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L'Unione informa |
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28 maggio 2009 - 5 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Questa
sera inizia la festa di Shavu'ot, festa delle primizie e del dono della
Torà. Shavu'ot significa settimane, dato che la festa cade dopo sette
settimane dall'inizio di Pesach. Ma le sorprese della lingua ebraica
sono infinite. Dalla stessa radice, comune anche a lingue indoeuropee,
che indica il numero sette (sheva') e di qui settimana (shavu'a) deriva
anche shevu'à,
che vuol dire
giuramento. Che rapporto vi sia tra le due cose è difficile dirlo.
Forse, come suggerisce il racconto di Avraham (Bereshit 20:28), è
perché inizialmente la shevu'à non
era un giuramento qualsiasi ma un particolare tipo di impegno che si
assumeva con una cerimonia solenne che richiedeva il sacrificio di
sette animali. In ogni caso questo strano accostamento fa sì che la
festa delle settimane possa significare, con una piccola variazione di
vocale (Shevu'ot invece di Shavu'ot), la festa dei giuramenti. Al
plurale, perché sono due le parti che si impegnano solennemente e per
sempre, con tutto ciò che la cosa comporta: Colui che dà la Torà e il
popolo che la riceve. |
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Arriva da Londra la sfida al predominio dell'Artscroll Siddur nelle sinagoghe d'America. Il rabbino capo Jonathan Sacks ha terminato il Koren Siddur.
Molte le novità, prima fra tutte l'inclusione fra le feste della
liturgia di Yom ha-Azmaut per consentire a ogni "congregation" di
sincronizzare le preghiere per il giorno delll'indipendenza di Israele. |
Maurizio Molinari, giornalista |
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davar |
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Qui Trieste - Luigi Luca Cavalli Sforza “Il razzismo non ha basi scientifiche”
La
genetica non c'entra. A differenziare i gruppi umani è invece
l'evoluzione culturale: le conoscenze, le innovazioni, i costumi, le
abitudini del vivere. E dunque il razzismo non ha alcuna base
scientifica. Così Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista di fama
internazionale, docente alla Stanford University e direttore dell'opera
Storia della cultura italiana edita da Utet di cui è da poco uscito il primo volume Terra e popoli,
ha rilanciato un messaggio di chiaro segno antirazzista al convegno, in
corso a Trieste, dedicato alla diversità umana. “Il razzismo –
sottolinea Cavalli Sforza - è semplicemente l'intolleranza per le
persone che sono diverse da noi”. “Le differenze visibili – continua –
sono innegabili. Ma il nostro aspetto, su cui si focalizza tanta
attenzione, in realtà coinvolge una piccola quota del codice genetico
umano. Ben più importanti a differenziare i gruppi sono invece gli
atteggiamenti culturali”.
Sfatati
i presunti fondamenti scientifici del razzismo, il convegno – promosso
dal Dipartimento di storia e storia dell'arte dell'ateneo triestino e
dalla Scuola dottorale in scienze umanistiche in collaborazione con la
Sissa – Scuola superiore di studi avanzati con il supporto della della
Fondazione Kathleen Foreman Casali – prosegue oggi la sua suggestiva
carrellata sulle mille sfaccettature della diversità umana affrontata
con un approccio interdisciplinare da esperti di genetica,
neuroscienza, storia e letteratura. Centrale, in questa disamina,
il capitolo dell'educazione. Se, come sottolineato da Cavalli Sforza,
l'evoluzione umana procede su impulso dell'evoluzione culturale,
proprio la cultura può sostenerci nella lotta al pregiudizio e alle
discriminazioni. “In un periodo in cui sembrano riemergere antichi
fantasmi – dice infatti Gacomo Todeschini, direttore del Dipartimento
di storia e arte – è necessario riuscire a proporre una riflessione a
tutto campo sul tema del razzismo capace di intrecciare i temi della
scienze biologiche a quelli delle scienze umanistiche e all'etica. Solo
così possiamo pensare di riuscire a dare concretezza ed efficacia al
discorso antirazzista”.
Nell'immagine i professori Luigi Luca Cavalli Sforza (Stanford
University) e Guido Barbujani (Università di Ferrara), a destra,
durante l'intervento del professor Guido Abbattista (Università di
Trieste).
dg
Il cervello tra giudizi e pregiudizi
Per gentile concessione dell'autrice pubblichiamo uno stralcio dell'intervento di Raffaella Rumiati (Laboratorio di neuroscienze, Scuola superiore di studi avanzati, Trieste, nell'immagine a fianco) al convegno "La diversità umana".
In
anni recenti, i ricercatori hanno cominciato a dedicarsi allo studio
delle basi nervose dell’aspetto sociale di alcuni comportamenti umani,
quelli che cambiano in virtù della nostra appartenenza a un gruppo
etnico. Un primo risultato apprezzabile di questa ricerca riguarda i
pregiudizi impliciti che emergono quando valutiamo individui che
appartengono a un gruppo etnico diverso dal nostro. La tendenza
a mostrare un’associazione negativa nei confronti dei membri di un
gruppo etnico diverso da quello cui apparteniamo noi, senza esserne
consapevoli, è un fenomeno noto da tempo agli psicologi sociali. Simili
pregiudizi si osservano anche in altri ambiti: per esempio, si tende ad
associare le donne più spesso alla casa che al laboratorio, o a
preferire i giovani ai vecchi. La cosa curiosa è che questi pregiudizi
impliciti non rispecchiano quello che pensiamo di credere, cioè i
nostri giudizi espliciti. Che non si tratti di un mero fenomeno
di laboratorio è risultato evidente durante l’ultima corsa per
conquistare la Casa Bianca. In quell’occasione, si è tornati a parlare
diffusamente dell’ "effetto Bradley" secondo cui le preferenze
pubbliche dei votanti, sondate prima delle elezioni, non
rifletterebbero necessariamente i loro giudizi impliciti, come si
evince dai risultati ottenuti in passato dai candidati afro-americani
(Bradley, Wilder o Dinkins) che tra il 1982 e il 1992, nonostante
fossero stati dati con un vantaggio notevole, finirono con l’essere
sconfitti o eletti di misura. Quindi, spiegare come si formino i
pregiudizi razziali nella nostra mente, e verificare se siano plastici,
cioè suscettibili di modificazioni, potrebbe aiutarci a spiegare e,
chissà, magari anche a ridimensionare, i pregiudizi sociali nel mondo
reale.
Nelle ricerche in cui sono state osservate
incongruenze tra giudizi razziali impliciti ed espliciti, i pregiudizi
impliciti sono stati valutati utilizzando l’Implicit Association Test (IAT). In
questo test, i partecipanti devono usare lo stesso tasto per indicare,
metà delle volte, le parole “buone” o le facce di neri, e un altro
tasto per indicare le parole “cattive” o le facce dei “bianchi”
(condizione incongruente), mentre nell’altra metà dei casi,
l’abbinamento è invertito (condizione congruente). L’atteggiamento
implicito è definito come la differenza media tra i tempi di reazione
delle due condizioni (incongruente - congruente): i punteggi più
elevati indicano che per i soggetti è più difficile accoppiare i neri
alle parole buone che a quelle cattive. Per verificare la
presenza di un pregiudizio razziale implicito, si può ricorrere anche
alla misurazione della risposta di trasalimento in individui di un
gruppo etnico che osservano facce di individui di un altro gruppo.
Questa risposta aumenta alla vista di stimoli negativi o spaventosi, e
questo aumento è stato messo in relazione all’amigdala, una regione
della corteccia temporale che risponde alla presentazione di stimoli
che hanno un significato emotivo, facce comprese. Invece, per
misurare quello che gli europeo-americani pensano apertamente degli
afro-americani, gli psicologi statunitensi si servono della Modern
Racism Scale (1986). Per esprimere se sono d’accordo o meno con
affermazioni del tipo “La discriminazione contro i neri non è più un
problema negli Stati Uniti” oppure “E’ facile capire la rabbia delle
persone nere in America”, i soggetti devono assegnare un punteggio da 1
a 6 a ciascuna di esse. I punteggi bassi indicano un atteggiamento
favorevole nei confronti dei neri e i punteggi elevati rappresentano
credenze e atteggiamenti loro avversi. [...]
Che cosa
aggiungono a quello che sapevamo già gli studi sui pregiudizi condotti
utilizzando la risonanza magnetica funzionale? In uno studio del 2000,
Elizabeth Phelps e collaboratori hanno cercato di identificare i
correlati cerebrali dei pregiudizi razziali impliciti di donne e uomini
europeo-americani. La risonanza magnetica funzionale non misura
direttamente l’attività cerebrale, ma la risposta emodinamica – il BOLD
(da Blood Oxygenation Level-Dependent) - che accompagna l’aumento di
attività neuronale associato all’elaborazione di uno stimolo (per es.
una faccia) o all’esecuzione di un compito (per es. dire è una faccia
nota o sconosciuta). Nel primo esperimento, i ricercatori hanno
presentato ai soggetti nello scanner volti di maschi afro-americani ed
europeo-americani sconosciuti. Finito lo scanning, hanno misurato i
pregiudizi impliciti con l’IAT e la risposta di ammiccamento, che è una
componente del riflesso di trasalimento dei muscoli sotto l’occhio,
servendosi dell’elettromiogramma. Per valutate le convinzioni e gli
atteggiamenti espliciti hanno somministrato la Modern Racism Scale. Per
quanto riguarda il comportamento, ai test impliciti i soggetti
europeo-americani hanno valutato negativamente i neri , risultato che
non è stato replicato con la prova esplicita. Per quanto riguarda
il cervello, i ricercatori hanno localizzato le risposte dell’amigdala
alle facce dei neri e quelle alle facce dei bianchi facendo ricorso
alla region-of-interest (ROI) analysis. La ROI ha rivelato
un’attivazione dell’amigdala maggiore per le facce dei neri in 8
soggetti su 12; mentre nei rimanenti 4 questa attivazione non era così
chiara. Questi risultati suggeriscono una certa variabilità. [...]
Nel
secondo esperimento, la Phelps ha dimostrato che la risposta
dell’amigdala può essere modificata. Sostituendo ai volti di
sconosciuti quelli di afro-americani famosi, le risposte all’IAT sono
risultate meno pregiudizievoli, non si è osservato effetto di
trasalimento significativo per le facce dei neri e non si sono
osservati pattern di attivazione dell’amigdala quando i soggetti
osservavano facce di neri famosi rispetto a quelle dei bianchi. In
questo esperimento, però, è possibile che la riduzione del pregiudizio
sia stata determinata non solo dalla famigliarità (erano volti di
afro-americani famosi) ma anche dalla categorizzazione (e di successo).
Questo è stato il primo studio a dimostrare che membri appartenenti a
diversi gruppi etnici possono evocare diverse risposte dell’amigdala e
che questa attività correla con la valutazione sociale spontanea. La
Phelps è molto cauta nell’interpretare questi risultati e ci ricorda
che i dati di neuroimmagine sono correlazionali e non esprimono un
rapporto di causalità tra un’area cerebrale e il comportamento: è
probabile che l’attivazione dell’amigdala e le risposte comportamentali
riflettano l’apprendimento sociale all’interno di una data cultura, in
un particolare momento della storia delle relazioni tra gruppi sociali.
In un articolo apparso in Psychological Science nel 2004,
William Cunningham e collaboratori hanno dimostrato che, oltre
all’amigdala, la valutazione razziale comprende sistemi cerebrali più
estesi. In questo studio di risonanza magnetica funzionale, volti
di europeo-americani e di afro-americani venivano presentati per 35 ms
o 525 ms (alternati a quadrati bianchi) a soggetti europeo-americani
mentre erano nello scanner. Il compito consisteva nel rispondere
premendo un bottone o l’altro a seconda che lo stimolo visivo (faccia o
quadrato) apparisse a destra o a sinistra del punto di fissazione posto
al centro dello schermo. Finita l’acquisizione dei dati di
neuroimmagine, ai soggetti veniva somministrato l’IAT, la Modern Racism
Scale e l’Internal Motivation to Respond Without Prejudice Scale. Gli
autori hanno creato un indice che esprime il conflitto tra valutazione
implicita e valutazione esplicita, e che riflette la discrepanza tra
atteggiamenti automatici e atteggiamenti controllati. I risultati
ai test somministrati dopo l’acquisizione dei dati di neuroimmagine,
mostrano che tutti i soggetti erano in disaccordo con le affermazioni
razziste ma concordavano con le affermazioni non razzista, oltre a
rivelare una motivazione a rispondere senza pregiudizi. Eppure
mostravano atteggiamenti razzisti all’IAT. [...] I risultati al
test motivazionale (Internal Motivation to Respond Without Prejudice
Scale) suggeriscono che i soggetti europeo-americani erano motivati a
regolare o controllare stati d’animo indesiderati nei riguardi degli
afro-americani. Questo risultato concorda con i risultati di
neuroimmagine: quando le facce venivano presentate per un periodo più
lungo, il confronto delle risposte neuronali alle facce dei neri con
quelle alle facce dei bianchi, non generava l’attivazione
dell’amigdala. [...] I risultati di questo studio suggeriscono
che: l’elaborazione automatica e quella più controllata
dell’informazione relativa ai gruppi sociali hanno basi nervose
distinte e che l’elaborazione controllata può moderare l’attività che
altrimenti emergerebbe dall’elaborazione automatica.
Diverse
ricerche comportamentali hanno dimostrato che siamo più veloci e
accurati nel riconoscere facce di individui che appartengono al nostro
stesso gruppo etnico, rispetto a quelle che appartengono a un gruppo
etnico diverso (Same - Race Advantage). Le facce di individui di un
gruppo etnico diverso dal nostro sono percepite come più simili di
quelle di individui del nostro gruppo (Other - Race Effect). Questo
vantaggio viene spiegato col fatto che siamo esperti di facce del
gruppo cui apparteniamo. Questa spiegazione tuttavia vale solo se il
gruppo di appartenenza è maggioritario. Nella popolazione
nordamericana, questo effetto, infatti, è più forte per gli
europeo-americani che per gli afro-americani, verosimilmente perché gli
europeo-americani sono meno esperti di facce di afro-americani, mentre
quest’ultimi, essendo una minoranza, sono esperti anche di facce di
europeo-americani. A sostegno dell’interpretazione di questi
effetti in termini di expertise, Alexandra Golby e collaboratori, in
una ricerca pubblicata nel 2001 sulla rivista Nature Neuroscience,
hanno riportato un’attivazione nella Fusiform Face Area (FFA) nella
corteccia occipito-temporale destra, quando i soggetti di entrambi i
gruppi etnici osservavano le facce del loro stesso gruppo rispetto a
quando osservavano oggetti dei quali entrambi i gruppi avevano poca
esperienza (radio antiche). Altri studi hanno dimostrato che l’FFA è
coinvolta non tanto nell’elaborazione di facce, quanto piuttosto in
quella di stimoli per i quali gli individui hanno un expertise
percettivo (per es. risulta attiva negli esperti di macchine o di
uccelli quando osservano esemplari appartenenti a queste due categorie)
Lo
studio di Sophie Lebrecht e collaboratori, appena uscito su PLos One,
affronta il problema del riconoscimento delle facce in relazione ai
pregiudizi. La loro tesi è che è più difficile valutare socialmente le
facce che si differenziano meno facilmente, per cui in questi casi gli
individui tendono a far ricorso a stereotipi sociale. Dopo aver
addestrato un gruppo di europeo-americani a discriminare volti di
individui appartenenti a due gruppi etnici diverso dal loro (cinesi e
afro-americani), i ricercatori hanno visto che i loro punteggi a un
test simile all’IAT erano cambiati: erano diventati meno razzisti. Con
quest’ultima ricerca il campo di studio dei pregiudizi sociali
impliciti si arricchisce di due nuovi concetti: 1) questi comportamenti
emergono sia dai sistemi sociocognitivi sia da processi di
categorizzazione percettiva 2) e i pregiudizi razziali impliciti hanno
probabilmente sia una componente percettiva sia una componente sociale.
Conclusioni Cosa
ci dicono le neuroscienze a proposito della valutazione e percezione di
individui che appartengono a gruppi etnici diversi dal nostro:
1.
Siamo automaticamente portati a valutarli negativamente ma
inconsapevolmente, mentre siamo consapevolmente bendisposti a
controllare le nostre reazioni là dove il contesto prescrive norme di
tipo egualitario.
2. Questa valutazione implicita si verifica quando l’altro è appena visibile (35 ms!)
3.
Questa avversione automatica è associata all’amigdala la cui
attivazione però decresce in funzione della famigliarità e/o
categorizzazione dell’altro.
4. Possiamo
controllare atteggiamenti negativi attivati spontaneamente mettendo in
campo processi più riflessivi (la corteccia prefrontale che modula
l’amigdala).
Se siamo razzisti possiamo cercare di smettere.
Raffaella Rumiati |
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pilpul |
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I rigagnoli della memoria
I
cattolici italiani registrano la freddezza israeliana durante la visita
di Benedetto XVI, di cui è stata rimarcata un certa distanza emotiva
allo Yad Vashem. La pioggia delle critiche della società israeliana è
apparsa esagerata: tanta pignoleria, per una cosa che in fondo è
successa più di sessantanni fa.
Il Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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Secondo
fuoriprogramma nel giro di una settimana. Dopo che Roma ha rimandato
l’inaugurazione di piazza Gerusalemme provocando l’irritazione del
sindaco Barkat, Bibi Netanyahu annulla il viaggio in Europa (come
riporta il Corriere).
Fonti ufficiali: il premier è impegnato con il bilancio di Stato e la
scelta del nuovo negoziatore per la liberazione di Gilad Shalit. Fonti
non ufficiali: Netanyahu resta a casa perché vuole sbarcare nel Vecchio
Continente con qualche risultato in tasca, cosa che ora non può
sventolare. Qualche vittoria che lo renda più forte, almeno sulla
carta, da presentare agli europei. Inoltre, scrive Maariv, c’è
l’irritazione dell’Unione europea per le parole su Gerusalemme unica e
indivisibile capitale d’Israele. Retroscena a parte, il viaggio è
stato annullato. Il vertice con Berlusconi, Sarkozy e Brown si farà, ma
non ora. Chi invece dal presidente del Consiglio italiano si è
fermato in qualità di “vecchio amico” è Ehud Olmert. L’ex premier è
stato da Berlusconi a Palazzo Graziali, racconta Il Giornale
in un’intervista all’israeliano. Olmert, in Italia anche per godersi la
finale di Champions League, sembra aver consolato Berlusconi per le sue
ultime vicende di cronaca rosa e ha rassicurato i lettori sull’impegno
di Netanyahu circa una possibile pace in medioriente e, quindi, un
accordo con i palestinesi. A proposito di palestinesi, ieri il
presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, durante la sua visita
in Israele, ha annunciato la volontà di aprire un Museo della memoria
per i palestinesi. Ne esiste uno per la memoria degli ebrei, dice
Marrazzo, ma non uno per la popolazione palestinese, riporta il Corriere. La rassegna stampa potrebbe fermarsi qui, ma per chi ha tempo è bene leggere una riflessione di Elena Loewenthal, sulla Stampa, riguardo la polemica sulla stella gialla che indossa il leader radicale Marco Pannella. Il Manifesto,
invece, racconta delle cinque ore d’interrogatorio ad Avigdor
Lieberman, che rischia di essere incriminato per alcuni reati, tra cui
il riciclaggio.
Fabio Perugia |
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notizieflash |
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Il
Tribunale supremo argentino riapre le indagini
sull’attentato antisemita del 1994 Buenos Aires, 28 mag - Si riaprono a Buenos Aires le indagini sull’attentato antisemita del luglio
1994 alla sede dell’Associazione di mutua assistenza israelo-argentina
(Amia). La decisione è stata accolta dalla Comunità ebraica molto
positivamente. L’attacco del ‘94 causò la morte di 85 persone e oltre
200 feriti. In questi giorni il Tribunale supremo della giustizia
argentina ha ordinato di riaprire il caso, interrottò quattro anni fa,
per una serie di irregolarità contestate al giudice federale Juan José
Galeano, che è stato destituito dall'incarico. In particolare
l’attenzione sarà rivolta all’inchiesta riguardante Carlos Alberto
Telleldin, l'uomo sospettato di aver fornito il veicolo che saltò in
aria davanti alla porta della Amia. "Ora sarà possibile approfondire le
indagini fatte – ha affermato Aldo Donzis, presidente delle Delegazioni
delle associazioni israeliane in Argentina (Daia) – “La Comunità
ebraica e l'insieme della società argentina devono sapere chi sono i
responsabili", ha aggiunto. "Si tratta di un passo molto importante per
chiarire quanto successo in quell'attentato", ha d'altra parte
affermato l'ambasciatore Usa a Buenos Aires, Earl Anthony Wayne. Tempo
fa, la magistratura argentina aveva spiccato, nell'ambito delle
indagini, mandati di cattura contro cinque iraniani e un libanese, fra
cui l'ex responsabile dell'intelligence di Teheran, Ali Fallahian e
l'ex capo dei Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione Islamica), Mohsen
Rezaei. Il libanese era invece Imad Mughnieh, membro dell'ala militare
di Hezbollah. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
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