine dei sui giorni, il femminismo, l’attività di
intellettuale e di insegnante, di giornalista e scrittrice. Di
agguerrita filantropa. “Lei ci aiutava a vivere, e sempre con il sorriso in faccia”, conclude Vittorio Foa nella sua ultima intervista.
Manuel Disegni
La nostra partecipazione, la nostra riconoscenza
Portano
i simboli dell'Abruzzo Earthquake Relief Found, della Comunità ebraica
di Roma e del Congresso ebraico canadese gli aiuti umanitari destinati
ai terremotati d'Abruzzo. "Intervenendo con questi aiuti - dichiara il
presidente di SkyLink Walter Arbib - abbiamo voluto non solo fornire un
contributo concreto, ma anche fare un gesto simbolico per dimostrare la
riconoscenza all'Italia di noi ebrei di Libia che siamo stati accolti
al momento dell'esilio". Il messaggio da parte della Comunità Ebraica
di Roma posto sulle confezioni destinate all'Abruzzo richiama invece il
coraggio dimostrato dalla popolazione Abruzzese nel trarre in salvo
alcuni perseguitati durante l'ultima guerra: "Al popolo d'Abruzzo, con
affetto e stima ed eternamente grati per il coraggio dimostrato nei
momenti tragici e bui dell'ultima guerra".
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Brand - Il tempo del treno Roma Milano ci fa lavorare e ragionare meglio
Un volo su tre è in ritardo. A tutti noi è capitato di passare nervosi
e stanchi un tempo che pare sempre interminabile all'aeroporto in
compagnia di un caffè di troppo o noccioline non più fresche, a seconda
dell'orario in cui si verificava l'attesa. Ora
l'avvento del treno Freccia rossa ha portato una ventata di modernità
al viaggio Roma Milano, Milano Roma, Con qualche sorpresa: si
incontrano amici e persone importanti nelle relazioni di lavoro. Quella
mezz'ora in meno è come se avesse sdoganato il treno. Prima dire:
"prendo il treno" destava quasi sospetto. Uno che prende il treno di
certo non avrà molto da fare. Ora chi prende il treno pensa di più
all'ambiente, vuol spendere meno ed è più efficiente. Sono un
viaggiatore frequente e mi accorgo che, oltre al sonno, alla veglia, al
tempo della famiglia e del lavoro, del riposo, del divertimento ora c'è
un altro tempo, quello del treno. Si lavora in un certo modo, si
leggono gli articoli conservati, si finiscono libri ed è lecito andare
su facebook senza eccessivi sensi di colpa. Con il compimento dell'alta
velocità ferroviaria il tempo del treno tenderà a diminuire, ma non le
cose che pensiamo di fare durante la durata del viaggio. Anche le
stazioni cambiano, le librerie con pocket su come migliorare
l'autostima o conquistare la vicina di casa in tre mosse sono
sostituite da librerie vere. Posso comprare spazzolini da denti e
vestiti di qualità. E' bello immaginare di poter andare un giorno in
stazione in pigiama, comprare rasoio e schiuma da barba alla partenza,
un vestito e una camicia all'arrivo. E' così che un mezzo più veloce
può regalarci una vita un po' più lenta.
Fabrizio Caprara, amministratore delegato di Saatchi and Saatchi
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rassegna stampa |
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Il
papa sta concludendo il suo viaggio in Israele, nei Territori
palestinesi e in Giordania. La stampa quotidiana registra il fatto
attraverso un lieve decremento degli articoli dedicatigli, se si
fa corposa eccezione per i quotidiani che si rivolgono al mondo
cattolico. Oggi Ratzinger vedrà il «Santo Sepolcro», così come anticipa
Giorgio Bernardelli su l’Avvenire. La stessa firma, su un altro articolo sempre su l’Avvenire,
ci fornisce i dettagli degli ultimi incontri in agenda, prima della
partenza per la volta di Roma. In particolare l’attenzione è rivolta
alla visita che renderà ai patriarchi greco-ortodosso e armeno. Se nei
giorni trascorsi i giornali italiani avevano coperto assiduamente i
diversi passaggi della sua visita, arrivando ad offrirci un campionario
di letture che si aggirava intorno ai cinquanta/settanta articoli per
ogni giornata, oggi già ci misuriamo con i commenti di feedback. Sui
reali effetti di questi otto intensi giorni, in quella che per la
cattolicità è la «Terra Santa», ovviamente sarà solo il lungo periodo a
poterci dire quali essi siano.Vanno però nel senso di una valutazione
di ampio respirò gli articoli che i lettori troveranno per la firma di
Ignazio Ingrao su Panorama, di Andrea Bevilacqua su Italia Oggi, di Aldo Maria Valli su Europa e, sempre del medesimo, su Il Foglio e di R.A. Segre su il Giornale.
Come è stato ricordato più volte Ratzinger è il terzo Pontefice ad
essersi recato in «Terra santa», dopo la fugace comparsa di Paolo VI
nel 1964 e la vivace visita di Giovanni Paolo II nel 2000. È
soprattutto nei confronti di quest’ultimo che si sono misurate le
maggiori differenze. Benedetto XVI ha confermato in tutto e per tutto
la sua natura di «pastore tedesco», per usare la felice formula con la
quale ebbe a definirlo uno dei nostri quotidiani nazionali dopo la sua
ascesa al soglio di Pietro, ovvero sostanzialmente freddo e distaccato
rispetto alle circostanze e agli interlocutori. Nessuno ha voluto
mettere in discussione la buona fede delle sue affermazioni e tuttavia
la tonalità, oltre che i contenuti, che ha adottato nei suoi discorsi
hanno dato più volte adito all’impressione di avere a che fare con un
uomo che fatica a identificarsi con i propri interlocutori. L’elemento
indice in tal senso l’ha fornito la stampa israeliana, in particolare
quando ha commentato il suo discorso allo Yad Vashem come «deludente»
(così Maariv e Haaretz) del pari ad una «occasione perduta» (Yediot
Ahronot). Urta la tiepidezza, che non è indice di pudore ma segno di
distanza, delle parole pronunciate dai fatti che dovrebbero rievocare.
Rispetto a Karol Wojtyla, uomo della Polonia profonda, un Paese che
aveva subito sulla propria pelle il dominio nazista, Joseph Ratzinger
partiva già con un “handicap tecnico” dovuto sia al suo essere tedesco
che dall’avere fatto parte, durante la guerra, della Hitlerjugend,
aspetto confermato dallo stesso Pontefice e curiosamente smentito poi
dal portavoce del Vaticano padre Lombardi. Da lui ci si attendeva
quindi un discorso particolarmente impegnativo, ossia innervato dentro
le tragedie del Novecento che, invece, a detta di molti, non c’è stato.
Il Foglio,
in uno dei suo “fazzoletti”, fa un inciso a quanto detto
dall’Economist, per il quale le performance di Ratzinger sarebbero
state un «disastro di pubbliche relazioni». Giudizio molto forte, anche
un po’ ingeneroso, a ben guardare, ma che raccoglie le perplessità che
si sono accumulate. Avremo comunque modo di tornare sui diversi
passaggi di un viaggio che è stato anche, per non pochi aspetti, il
frutto di una estenuante mediazione realizzata dalla Santa Sede con i
suoi interlocutori politici e istituzionali nei luoghi che il papa ha
attraversato. In più di in caso si sono rasentati gli equilibrismi che
non sempre hanno giovato alla franchezza delle intelocuzioni. Si legga
in tal senso Paolo Rodari su il Riformista.
Dopo di che, adottando l’altrui morale, se a Cesare va dato quel che è
di Cesare, bisogna riconoscere a Ratzinger l’impegno testimoniale che
ha così voluto manifestare, attraversando zone non facili in un periodo
di accese difficoltà, soprattutto sul versante palestinese. Ieri è
stata la volta della visita a Nazareth, della quale, come d’abitudine,
ci danno ampio resoconto Giacomo Galeazzi su la Stampa, Carlo Marroni su il Sole 24 Ore, Salvatore Mazza su l’Avvenire e Luigi Geninazzi sulla medesima testata.
Quest’ultimo, poi, firma due articoli, uno intitolato «Insieme contro
l’odio e il pregiudizio» che racconta la messa papale nella città e
l’altro «Far progredire a pace»
che resoconta l’incontro, durato quindici minuti, nel convento dei
francescani di Nazareth, tra Joseph Ratzinger e Benjamin Netanyahu.
Registriamo, a tale riguardo, che la copertura offerta in questi giorni
dal quotidiano della Conferenza episcopale italiana al viaggio papale è
stata integrale, avendo al suo seguito più corrispondenti ed elaborando
nella redazione romana una sorta di minuziosa e pressoché totale
riflessione su ogni passo compiuto dal Pontefice, naturalmente in
accordo con le sensibilità e le aspettative dei lettori di area
cattolica. Dell’incontro tra il Papa e il Premier israeliano ce ne
parlano anche Gian Guido Vecchi su il Corriere della Sera, Caterina Maniaci su Libero, Rachel Donadio sull’Herald Tribune e il Foglio.
Se il lasso di tempo dedicato alla circostanza era senz’altro breve
parrebbe, dai resoconti, che non si sia andati oltre alle enunciazioni
di principio. Si parla di «sorrisi distesi, una stretta di mano
calorosa e quindici minuti di colloquio “davvero molto cordiale”» ma
ognuna delle due parti, pur astenendosi da qualsivoglia gesto critico,
ha ribadito quali sono dal suo punto di vista le priorità inderogabili.
Mentre Israele ha rinnovato le sue vive ansie verso l’Iran atomico di
Ahmadinejad, Ratzinger ha condannato «tutte le forme di antisemitismo e
di odio» (così dal resoconto alla stampa dello stesso Netanyahu e, a
seguire, di padre Lombardi) mantenendo una linea di prudenza
sostanziale su tutto il resto. Secondo Marco Politi, de La Repubblica,
Netanyahu avrebbe «gelato» Ratzinger sulle prospettive di uno Stato
palestinese. A tale riguardo, sfogliando il repertorio dei conteziosi
aperti tra Santa Sede e Israele, si leggano il puntuale resoconto di
Andrea Tornielli su Il Giornale così come l’articolo di Vincenzo Faccioli Pintozzi su Liberal e di Eric Salerno su il Messaggero.
Intanto Barack Obama spinge per l’apertura di negoziazioni nel merito
del conflitto tra israeliani e palestinesi, mandando messaggi molto
forti a Gerusalemme, come afferma un informato Pierre Chiartano su Liberal che racconta del mutamento progressivo nello stato dei rapporti tra gli Usa e Israele. Gli fa ecco, Fiamma Nirenstein su Panorama
che menziona la richiesta, avanzata dal vicesegretario di Stato
americano Rose Gottermoeller, affinché Israele firmi il trattato di non
proliferazione nucleare. Sempre su Liberal Etienne
Pramotton, intervistando Karim Mezran, direttore del Centro studi
americani di Roma, parla invece di «una crisi momentanea» nelle
relazioni tra i due paesi. Lo staff presidenziale statunitense ha reso
noto il calendario delle prossime consultazioni: il 18 maggio Obama
incontrerà il Premier Benjamin Natanyahu, il 26 il Rais egiziano
Hosni Mubarack e il 28, infine, il leader dell’Autorità nazionale
palestinese Abu Mazen. Dopo di che, il 4 giugno, dovrebbe fare un
qualche annuncio al Cairo, dove si troverà in visita. Improbabile
tuttavia che riesca ad ottenere qualcosa di più di generici assensi. Il
problema principale sono le divisioni in campo palestinese dove Abu
Mazen non è riuscito a ricucire con Hamas, dovendo rilanciare un nuovo
governo, quello presieduto da Salem Fayad, fatto di vecchie presenze.
Sui duri di Hamas, a partire da Khaled Meshaal, che meditano per una
strategia di lungo periodo (la crisi irreversibile dell’Anp e lo
sfiancamento di Israele) neanche il Rais egiziano ha potuto incidere
più di tanto. Non è quindi in caso se nei giorni scorsi, sul Times, il
re giordano Abdallah II abbia denunciato «il rischio di una nuova
guerra in Medio Oriente entro 12-18 mesi». Vedremo al riguardo ma si
può dire fin da ora che di certo la visita papale non inciderà oltre
misura rispetto ad una agenda politica molto difficile da gestire per
tutti i protagonisti della scena mediorientale.
Claudio Vercelli |
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notizieflash |
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Tel
Aviv, il saluto di Peres al papa
Tel Aviv, 15 mag - Nel
discorso di saluto al papa in risposta all'esplicito appello di
Benedetto XVI per una soluzione del conflitto in Medio Oriente, Peres
ha manifestato la volontà degli israeliani a perseguire la pace sia
"con i vicini" sia "con i nemici lontani". Il Presidente
israeliano ha sottolineato "l'impegno" del papa per la promozione
"della pace e della sicurezza fra noi e i nostri vicini" e per "una
vita senza paure e senza lacrime". Sforzi a cui "tutti gli
israeliani" corrispondono con "un'aspirazione sincera alla pace:
pace con i nostri vicini, pace con i nostri nemici lontani, pace con
tutti". Nello stesso discorso Peres ha lanciato un appello volto
ad evitare che "i terroristi sequestrino la coscienza religiosa" e a
non concedere loro di "mascherare gli atti di terrore dietro una falsa
immagine di missione religiosa" "Oggi i leader politici e
spirituali sono di fronte a una grande sfida, come separare la
religione dal terrorismo", ha detto Peres, indicando la fede in un "Dio
della vita e del rispetto della vita" come comune a tutte le grandi
religioni monoteistiche. E additando al contrario i "vili fanatici" che
cercano di deformare la religione diffondendo "l'immagine distorta di
un Dio che permette, e persino incoraggia, l'assassinio, il terrore, la
violenza". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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