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L'Unione informa |
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31 maggio 2009 - 8 Sivan 5769 |
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alef/tav |
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Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
Secondo la tradizione del midrash,
i dieci comandamenti sono stati enunciati - in prima istanza - in
un'unica parola: forse in un solo suono. Solamente in un secondo
momento - per rendere compresibile il discorso agli uomini - Dio ha
distinto la parola originaria nell'insieme di parole che costituisce i
comandamenti. Unità/unicità dell'emittente ed unità/unicità del
messaggio; ma anche sintesi assoluta, che ahimè manca alla nostra
dimensione umana. |
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C’è
una condizione che si sta diffondendo ed è quella dell’amarezza.
Riguarda la quotidianità "normale", quella di molti di noi che non
siamo personaggi pubblici e che rischia di essere un fenomeno taciuto,
subordinato alla dimensione straripante che ha acquistato il privato
delle persone pubbliche. Il dato dell’amarezza riguarda la condizione
di provare un profondo senso di ingiustizia ed entrare in un circolo
vizioso in cui il pensiero costante è la convinzione di essere una
vittima del sistema in cui si è costretti a vivere. E’ una condizione
che in un’epoca in cui sia presente un’ipotesi politicamente
riconoscibile di migliorabilità della propria vita quotidiana,
concreta - in termini di reddito, di soddisfazioni, di
opportunità pensate e realizzate - si mantiene entro confini limitati e
non rischia di divenire un problema patologico di un Paese. Dove,
invece, questa alternativa non c’è, e il senso dell’amarezza sembra
solo appannaggio delle personalità pubbliche, il rischio è la
diffusione di apatia sociale. La cosa non è marginale perché
cronicamente il nostro è un Paese caratterizzato dalla convinzione che
non si dia una seconda chance nella vita, al di là delle filosofie
intorno all’"arte di arrangiarsi". Anche per questo, al netto di tutto,
non sarebbe fuori luogo riprendere a parlare del futuro non del nostro
incerto presente, più che del tempo libero, per quanto discutibile, del
Presidente del Consiglio. |
David Bidussa,
storico sociale delle idee |
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«Pagine ebraiche» per il dialogo
Niente
slogan, spot o pagine di pubblicità, ma cultura, dibattito e
approfondimenti in una nuova pubblicazione destinata a incentivare il
dialogo degli ebrei italiani con la società. Sull'otto per mille
l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane cambia radicalmente
strategia: unica fra le minoranze religiose, l'Ucei rinuncia a
investire per sollecitare un adesione emozionale della pubblica
opinione. Primo segno del cambiamento, l'apparizione di un tabloid,
pagine ebraiche , stampato in 100 mila copie (una tiratura astronomica
per la più antica comunità della diaspora, che raccoglie appena 30 mila
iscritti) e destinato alla diffusione fra gli opinion leader, ebrei e
non ebrei. Il giornale, distribuito prima alla Fiera del libro di
Torino, poi fra politici, giornalisti e cittadini, è anche scaricabile
dal portale dell'ebraismo italiano www.moked.it. Raccoglie i contributi
di grandi nomi della cultura italiana, da Anna Foa a Sergio Della
Pergola, da Vittorio Dan Segre a David Bidussa. Ma anche un'intervista
fuori dai denti al direttore dell'Osservatore romano Giovanni Maria
Vian, un inedito di Primo Levi e la storia di Jonathan Pietra, il
giovane campione italiano di karate escluso dai Giochi del Mediterraneo
di Pescara perché arruolato nella nazionale israeliana. E' soprattutto
un modo nuovo di raccontare la vita ebraica e la realtà di Israele, con
molta attenzione alle tendenze, alla scienza e alla ricerca,
all'economia e alla cultura. Una prova generale, forse, per la nascita
di una testata giornalistica ebraica nazionale.
Nazione – Carlino – Giorno, 25 maggio 2009
Giornali verso il Medio Oriente, di Cinzia Leone, Il Riformista
Gli ebrei si raccontano, L'Osservatore Romano
Immagini e pensieri dal Lingotto, www.torino.repubblica.it L'"outing" degli ebrei: un dossier riapre il dialogo con i cattolici, Il Messaggero |
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Joe Kubert, la tecnica del "what if" e un giovane disegnatore ebreo della Shoà
Di Joe Kubert abbiamo già parlato raccontando Un gangster ebreo,
non abbiamo però ancora scritto di una delle sue opere più
significative sul piano artistico, storico e culturale. Joe Kubert è
entrato in quel gruppo di autori che racconta attraverso il fumetto la
storia del popolo ebraico. Come Will Eisner raccoglie dalla sua
esperienza e dai ricordi di famiglia trame e sentimenti che via via
racconta. Con Yossel
ha tentato, in modo a dir poco straordinario, di sfruttare una tecnica
narrativa tipica del fumetto supereroistico come il what if in un contesto storico. La Shoà. Il what if
non è altro che raccontare una storia cambiandone alcuni elementi per
cambiarne la trama ed esplorare altre potenzialità del racconto stesso.
Un what if della storia dei mutanti X-Men può essere che i mutanti non siano perseguitati, ma anzi amati e accettati pacificamente dall'umanità. Il what if
di Joe Kubert lo vede in prima persona coinvolto. Ecco cosa racconta
della sua infanzia: “Dal momento in cui vidi il mio primo fumetto in un
quotidiano, prima che io potessi perfino leggere le parole, le immagini
mi spingevano dentro un mondo che io avrei amato. Flash Gordon, Prince
Valiant, Bringing Up Father, Jungle Jim, The Phantom, Tarzan, Terry and
the Pirates, Dick Tracy, The Gumps, Gasoline Alley, The Katzenjammer
Kids. Questi personaggi erano vivi per me. Non erano bidimensionali,
coloratissimi (e spesso fuori registro) disegnati con una linea nera.
Non per me. E questo era ciò che volevo fare. Disegnare
storie con immagini che fossero vive.” Ma se questo ragazzo
profondamente innamorato dei fumetti non fosse cresciuto a Brooklyn, ma
in Polonia? Se adolescente si fosse trovato nel ghetto di Varsavia? Se
avesse comunque cercato di disegnare quei personaggi dei fumetti
statunitensi? Se... se... ecco il what if.
Joe Kubert è cresciuto nel mondo dei “super” della DC e della Marvel.
Le immagini di quei personaggi, che solo nei fumetti combattono i
nazisti, passano sotto i suoi occhi, fanno parte della sua
immaginazione. Ecco allora la storia di Yossel,
un quindicenne che viene deportato nel ghetto di Varsavia, ma che non
vuole rinunciare a disegnare quei personaggi che leggeva nella rivista
settimanale Wedrowiec, o nella serie di volumi dedicati a Flash Gordon, Blysk Gordon i kròlowa blekitney magii
(Flash Gordon and the queen of the blue magic). Yossel attira
l’attenzione dei suoi carnefici, lo invitano al comando nazista per
disegnare, come un animale da zoo. Nel frattempo Kubert racconta il
ghetto, i lager, l’incredulità della Comunità ebraica di fronte ai
racconti di un rabbino fuggito, racconta della rivolta del ghetto e
dell’eroismo di quegli uomini che misero in scacco quello che sembrava
l’esercito più forte del mondo. Ma se la tecnica del what if
permette di far incontrare due mondi così distanti come la realtà della
Shoà e il fantastico mondo dei supereroi, e in modo originale esplorare
quanto forse sappiamo fin troppo bene, è nella scelta grafica che
Kubert incide maggiormente le nostre emozioni di lettori. Il primo
passo, quando si produce un fumetto, è disegnare le tavole con la
matita, il passo successivo è quello dell’inchiostro. Quanti
fumetti sono diventati dei capolavori perché l’inchiostratore era stato
capace di esaltare le linee del disegnatore. Ma Kubert ci racconta: “la
mia idea originaria era di disegnare prima e poi applicare
l’inchiostro. Ma, con i miei primi schizzi, ho sentito una immediatezza
nelle mie matite che ho voluto conservare.” La plasticità raggiunta con
questi disegni rende le immagini quasi vere (“Questi personaggi erano
vivi per me. Non erano bidimensionali” - ricordate?), Yossel, i
deportati, i partigiani, i nazisti sono carne viva, pulsante,
tridimensionale che si aggrappano ai nostri occhi. Si piange leggendo i
disegni di Joe Kubert. I partigiani sono veri, e ancora una volta
combattono per difendere il loro popolo. “Siamo pronti a morire da
essere umani”.
Andrea Grilli |
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rassegna stampa |
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Ode a Tel Aviv, città non eterna C’è
una città di sabbia e poi ce n'è un'altra fatta di solo di parole.
Qualcuno aveva immaginato un giardino ai bordi del deserto, e
qualcun’altro ne avrebbe voluto fare in grande porto. Per alcuni è una
città bianca ma c'è chi pensa che le si addica il rosso, sebbene
l’unica cosa certa sia che, di quando in quando, il cielo è proprio di
fuliggine. Vantaggi della gioventù , perché Tel Aviv ha solo cento
anni. Una sciocchezza, soprattutto per l'insediamento di un popolo
antichissimo, 11 aprile 1909, una foto ne immortala addirittura la
nascita, con un gruppo di uomini in giacca è cappello, e signore con
scialli e gonne lunghe, Tutto attorno, il vuoto di una spiaggia e
nemmeno un edificio, la città inesistente si disegna nelle menti, come
una scommessa e uno schiaffo alla storia. Elena Loewenthal
porta al lettore italiano questa metropoli atipica, ancora così poco
frequentata dalla nostra cultura, e lo fa nel modo che meglio si addice
al genio del luogo, ovvero con metodico disordine. Del resto non c'è da
stupirsi che la città appaia tanto disordinata, perché interpreta,
forse più di ogni altra, le contraddizioni del Novecento ebraico. Nata
come inno urbanistico al sionismo, Tel Aviv si è adeguata alle capriole
della storia E stata città coloniale, scandita dal piano regolatore
studiato da Sir Patrick Geffen, secondo i principi di un razionalismo
impastato d'oriente. Disegnata poi da architetti venuti d'Europa, e in
particolare dalla Germania, può vantare la più alta concentrazione di
edifici in stile Bauhaus quasi intatti, tanto che l’Unesco l'ha
proclamata patrimonio dell'umanità. Ma è anche metropoli di
superfetazioni, palazzi dissonanti e sciatterie levantine. Tutto
l'opposto, insomma, della madre-sorella millenaria che la guarda
dall'alto, Gerusalemme. Non-santa, non-immobile, non-etema, Tel Aviv
trae energia da quello che non è, e vanta forse un solo primato: è
stata la prima città interamente ebraica dopo migliaia di anni. E per
di pi una città di mare, nonostante l'atavica diffidenza d'Israele per
il Mediterraneo dei conquistatori. Per una generazione d'israeliani il
mare è però anche la memoria, poiché è da qui che sono giunti gli
immigrati. Forse per questo Tel Aviv è la più europea delle città del
Vicino Oriente. Dissonanza per dissonanza, meglio allora cercare fra le
casette dei vecchi sobborghi la moschea Hassan Bek, che si staglia
«davanti alla spiaggia e al mare in una specie di schizofrenia» visiva,
psicologica, e simbolica. Tel Aviv è nata «per un impulso
rivoluzionario», per smentire duemila anni di diaspora. Ma la diaspora
esiste ancora, ed è solo un poco più vecchia. In compenso, la città
ribelle ha mantenuto molta della sua giovanile irruenza.
Elena Loewenthal “Tel Aviv. La città che non vuole invecchiare”, Feltrinelli, Milano, pp.154, 12 euro.
Giulio Busi, Il Sole 24 ore, 31 maggio 2009 |
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notizieflash |
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Ephraim Katzir: se ne va un pezzo di storia israeliana Gerusalemme, 30 mar - L’ex
presidente israeliano Eprhaim Katzir ci ha lasciato. E’ morto all’età
di 93 anni. A diffondere la notizia è stata la radio pubblica
israeliana. Nato in Ucraina, nel 1925 arrivò in Israele sotto mandato
britannico. Dopo la nascita dello Stato israeliano, nel 1948, fu per
lunghi anni capo del dipartimento scientifico del ministero della
Difesa. Membro del partito laburista, fu presidente dal 1973 al 1978. Durante
il suo mandato accolse (nel 1977) il presidente egiziano Anwar Sadat,
in occasione della sua storica visita a Gerusalemme. Biofisico di
formazione, fu uno dei fondatori dell’Istituto Haim Weizman, uno dei
centri di ricerca più importanti di Israele.
Israele: smantellato avamposto abusivo ma Netanyahu ribadisce il “no” al congelamento totale Tel Aviv, 31 mag - Smantellato
nella notte un altro avamposto abusivo, dopo quello di Moaz Esther
presso Hebron, dei giorni scorsi, oggi è stata la volta
dell’insediamento di Shvut Ami, vicino all’insediamento israeliano di
Kedumim, in Cisgiordania. Era composto di un’unica baracca di legno, i
sei giovani che si trovavano a presidio sono stati allontanati senza
incidenti, ha riferito l’agenzia online Ynet. L’operazione fa parte
dell’impegno preso dal governo israeliano di rimuovere circa 22
avamposti individuati da tempo come abusivi, sollecitato in questo
anche dall’amministrazione Usa di Barack Obama. Resta fermo però il
rifiuto da parte del governo Netanyahu di aderire alla richiesta di
congelamento totale degli insediamenti maggiori (che contano nel
complesso 280 mila abitanti solo in Cisgiordania, Gerusalemme est
esclusa, e sono considerati tutti illegali dalla comunità
internazionale), rivendicando in particolare la volontà di proseguire
nei numerosi ampliamenti edilizi in corso per far fronte alla "crescita
naturale" della popolazione. Un punto di vista ribadito giovedì dal
portavoce del premier, Mark Regev, e confermato di nuovo oggi dal
ministro dei Trasporti, Yisrael Katz, esponente del Likud (destra, il
partito di Netanyahu), secondo il quale il congelamento totale -
invocato ancora da Obama nei giorni scorsi durante un vertice col
presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen -
sarebbe "ingiusto" e non sarà attuato.
Israele: esercitazione collettiva per scongiurare lo spettro della minaccia iraniana Tel Aviv, 31 mag - Israele
- Una sessione speciale del Consiglio dei ministri, presieduta dal
premier Benjamin Netanyahu, ha dato il via oggi ad una vasta
esercitazione collettiva al fine di testare la capacità di reazione a
potenziali attacchi nemici ad ampio raggio, oltre che a disastri
naturali. Coinvolti
nell’operazione: militari, servizi di soccorso e popolazione civile.
Dopo la sessione speciale si è svolta un riunione del comitato di
emergenza economica, sotto la guida del ministro della Difesa Ehud
Barak - chiamato a intervenire per garantire, per quanto possibile, la
ripresa della vita civile in caso di attacchi missilistici o altre
azioni ostili massicce. Scenari che, è stato detto, si ricollegano allo
spettro della minaccia missilistica iraniana e ai temuti piani nucleari
di Teheran. Il test della capacità di reazione del "fronte interno" -
destinato a proseguire per cinque giorni - prevede martedì la
simulazione d'un allarme aereo in tutto il Paese, nonché numerosi
scenari locali di azioni di soccorso in varie città. L'iniziativa è
senza precedenti in questa ampiezza, ma Barak ha parlato comunque di
esercitazione "di routine": secondo i media, anche per diradare
l'impressione diffusasi nell'opinione pubblica di Paesi arabi e
musulmani d'una sorta di prova generale israeliana di un'eventuale
guerra con l'Iran. Barak ha poi spiegato la partecipazione di massa
richiesta ai cittadini con la natura degli scenari previsti. Per le
normali manovre militari - ha detto - "non serve rivolgersi all'intera
nazione, ma se si tratta del fronte interno non c'é altra scelta che
coinvolgere la popolazione". |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
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articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
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offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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