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L'Unione informa
 
    19 maggio 2009 - 25 Yiar 5769  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto della rocca Roberto
Della Rocca,

rabbino 
In questi giorni Gerusalemme ha visto il susseguirsi di significative visite dei più alti rappresentanti della Chiesa prima, e della città di Roma poi. Mi è tornato  in mente come l’esegesi rabbinica legge il rapporto tra Giacobbe e il suo gemello Esaù, paradigma  del difficile rapporto tra il popolo ebraico e le altre genti in particolare proprio Roma e la Chiesa. Gli incontri  tra i due fratelli, descritti nella Torà, si delineano quasi sempre sul piano dell’alternanza: quando Giacobbe è in alto, sembra indicare la Bibbia, Esaù è in declino e quando quest’ultimo ha la meglio è il fratello che soccombe. Sembra quasi impossibile avere lo stesso ruolo sulla scena, come il sole e la luna che secondo una mirabile interpretazione esegetica, rappresentano appunto i due fratelli. Roma, la Chiesa e Israele, nella prospettiva della storia, sono due piatti della bilancia indissolubilmente legati, ma mai identificabili. E se nella storia Esaù e Giacobbe non sono riusciti sempre a incontrarsi, e in verità sono stati quasi sempre i figli di Giacobbe  a subire le violenze dei discendenti di Esaù, i Maestri ci indicano che nell’epoca messianica ci sarà  un momento in cui questo appuntamento riuscirà a realizzarsi in tutto il suo valore. Anche in questo senso Jerushalaim è il luogo dove è più fervida l’attesa per l’arrivo del Messia che nel frattempo se ne sta seduto, paradossalmente, proprio alle porte di Roma. 
Una famiglia si riceve gratis, gli amici si comprano. E si mantengono a caro prezzo.
Vittorio Dan Segre,
pensionato
vittorio dan segre  
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  logo wizo “E un bambino piccolo vi mostrerà la strada”
L'infanzia ebraica in un mondo che cambia

E’ sempre un appuntamento importante per l’Associazione donne ebree d'Italia (Adei Wizo) la “Giornata Mondiale della Bibbia”, nata più di trent’anni fa come convegno di studi su problemi di educazione ebraica. I temi trattati negli anni, proposti dalla Wizo centrale a tutte le Federazioni del mondo, sono stati i più vari, ma sempre indirizzati alla conoscenza della nostra storia, delle nostre tradizioni, dei nostri principi sempre validi nel tempo.
L’argomento proposto quest’anno è stato: “ E un bambino piccolo vi mostrerà la strada….l’infanzia ebraica in un mondo che cambia”.
 A Roma, nella bella sala del Centro Bibliografico dell’Ucei, si è riunito un gruppo di donne attento e interessato, guidato dal Rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha incentrato l’approfondimento del tema sull’educazione, secondo quanto ci è stato insegnato nella Torà. 
Educare è una scommessa, è un compito improbo e mai uguale a sé stesso, è dialogo e complicità col proprio allievo, è dedizione e capacità di ascoltare l’altro, di capire le sue peculiarità per aiutarlo a trovare la sua personale via. Tutto questo si deduce dalla condotta di Abramo, il primo educatore della tradizione ebraica, il cui esempio è ancora oggi guida per quelli del ventunesimo secolo. Per cogliere appieno la capacità educativa di Abramo dobbiamo però partire dal suo servo/allievo Eliezer, figlio del suo maggior nemico. Già questo, come ci ha fatto notare il Rav Della Rocca, è indicativo della potenza dell’insegnamento. Non esiste infatti, spiega Della Rocca, persona più vicina di quella che ci è stata lontana è che si è poi avvicinata a noi grazie alle parole, grazie alla capacità di lasciarsi alle spalle i pregiudizi, di partire nuovamente da capo, di accogliere con la giusta predisposizione d’animo gli insegnamenti che gli vengono offerti.
Guai però, ci dice il Talmud, a confondere l’educazione con la manipolazione. Il vero compito del maestro non è infatti plasmare i propri allievi, inculcando nella loro mente nozioni e convinzioni. Sarebbe riduttivo, oltre che sbagliato. Un vero maestro deve rendere i giovani uomini, deve fornire loro gli strumenti e le basi per poter agire nel mondo e trovare il proprio posto nella vita. L’educazione non si riceve e non si riduce infatti solo ai libri: lo stesso Abramo sprona i suoi discepoli a lasciare i libri e le carte nel momento in cui si trova in pericolo una vita umana. Questo perché educare è ‘fare una persona’, renderla in grado di agire nel mondo. Come una casa, che diventa veramente casa solo nel momento in cui viene riempita di oggetti, utensili e di vita vissuta, assolvendo così lo scopo per cui è stata creata, così una persona diventa tale solo nel momento in cui ha fatto propri i contenuti dell’educazione, che usa quotidianamente per rapportarsi col mondo.
Il vero Maestro è allora colui che riesce a suscitare dubbi, curiosità, che sprona a pensare. In questo senso credo che, nonostante l’esiguo numero di partecipanti alla lezione, l’incontro con il Rav Della Rocca sia stato un successo: a fine lezione si è infatti animato un vivace dibattito, spronato dalla curiosità e dai dubbi che ogni nuovo tassello di conoscenza porta con sé. 

Viviana Levi
                                                                                



logo fieraTorino e i libri – Leone Ginzburg
“Fare cultura in un paese dominato”

Ricordare Leone Ginzburg alla Fiera del Libro di Torino. L’attenzione si focalizza sull’intellettuale Ginzburg, sull’editore, sul produttore di cultura. È chiaro già dal titolo dell’incontro, “Fare cultura in un paese dominato”, che questo discorso non può non essere politico. Anzi, ci si accorge, ascoltando le accorate letture degli epistolari ginzburghiani interpretati da Eugenio Allegri, che Ginzburg fu un teorico ed un attivista instancabile del connubio cultura-politica, considerando la prima strumento necessario per vivere con coscienza la seconda. Ed è per questo che temeva e combatteva, dal ruolo di primo piano che ebbe nella direzione editoriale dell’Einaudi, lo strapotere delle ragioni d’impresa a scapito di quelle appunto politico-culturali, la ricerca della “leggibilità” e lo sguardo sospettoso degli editori verso testi più riflessivi e meno accattivanti il pubblico di massa. Walter Barberis, editore che conduce la conferenza, sottolinea, in un impeto autocritico, l’attualità di questa tendenziale deriva manageriale della sua categoria professionale.
Ginzburg, come produttore di cultura e di sapere, si sentiva investito di una missione pedagogica. Con una lucidità e lungimiranza davvero precoci ha colto in tempi quasi ancora non sospetti l’importanza di una battaglia culturale contro il pensiero unico fascista. Il compito che si assunse fu quello di contendere le menti dei giovani e degli intellettuali all’allineamento di regime. Una missione salvifica, quella di conservare intatta la loro personalità e la forza critica di non soggiacere ad altri compromessi dopo quello dell’iscrizione forzosa al PNF. Questo non solo in vista della lotta antifascista, ma anche della democratizzazione della società nascitura sulle ceneri di Mussolini. “Ipotecare il futuro” titolava un suo articolo, citato da Luisa Mangoni. Si sosteneva che non sarebbe bastata la morte o la caduta del duce a dare luogo alla Rinascita, la società era ormai avvelenata. Avvelenata da un veleno il cui antidoto fu l’oggetto unico dell’instancabile ricerca di Leone Ginzburg, fatta di un perpetuo lavorio, minuzioso affinamento, naturale attitudine di “ascoltare il mondo”, di coglierne quelli che Antonio Gramsci chiamava “mutamenti molecolari”. Occorreva restituire al popolo italiano la sua coscienza civile e sociale, la dignità morale smarrita nel ventennio. In sostanza il sentimento di umanità, in quanto conquista culturale sempre in pericolo, non data e inestirpabile condizione naturale.
È chiaro che, viste le non irrilevanti analogie tra l’odierno appiattimento politico-culturale (comportante intrinsecamente il risveglio di sentimenti xenofobi e intolleranti) e quello di ottant’anni fa, specialmente nel contesto della Fiera del Libro, la figura di questo ebreo russo impone una seria riflessione a tutto il mondo dell’editoria.

Manuel Disegni





logo fieraTorino e i libri – Arrigo Levi
“Un paese non basta”


“Amate dunque lo straniero, poiché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto”. E’ questo – nella testimonianza di Arrigo Levi – l’insegnamento biblico più alto ed irrinunciabile che s’affianca idealmente ai due grandi precetti dell’amore verso Dio e verso il prossimo. In un tempo in cui spettri pericolosi di chiusura ed intolleranza verso l’altro sembrano riapparire minacciosi, questo grande maestro del giornalismo italiano raccoglie nel suo ultimo libro “Un paese non basta” le memorie di una vita vissuta “dentro” tutti i grandi eventi che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo ma anche da  cittadino di una varietà di città e nazioni del mondo.
In una gremita Sala Rossa del Lingotto viene presentata all’affezionato pubblico torinese l’autobiografia di Arrigo Levi edita dal Mulino. Di fianco all’autore siedono il collega Gad Lerner, il neodirettore della Stampa Mario Calabresi e Piero Fassino. È insieme a questi tre amici che Levi ripercorre davanti a una platea quanto mai partecipe la storia di una vita avventurosa, anche se non sempre per scelta: il ricordo corre dunque  dall’infanzia e dai primi anni della formazione passati a Modena, in una famiglia di solida tradizione ebraica seppur laica, all’esilio forzato in Argentina per sfuggire alle persecuzioni razziste in atto nel nostro Paese, fino agli anni in cui combatté per la difesa del neonato Stato d’Israele nel 1948. Ma le “patrie” che Levi rivendica con orgoglio non si esauriscono qui: Mosca e Londra, per esempio, sono città in cui l’autore ha vissuto altri anni intensi di lavoro e che egli sente sue fino in fondo. Nell’elenco non manca Torino, città di cui Levi diresse il giornale per oltre cinque anni, e di cui conserva un felice ricordo. Non suona ruffiana la dichiarazione del particolare legame che ha con la città sabauda, né di circostanza il ricordo di Suni Agnelli, scomparsa la sera precedente. Rievoca perfino le “audaci” corse in macchina dell’Avvocato su per le strade della collina, disegnando un nostalgico sorriso sulle facce degli ascoltatori.
La lezione di questo “grande saggio italiano”, oggi consigliere del Presidente della Repubblica (carica per la quale si propone di astenersi dal parlare di politica nazionale, salvo poi cadere in qualche tranello/tentazione di Gad Lerner), si riassume insomma nell’elogio della molteplicità di radici culturali e appartenenze nazionali. Il mondo è troppo grande e troppo ricco per essere solo italiani, “un paese non basta”. Tale pluralità d’identità  - s’insiste – non si configura certo come una diminutio del significato di cittadinanza, ma anzi come un arricchimento dell’individuo e del cittadino. È una concezione tipicamente fascista quella della fedeltà ad una sola patria, e più in generale di tutti quei filoni politici che si fondano su gretti ed esclusivi nazionalismi. È stupido non riconoscere il fondamentale apporto delle contaminazioni nello sviluppo di una cultura, e rifiutarle in nome di una quanto mai astratta purezza.

Manuel Disegni - Simone Disegni




logo fieraTorino e i libri -  Leonid Mlečin
Perché Stalin volle Israele


In una società in cui il pubblico è costantemente bombardato dalla teatralità delle notizie, da dichiarazioni farsesche, dall’idea che ci sia un Noi-buoni ed un Voi-cattivi, stupiscono sempre le analisi profonde e sottili, che si dirigono al punto senza tante elucubrazioni. Questo è il caso della presentazione alla Fiera del Libro, nella gremita Sala Rossa, dell’opera di Leonid Mlečin Perché Stalin creò Israele, con i relatori David Bidussa e Luciano Canfora, assieme al loro editore Sandro Teti.
Il libro non vuole dare una qualificazione morale di Joseph Stalin e delle sue scelte ma offrire un quadro della realtà politica di un determinato periodo storico. La scelta sovietica di appoggiare la creazione dello Stato di Israele e di sostenere il partito laburista di Ben Gurion nasce da un’analisi pragmatica di Stalin di voler creare un avamposto socialista in Medio Oriente. Non è la scelta filantropica di dare un paese in cui vivere al popolo ebraico, ma la decisione di un capo di stato di creare delle opportunità per aumentare la propria influenza.
Forse il fatto che non si sia descritto Stalin come il feroce dittatore cattivo ha lasciato un po’ spaesati i presenti; il pubblico è troppo abituato a sentire slogan e discorsi demagogici, che puntano a risvegliare le emozioni, a rassicurare o spaventare a seconda dei casi. Canfora e Bidussa hanno riportato il discorso a se stesso, evitando di dare connotazioni etiche perché avrebbero svilito il ragionamento. I due relatori ci invitano ad analizzare le scelte di Stalin attraverso una riflessione razionale e non con sentimenti di pancia. Come mai Stalin ha prima appoggiato Israele e a poi osteggiato con tutte le sue forze la migrazione ebraica dall’Unione Sovietica?  A questa domanda vuole rispondere Perché Stalin creò Israele.
Al termine dell’incontro è stato chiesto al pubblico se avesse qualche domanda, in quel momento è sceso un velo di imbarazzo nella sala. Sembrava di essere al liceo, quando il professore fa la fatidica domanda “chi interroghiamo oggi?”. La sensazione era che i presenti fossero stati catapultati in un mondo non loro, mentre era stato chiesto niente di più umano se non ragionare.
Bidussa ha concluso ricordando il credo di Machiavelli secondo cui in politica le scelte non si basano sui sentimenti ma sui ragionamenti. Siamo sicuri che valga solo in politica?

Daniel Reichel 
 
 
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  L'Otto per mille, i valori laici e l'impegno di valdesi e metodisti

Da sempre le Chiese valdesi e metodiste si presentano con una impronta laica che risulta gradita ad una minoranza significativa di persone: a fronte di circa 20.000 fedeli in tutta Italia, nelle dichiarazioni dei redditi 2005 (ultimo dato disponibile) sono stati ben 264.676 i contribuenti che hanno destinato il loro 8 per mille alla chiesa valdese, con una tendenza inarrestabile di crescita. La proporzione tra il numero de fedeli e quello dei sottoscrittori (1 a 13) è di gran lunga il più alto tra tutte le confessioni religiose che concorrono all’8 per mille. L’essenziale messaggio pubblicitario per la raccolta 8 per mille lanciato dalle chiese valdesi e metodiste, basato quest’anno sullo slogan “Facciamo qualcosa di laico”, esercita evidentemente attrazione su una fascia di persone che rivendicano il diritto alla laicità in un Paese non sempre così laico come dovrebbe essere.
Un’ultima annotazione: il messaggio di quest’anno segnala tra tutti i progetti finanziati con i fondi dell’8 per mille due dedicati alla ricerca sulle cellule staminali: un tema sul quale i laici di tutti gli schieramenti hanno ingaggiato una dura battaglia, dall’esito non proprio positivo.

Valerio Di Porto, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

 
 
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Non è stato un incontro facile quello attesissimo di ieri fra Netanyahu e Obama: "più uno scontro che un incontro", scrive Barbara Uglietti sull'Avvenire. Il premier israeliano si è detto pronto a far ripartire subito dei negoziati di pace, ma le differenze restano grandi. Valentino sul Corriere le sintetizza così: Obama insiste sulla formula dei due Stati, Netanyahu per il momento ritiene matura solo un'autonomia o autogoverno; Netanyahu vuole che le trattative americane con l'Iran abbiano un limite temporale preciso, per evitare che gli ayatollah usino la tattica dilatoria degli ultimi anni; Obama non intende fissare questo limite. L'amministrazione americana vuole un allentamento dell'embargo su Gaza, Israele lo ritiene pericoloso; per gli Usa il blocco delle "colonie" è una precondizione alla trattativa, Netanyahu intende preservare la loro "crescita naturale".
Nella demonizzazione di Israele fra i grandi giornali si distingue come al solito Repubblica; in particolare un'opinione di Vittorio Zucconi, furiosamente retorica contro Netanyahu. Da notare che vi sono almeno tre giornali (Repubblica, Messaggero, Giornale) che titolano "Netanyahu gela Obama" (più un "gelo" del Riformista), per non parlare di un paio di "sfide": titoli insensati, se gelare vuol dire sorprendere o deludere, perché sono state riaffermate posizioni ben note e il dissenso è stato reciproco (dunque anche Obama avrebbe "gelato" Netanyahu); titoli anche banalmente psicologici su una materia che è tutta politica; ma il giornalismo italiano funziona spesso per luoghi comuni e titoli fotocopia.
Da leggere la preoccupata analisi di Daniel Pipes su Liberal intorno al conflitto strategico dei due vecchi alleati. Sul fronte degli ottimisti si schiera invece il Foglio, che parla addirittura di un "piano di Bibi e Obama per pacificare il Medio Oriente"; sempre Il foglio sottolinea però che un piano di pace è difficile "finché i palestinesi si combattono fra loro". Sul lato opposto dello schieramento politico, Liberazione conferma che è "in stallo" la trattativa fra Hamas e l'AP. Interessante l'intervista della Stampa al politologo americano Meyraw Wurmster, che vede la soluzione possibile della crisi in una confederazione giordano-palestinese, secondo linee che sono emerse anche nella politica israeliana.
Le reazioni della comunità ebraica americane a questo inizio di conflitto sono molto importanti: mentre Il riformista pubblica un'intervista molto ideologica a John Mearsheimer, autore del libro "La lobby ebraica", che conferma le sue tesi sulla cattiva influenza degli ebrei americani sulla politica estera dell'America, Il Sole pubblica un articolo di Ugo Tramballi che enumera le diverse organizzazioni pubbliche dell'ebraismo americano e riconosce le loro diverse politiche.

La visita del sindaco di Roma Alemanno in Israele continua. E' stata inaugurata Piazza Roma e Alemanno ha dichiarato che non c'è sufficiente consapevolezza della Shoà (Corriere della Sera e Repubblica nelle pagine romane). Il sindaco ha anche firmato una convenzione di collaborazione con Yad Vashem per il futuro museo della Shoà (Il Tempo).

Fra le inchieste da leggere la nuova puntata dell'importante viaggio che Giulio Meotti ha fatto per Il Foglio in Olanda, ex capitale della tolleranza in Europa e ora dominata culturalmente e politicamente dalla sindrome di Eurabia. Questa volta si parla di Leida, che è sede di una delle più famose università europee. Interessante l'opinione di John Vinocur sullo Herald Tribune, a proposito del modo in cui la crisi economica influenza il nodo dei rapporti fra europei e immigrati musulmani. Sempre in tema di islamismo, è terrificante la scoperta di Dimitri Buffa, riportata sull'Opinione di un sito che scheda tutti gli intellettuali e i giornalisti arabi che hanno un atteggiamento più morbido nei confronti di Israele: una schedatura di massa della parte non integralista o meno estremista del mondo arabo, che prelude alla sua neutralizzazione. Vale la pena di precisare che il sito ha sede in Siria. Importanti sul piano strategico, anche le informazioni di Marco Valsania sul Sole 24 Ore  a proposito del nucleare pakistano. In Iran nel frattempo la "guida" o papa sciita Kamenei ha ammonito i fedeli a non votare nelle prossime elezioni per candidati filo-occidentali; è facile prevedere a questo punto una rielezione di Ahamadinejad.

La cultura. Interessante la rievocazione di Hannah Arendt scritta da Sandro Chignola sul Manifesto. A Londra è andata in scena una piéce teatrale piuttosto comprensiva sulla vita del direttore d'orchestra Leon Furtwengler e sulla sua adesione al nazismo (Fabio Vitta sul Riformista).

Ugo Volli

 
 
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notizieflash    
 
 

Libano-Israele: secondo Nasrallah                                                    
possibile una nuova guerra con Israele

Beirut 18 mag -
"Esiste la possibilità, che non si può ignorare, che Israele stia forse preparando una nuova guerra, una guerra a sorpresa. Per questo, occorre che i cittadini siano pronti in pochi secondi a fare fronte a questa situazione" ha dichiarato il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, affermando che il suo partito è pronto a fare fronte a una nuova guerra con Israele. "Esiste la possibilità, che non si può ignorare, che Israele stia forse preparando una nuova guerra, una guerra a sorpresa. Per questo, occorre che i cittadini siano pronti in pochi secondi a fare fronte a questa situazione", ha spiegato il capo sciita libanese in un discorso televisivo. "Queste manovre sono anche un messaggio forte per la regione, per la Siria, il Libano, i Palestinesi, l'Iran, per dire che Israele è in grado di lanciare una guerra senza esitazione", ha aggiunto Nasrallah. "Dobbiamo prendere delle misure preventive nei giorni delle manovre - ha sottolineato -. Noi ci saremo, pronti e vigili, e se pensano di lanciare una guerra-sorpresa, per loro sarà un fallimento". Nasrallah ha tuttavia indicato che l'eventualità di una guerra resta "debole". Israele sta preparando un'esercitazione di allerta aerea su tutto il suo territorio che si svolgerà dal 31 maggio al 4 giugno, di un'ampiezza senza precedenti, aveva reso noto nel marzo scorso il vice ministro della difesa del passato governo, Matan Vilnai. L'aviazione israeliana ha già lanciato un'esercitazione su vasta scala che deve durare quattro giorni.

 
 
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