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L'Unione informa |
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24 maggio 2009 - 1 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
"La
scrittura è scrittura divina, incisa sulle tavole": non legge incisa ma
libertà; infatti è libero solamente chi si occupa di Torà (Avot 6, 2).
Lo studio della Torà, comeoccupazione non strumentale, ci rende liberi; soprattutto dalla schiavitù del successo. |
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Il
27 maggio prossimo ricorre l’anniversario della morte di Joseph Roth.
Vorrei ricordarlo con ironia. Una sera in cui Joseph Roth fu trovato
del tutto ubriaco sul bordo di un marciapiede di Parigi, un
conoscente, riconosciutolo, lo rimproverò benevolmente mentre lo
aiutava a rimettersi in piedi: “Roth, ma perché lei beve a questo modo?
Così si rovina!”. Al che lo scrittore,con inaspettata lucidità, rispose
“Mehring, perché lei non beve? Crede di farla franca? Anche lei andrà
in rovina!”. In una società non solo di presuntuosi, ma anche di
permalosi sempre col ciglio alzato e lo sguardo di traverso, e,
soprattutto di individui che pensano di essere al di fuori e al di
sopra della storia c’è più intelligenza e acutezza nella capacità di
dire cose vere facendo finta di non prendersisul serio, che non in chi pensa di essere “l’uomo (e/o la donna) della provvidenza”. |
David Bidussa, storico sociale delle idee |
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Convegno – Verso la lingua universale: Zamenhof, ebreo e cittadino del mondo
E’
dedicato alla suggestiva figura di Lazzaro Ludovico Zamenhof, padre
dell’esperanto, il convegno in programma lunedì 25 maggio a Roma, al
Centro bibliografico dell’UCEI. Intitolato “Lazzaro Ludovico Zamenhof,
ebreo e cittadino del mondo: interprete dell’emancipazione ebraica e
della liberazione dei popoli”, l’incontro - organizzato dalla
Federazione Esperantista Italiana (FEI), dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e dall’Università Roma 3 - Colloquium Internazionale
"Tra Occidente e Oriente" – analizza il sogno di una lingua universale
alla luce della sua matrice culturale ebraica e in relazione alla
rinascita dell’ebraico moderno che muove i primi passi proprio negli
stessi anni. Il convegno si apre alle 9.30 con gli interventi di Renato Corsetti, presidente della Fei e
di Victor Magiar, assessore alla cultura UCEI. Seguono gli interventi
di David Meghnagi (“Freud, la rinascita dell’ebraico moderno ed il
sogno di una lingua universale”) e Davide Astori (“Se non fossi
ebreo”). Conclusioni del rav Roberto Della Rocca, direttore del
Dipartimento educazione e cultura UCEI. Modera Gisèle Lévy.
A seguire, per gentile concessione dell’autore, uno stralcio della relazione del professor David Meghnagi.
Freud, l’ebraico e il sogno dell’esperanto
"Un
canto vuol dire riempire una brocca, anzi, meglio, rompere la brocca.
Romperla in pezzi. Nel linguaggio della Qabbalah potremmo forse
chiamarlo: Vasi infranti". H. Leivick
1897. E’ un anno
particolarmente denso di significati per la recente storia
dell’ebraismo. A Basilea, Theodor Herzl riunisce il primo congresso del
movimento sionista. A est, si riunisce il primo congresso del Bund, la
prima organizzazione socialista nell’impero zarista. Nello stesso anno
Sigmund Freud elabora la teoria dell’Edipo. Sullo sfondo del lutto per
la perdita del padre, e in risposta all’antisemitismo, Freud aderisce
al movimento internazionale dei B’nai B’rith. Bundisti e sionisti si combatteranno sino all’ultimo, anche per la scelta linguistica (lo yiddish contro l’ebraico) sino a quando le loro differenze non furono rese “risibili” da un mondo folle oltre ogni immaginazione. Se lo yiddish era il gergo materno di undici milioni d’ebrei, da cui aveva preso origine una
letteratura e poesia moderne, l'ebraico non era solo ed esclusivamente
la lingua dei morti e delle preghiere. Se lo yiddish poteva contare sul
fatto di essere la lingua viva degli ebrei, l'ebraico era la loro
radice più antica, il nucleo attorno a cui era stata conservata e sviluppata l’esistenza religiosa attorno alla sinagoga nel corso dei secoli. L'ebraico univa tutti gli ebrei e non solo una parte di essi, e tale era stata la sua funzione
nella giurisprudenza rabbinica e nelle composizioni poetiche religiose
che da un continente all'altro avevano tenuto uniti nel corso dei
secoli le diverse famiglie dell'ebraismo. La rinascita dell'ebraico, lo sviluppo dello yiddish, erano fenomeni altrettanto moderni, figli di una stessa vicenda storica, parte di un processo che toccava ogni aspetto dell'esistenza. […] In un contesto meno drammatico, la rinascita dell’ebraico si sarebbe potuta tranquillamente
conciliare con la conservazione dello yiddish e forse anche col
recupero del ladino, la lingua che gli ebrei sefarditi avevano portato
con sé nel loro doloroso esilio per le coste del Mediterraneo e in
America. […] Se ciò non è accaduto, non è per le divisioni che
lacerarono il movimento di emancipazione ebraica. Fu per l’immane
tragedia che ha cancellato la quasi totalità dell’ebraismo in Polonia e
in Lituania e in molti altri luoghi d’Europa. […]
Vi è […]
un ulteriore aspetto da prendere in considerazione e approfondire,
attraverso cui accedere ad uno strato della moderna vita ebraica in
tutta la sua valenza simbolica e culturale. Mi sono trovato a pensarci
percorrendo la parte vecchia della città di Tel Aviv ad uno degli
incroci che conducono per la centrale via Ben Yehuda, il padre della rinascita
dell'ebraico moderno. Leggendo i nomi delle vie si resta colpiti
dall'esistenza di una via legata al nome di Zamenhof, il padre
dell'esperanto. I progetti di Eliezer Ben Yehuda (il vero nome era
Perlman) e di Ludwik Lazar Zamenhof erano agli antipodi, ma entrambi
figli della stessa condizione e del bisogno di trovare una soluzione ai
dilemmi della condizione ebraica. Eliezer ben Yehuda vedeva nella
rinascita dell'ebraico, la condizione stessa per riscattare gli ebrei
dalla loro condizione d’oppressione. Al contrario il progetto di
Zamenhof - che non era certo un assimilazionista e condivideva le
preoccupazioni che assillavano i padri del Risorgimento ebraico -
affondava le sue radici nella speranza di vedere superata ogni
barriera, anche linguistica, tra i popoli. […] “Nessuno - annota
Zamenhof - può sentire la necessità di una lingua umanamente neutra e
sovranazionale quanto un ebreo, che è obbligato a pregare Dio in una
lingua morta da molto tempo, è educato e istruito nella lingua di un
popolo che lo emargina, e ha compagni di sventura su tutta la terra,
con i quali non può capirsi!”. Nessuno meglio di un ebreo, si potrebbe
aggiungere parafrasando le parole di Freud nella sua lettera a Pfister,
poteva trasformare questo bisogno in un programma praticabile, qualcosa
che andasse oltre una bizzarra fantasia, di un’utopia senza prospettive
reali. […]
Anche Perlman, che in seguito prese il nome di
Eliezer Ben Yehuda, era nato in Lituania, in un villaggio sperduto. Ma
la soluzione da lui cercata avrebbe proceduto nella direzione opposta a
quella di Zamenhof: non la ricerca di un substrato europeo su cui
edificare una lingua comune, ma il ritorno all'ebraico, la lingua
ancestrale dei padri. La scelta di Perlman avrebbe conquistato i
militanti ebrei che erano stati costretti ad un duro risveglio, dopo
l'ondata di pogrom del 1882. […] L’atto di nascita del progetto di Ben
Yehuda, è un articolo del 1878 in cui si faceva appello agli ebrei di
parlare solo in ebraico. L'atto di nascita dell'esperanto, è del 1887.
Non è un caso che la denominazione sia la stessa dell'inno nazionale
ebraico, l'Hatikvah (speranza). Sono più che coincidenze. Dieci anni
dopo nascevano il movimento sionista ed il movimento bundista, fratelli
gemelli e speculari nella loro reciproca opposizione anche
linguistica. Il primo avrebbe propugnato l'ebraico, il secondo lo
yiddish come lingua nazionale ebraica. In quello stesso anno, Freud
formulava il nucleo fantasmatico della sua teoria edipica. Ben Yehuda
era nato nel 1858, Zamenhof nel 1859. Rispettivamente due e tre anni
dopo Freud. Come Freud, anche Zamenhof era medico.
Se racconto questo fatto non è solo per ricordare uno dei tanti paradossi della vita ebraica e della società israeliana, che i nomi delle strade possono rievocare e riflettere meglio di ogni altro commento. È perché in questi paradossi è racchiusa una possibile chiave
di lettura per comprendere il legame che la nascita delle scoperte
freudiane ha con la vicenda ebraica, che spiega il profondo radicamento
ed il successo del pensiero di Freud nella generazione ebraica
dell'emancipazione. Se come ha spiegato Lacan, l'inconscio è
strutturato come un linguaggio, cos'altro di più ebraico c'era
nell'avventura scientifica di Freud, del bisogno di scoprire i codici cifrati di una prima lingua, capace di gettare un ponte fra lingue che non comunicavano più fra loro? È un fatto a cui si è prestato poca attenzione, e che solo di recente ha incontrato l'attenzione dovuta all'interno del movimento psicoanalitico. La maggioranza delle prime analisi didattiche erano svolte in una situazione in cui uno dei due componenti della coppia analitica parlava in una lingua diversa dalla propria. Il fatto non è stato oggetto dell'attenzione dovuta, non solo perché per la maggioranza di questa generazione di analisti il multilinguismo (che va distinto dal poliglottismo, come l’interculturalità va distinta dalla multiculturalità) era una condizione esistenziale; ma perché intorno a questo problema ruotava la questione stessa della loro identità di ebrei e la validità della loro scommessa perché pionieri di un nuovo sapere. L'attraversamento della lingua e dei codici, la necessità di ridare un significato alla multiappartenenza,
in un'epoca in cui i nazionalismi emergenti consideravano tutto ciò un
pericolo e la stessa psicologia accademica vi vedeva il sintomo di un
disturbo o peggio di una malattia, è all'origine del progetto
freudiano, ne è un’importante condizione storica. Il fatto che il
pensiero psicoanalitico si sia ad un certo momento dovuto misurare con
gli apporti della linguistica non è solo il risultato di un inevitabile
e fecondo incontro su terreni di confine di discipline fra loro diverse. Per chi ha capacità di ascolto, questa discussione scientifica conserva l'eco di eventi storici
drammatici da cui ha preso avvio la ricerca freudiana di una lingua
franca, capace di far parlare oltre il sintomo. Si comprende dunque
come lo studio della componente ebraica di Freud, intenda non solo a
riscattare un aspetto importante della vita e dell'opera del
fondatore della psicoanalisi, ma sia anche un prisma entro cui
riflettere problemi di portata più ampia che coinvolgono la società nel
suo insieme. È nello sguardo straniero che una società poteva imparare
a comprendersi meglio, e capire perché determinate scoperte, alla cui
radice vi era un ethos particolare, si fossero poi affermate e diffuse
come parte del vivere quotidiano in Occidente.
David Meghnagi
Il Papa in Israele e la cultura dell’accoglienza oggi in onda nella nuova puntata di Sorgente di vita
I respingimenti in Libia, le norme sui clandestini e il rispetto per le diversità. E’ uno degli argomenti al centro della puntata di Sorgente di vita in onda domenica 24 maggio all’1.20 circa su Raidue e in replica lunedì 25 all’1.25. Accanto
al tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, di cui discutono il
direttore del Riformista Antonio Polito e lo storico sociale delle idee
David Bidussa, si parla della tappa israeliana del viaggio del Papa in
Medio Oriente: dalla visita a Yad Vashem al messaggio tra le pietre
del Muro occidentale, dall’incontro con i Rabbini a quello con il
presidente Shimon Peres. A tracciarne un bilancio intervengono Renzo
Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e la
storica Anna Foa. La puntata si chiude con un’intervista al giornalista Arrigo Levi che racconta il suo percorso umano e professionale soffermandosi sulle leggi razziali, l’emigrazione in Argentina, la guerra di Indipendenza di Israele e la recente carica di consigliere del presidente della Repubblica.
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Qui Milano - Hason: "L'esperienza comunitaria al servizio di una Provincia multietnica e rispettosa"
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è a nato a Milano, ma vive qui da 35 anni. Avram Hason, nativo di
Smirne, città che con il capoluogo lombardo si è giocata l’Expo 2015,
dopo quindici anni di partecipazione alla vita comunitaria, ha ora
deciso di mettersi in gioco per la Provincia di Milano, candidandosi
nella Lista Penati. Questa sera Hason illustrerà la sua scelta agli
ebrei milanesi in un incontro organizzato alla Residenza Arzaga da
Efes2, l’Ufficio giovani della Comunità ebraica di Milano. Avram Hason, come è maturata la scelta di dedicarti alla politica? La
Provincia di Milano ha da sempre ottimi rapporti con la Comunità.
Abbiamo collaborato in molti frangenti. La scelta di candidarmi può
essere considerata il frutto naturale di questa vicinanza. Il
presidente uscente Filippo Penati così come il Presidente Sued ed io,
ci siamo resi conto che un membro della Comunità all’interno della
Provincia avrebbe potuto rendere lo scambio e l’aiuto reciproco ancora
più proficuo. A questa motivazione si aggiunge il mio attaccamento alla
città in cui vivo da tanti anni, in cui vivono le mie figlie e tante
persone che mi sono care, al cui sviluppo voglio pertanto collaborare
nel modo più attivo possibile. Sei impegnato nella vita comunitaria da tanti anni e ti sei occupato di molte problematiche differenti: la scuola, i servizi sociali, l’informazione. In che modo l’esperienza della Comunità di Milano potrebbe contribuire a quella provinciale? Un settore in cui possiamo senz’altro dare un apporto è quello della gestione della multietnicità che caratterizza Milano in maniera sempre più marcata. La nostra è infatti una Comunità composita, che vede coesistere al suo interno molte etnie differenti. Potremmo aiutare la città a far tesoro di quella che, a mio modo di vedere, rappresenta una grande ricchezza. E il primo passo da compiere in tal senso è impegnarsi per far aumentare la tolleranza e il rispetto, ma anche la conoscenza reciproca. Uno dei nostri progetti in questa direzione riguarda la nascita, grazie al lavoro congiunto di Provincia, Comunità ebraica e Multimedica, di un Consultorio multietnico, con operatori di diverse religioni e appartenenze ad accogliere i cittadini stranieri. Cosa propone la tua lista per la città di Milano? La Lista Penati è una lista civica, senza colore politico, senza ideologia, una lista “del fare”. Uno dei punti che ci sta più a cuore è l’eliminazione entro due anni di Provincia e Comune, per dar luogo a un’unica grande area metropolitana, suddivisa in municipalità. Queste potrebbero essere più vicine ai cittadini e occuparsi della scuola o dei servizi sociali. Problemi come la manutenzione delle strade, la raccolta rifiuti o l’acqua, sarebbero
invece gestite a livello centrale dalla metropoli. Mi stanno inoltre a
cuore le misure per aiutare il ceto medio e i piccoli
imprenditori, di cui conosco bene le difficoltà, per restituire
alle loro attività ossigeno e incentivi. Vogliamo poi occuparci del
problema dell’ambiente e della mobilità. Insomma, un impegno su tutti i
fronti. Come hai vissuto la rivalità tra Milano e Smirne, tua città natale, per l’assegnazione dell’Expo? Un anno fa ho tifato per Milano, convinto che questa fosse una grossa opportunità di crescita e sviluppo per la nostra città. Oggi penso che Milano stia sprecando quest’ opportunità, perché in un anno non si è fatto quasi nulla. Per Smirne ospitare questa manifestazione sarebbe stato davvero importante nell’ottica di rivitalizzazione di una città quasi priva d’infrastrutture, in cui la popolazione, di quattro milioni di abitanti è
in costante calo. Per questo penso che Milano abbia il dovere non solo
di svegliarsi, ma di fare qualcosa di eccezionale per questo Expo, con
la consapevolezza che quando si priva qualcuno della possibilità di
realizzare qualcosa di molto importante, si ha almeno il dovere di
sfruttare questa possibilità in modo superlativo.
Rossella Tercatin |
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rassegna stampa |
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Rassegna stampa piuttosto sintetica, quella di oggi. Sul fronte politico interno si segnala, sul Manifesto, Orsola
Casagrande che riferisce della manifestazione neofascista in programma
per sabato prossimo a Venezia. Contro la marcia, che dovrebbe
concludersi a pochi passi dal Ghetto, ha già preso posizione un fronte
composito cui prende parte anche la Comunità ebraica. In tema di
politica estera, sempre sul Manifesto Michele Giorgio dà conto della “frenata” impressa da Obama al piano di pace e sempre in tema mediorientale il Riformista riporta
un ulteriore pesante attacco di Ahmadinejad a Israele sferrato, non a
caso, a pochi giorni dalle elezioni. La pagina culturale propone infine
sulla Stampa un’anticipazione
del libro di Elena Loewenthal La città che non vuole invecchiare in
uscita in questi giorni da Feltrinelli e dedicato a Tel Aviv. Sul Sole 24 ore,
infine, Giulio Busi recensisce il volume Architettura dell’occupazione
Spazio politico e controllo territoriale in Palestina e Israele (Bruno
Mondadori) di Eyal Weizman.
dg |
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notizieflash |
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Lieberman, “Escluso il ritorno alle frontiere del ‘67” Tel Aviv 24 mag Il
ritorno alle frontiere del ’67 è escluso. Lo ha affermato oggi, in un
incontro stampa prima della seduta settimanale del governo, il ministro
degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. "Oggi – ha detto - un
ritorno alle frontiere del 1967, come ci esortano a fare, non
metterebbe fine al conflitto e non garantirebbe né la pace e né la
sicurezza”. “Ciò – ha concluso avrebbe come effetto solo quello di
spostare il conflitto all'interno delle frontiere del 1967”. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
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