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10 ottobre
2010 - 2 Cheshvan 5771 |
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![Benedetto Carucci Viterbi](http://www.moked.it/unione_informa/101010/ravBenedettoCarucci.jpg) |
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Perché
Noè non ha pregato Dio di risparmiare l'umanità? C'è chi sottolinea
questa come la differenza fondamentale tra lui ed Abramo, che invece si
è speso per tentare di salvare gli abitanti di Sodoma e Gomorra. C'è
chi dice - come rabbì Levi Itzchaq di Berdicev - che Noè non è
intervenuto per mancanza di fiducia in sé stesso. Evidentemente per
essere completamente giusti, e dunque garanzia di sopravvivenza per
l'umanità, è necessario un giusto equilibrio tra umiltà ed autostima.
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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La settimana
scorsa eravamo così impegnati sulla verità che ci siamo persi la
realtà. Lunedì 4 ottobre qualcuno ha pensato di fare cosa giusta
andando a profanare una moschea a Beit Fajar, dalle parti di
Beit-Lechem, probabilmente in replica all’assassinio, il 31 agosto
scorso, di quattro coloni da parte di un gruppo armato che fa
riferimento a Hamas. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse raccontato
con attenzione, non solo l’insieme dei fatti oltreché il singolo
episodio, ma soprattutto la discussione che questo evento ha
determinato in Israele, nella sua opinione pubblica,
nell’associazionismo dei gruppi ortodossi, nelle reti di discussione
on-line. Insomma che si fosse fornita un’informazione “a parte intera”
di una parte, Non è accaduto, se si eccettua Claudio Pagliara, in un
servizio per Rainews 24, Non c’entrano gli amici o il pregiudizio,
perché di quel fatto, eccetto un commento di Yoram Ortona su queste
pagine, nessuno di noi ha detto alcunché. Perché? Perché noi, invece,
eravamo impegnati sul fronte della verità. Fronte indubbiamente nobile
e tuttavia, alla prova della realtà, non esaustivo. Così oltre le
solite litanie sulla violenza dei coloni o su quella dei gruppi
palestinesi, non si è andati. Comunque nessuno ha messo insieme tutto
lo scenario. Di nuovo non ha raccontato la realtà “a parte intera”. Ma
perché anche coloro che si sono misurati con questa realtà non sono
stati in grado di raccontarla “a parte intera”? Non credo per
preconcetto, o per distrazione, per malevolenza o per noncuranza. Bensì
per inadeguatezza. Quella, infatti, è una notizia che non consente una
visione manichea, obbliga a prendere in carica un nodo complicato dove
le ragioni e i torti si intrecciano in un groviglio non dipanabile.
Com’è, da sempre, la realtà concreta. Che è più esigente della verità.
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Qui Roma - Paolo Giordano e Ron Leshem aprono il Festival di Letteratura Ebraica
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E'
partita con “Natural born writers”, tema di un vivace incontro fra i
due scrittori Paolo Giordano e Ron Leshem la terza edizione del
Festival Internazionale di Letteratura Ebraica che rimarrà in
cartellone a Roma fino al 13 ottobre alla Casa dell'Architettura e al
Palazzo della Cultura e che vedrà la partecipazione di Howard Jacobson,
Erica Jong, Meir Shalev, Ronny Someck e tanti ospiti fra cui Edoardo
Albinati, Manuel De Sica, Alain Elkan, Simonetta Della Seta, Sergio
Campailla, Giulio Busi, Yarona Pinchas, il rav benedetto Carucci
Viterbi , Bruno Gambarotta e Enrico Vanzina. Promosso dalla
Comunità Ebraica di Roma, da Roma Capitale assessorato alle politiche
culturali e della comunicazione, dalla Regione Lazio, dalla Provincia
di Roma, dalla Camera di Commercio, dall'Ambasciata di Israele e dalla
Fondazione Elio Toaff e prodotto dall'associazione culturale Artix in
collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica, Consultinvest e
Finmeccanica con il supporto organizzativo di Zetema, il Festival è
curato anche quest'anno da Ariela Piattelli, Raffaella Spizzichino e
Shulim Vogelmann. Al centro di questa edizione “gli infiniti percorsi
tracciati nel corso dei secoli dalla letteratura ebraica e le nuove
frontiere insieme alle sfide che che essa dovrà affrontare nel futuro”. Nella
splendida sala del Palazzo dell'Architettura il presidente della
Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ha dato il via alla
serata, chiedendo al folto pubblico seduto in sala di osservare un
minuto di silenzio per commemorare i quattro soldati italiani che hanno
perso la vita in un agguato in Afghanistan. Pacifici ha poi rivolto un
pensiero al piccolo Stefano Gay Tachè ucciso il 9 ottobre 1982 in un
attentato terroristico realizzato da un commando palestinese davanti al
Tempio maggiore di Roma. Pensiero condiviso dal sindaco di Roma Gianni
Alemanno intervenuto subito dopo che ha espresso la propria
soddisfazione per la realizzazione di questo evento aperto a tutta la
città. E' toccato poi ai curatori del Festival, Shulim Vogelmann,
Ariela Piattelli e Raffaella Spizzichino presentare il programma della
kermesse letteraria e introdurre il testa a testa fra i due scrittori
Paolo Giordano, autore del libro La solitudine dei numeri primi e Ron
Leshem autore di Tredici soldati edito in Italia da Rizzoli . L'incontro
fra i due giovani scrittori, che hanno conquistato il pubblico
internazionale grazie al loro romanzo d'esordio rappresenta la partita
di ritorno di un incontro che si è svolto a maggio a Tel Aviv quando è
stato Leshem a intervistare Giordano. “Come è essere uno scrittore
in Israele? E' una fortuna o una costrizione? “ ha iniziato a domandare
Giordano. “Chiunque è andato a Tel Aviv sa che è uno dei posti più
liberi della terra, trovo Tel Aviv un luogo grandioso per vivere”
risponde Leshem che definisce affettuosamente il suo paese come un
grande manicomio “dove i medici sono terribili ma un paradiso per gli
scrittori. Israele è un grande paese anche sotto il profilo della
letteratura”. Qual è l'elemento emotivo che ti fa scrivere una storia ? Domanda ancora Giordano. “Cerco
sempre di scrivere quello che non ho potuto vivere, parlo di guerra e
non l'ho mai fatta. I miei personaggi sono sono le esperienze della
vita che non ho colto. Il mio lavoro parte sempre come un inchiesta
giornalistica ma io devo entrare nella pelle dei miei personaggi, non
sono capace di scrivere di un personaggio che mi sia antipatico.
Preferisco affrontare le cose come se fossi il mio alter ego anziché
viverle direttamente”. La scrittura è un surrogato sufficiente per descrivere esperienze che non si sono fatte? “La
letteratura non è un ripiego per qualche esperienza che non si è fatta,
ribatte Leshem, è la sola alternativa. E' per questo che gran parte
della letteratura israeliana attuale è storia di evasione mentre per me
questa è l'evasione: mettere per scritto tutte le cose che non ho
vissuto”. Ron Leshem ha iniziato la sua carriera come giornalista,
facendosi conoscere e apprezzare per una serie di reportages
sull'Intifada. Il suo primo romanzo non ancora tradotto in Italia, Se
esiste il Paradiso, pubblicato nel 2005 ha vinto il Premio letterario
Sapir e lo Yitzhak Sadeh Prize e ispirato il film Beaufort di Joseph
Cedar vincitore del Festival di Berlino nel 2007.
Lucilla Efrati
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Qui Padova – Quale statuto per l’Ugei del futuro
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L’Unione
giovani ebrei d’Italia riunita in Congresso straordinario a Padova vota
in queste ore una riforma del proprio Statuto. L’autunno di cambiamenti
dell’ebraismo italiano, che culminerà a Roma con il Congresso UCEI di
dicembre, scrive così un nuovo capitolo. L’attuale Statuto Ugei
risale infatti al 1995, e dopo quindici anni si è sentita l’esigenza di
rinnovarlo per adattarlo alle nuove esigenze. La Commissione di
modifica dello Statuto presieduta da Rafi Korn ha elaborato numerose
proposte che sono state discusse nel corso di lunghe assemblee durante
il fine settimana padovano. Si è tenuto conto dei nuovi sistemi di
comunicazione e della prassi, che hanno reso obsolete molte procedure
congressuali; e c’è stato spazio anche per parlare di quali debbano
essere le finalità dell’Ugei, e quali i rapporti con l’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane. Uno dei punti più dibattuti è stata
la proposta di modifica degli organi di governo dell’Ugei, con
l’aggiunta dell’Assemblea dei delegati. Secondo la Commissione è emersa
negli ultimi anni la necessità di un organo intermedio eleggibile
direttamente nelle Comunità per dare a tutti i giovani ebrei tra i 18 e
i 35 anni la possibilità di votare senza partecipare al Congresso, e
allo stesso tempo fare in modo che il Consiglio esecutivo sia scelto in
modo più consapevole. Per questa ragione è stato proposto di istituire
un’assemblea dei delegati, eletti su base territoriale. Una forte
discussione è scaturita poi sull’ipotesi di modifica del sistema
elettorale per fissare in statuto la proporzione di consiglieri da
eleggere rispettivamente per la Comunità di Roma, di Milano e per le
piccole Comunità. In attesa di capire quale statuto regolerà
l’Ugei nel prossimo Congresso ordinario di Genova, quando verrà
rinnovato il Consiglio esecutivo, ancora una volta i Giovani ebrei
d’Italia dimostrano, con il proprio impegno, di avere a cuore le sorti
dell’ebraismo italiano.
Rossella Tercatin
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A Sorgente di vita la storia di "Bucefalo il pugilatore"
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La
puntata di Sorgente di vita di domenica 10 ottobre apre con la storia
di Lazzaro Anticoli , detto “Bucefalo, il pugilatore”, un ebreo romano
morto nella strage delle Fosse Ardeatine, ricostruita attraverso
la testimonianza della nipote e proposta in uno spettacolo di Alessio
De Caprio proprio nei giorni in cui è uscita la notizia che Erich
Priebke, ex ufficiale nazista, condannato all’ergastolo per
quell’eccidio, è libero di andare in giro per Roma per
“indispensabili esigenze di vita”. Segue un servizio sulla “terra
del latte e del miele”, per definizione la terra di Israele, nella sua
accezione di terra promessa, fertile, e prospera. Dalla Bibbia alla
Sicilia le antiche tradizioni della produzione e della raccolta
del latte e del miele raccontate da un apicoltore e interpretate
dal Rabbino Benedetto Carucci Viterbi. Un altro servizio è
dedicato a Sabbioneta che nel ‘500 fu la capitale di un piccolo
ducato nel Mantovano, voluta e progettata da Vespasiano Gonzaga come
“città ideale” , secondo i canoni del Rinascimento: tra i palazzi
e le gallerie, i giardini e le piazze, la piccola sinagoga, oggi
restaurata, la storia degli ebrei protetti dal duca che qui vissero per
secoli in armonia. Infine “Bejachad” - insieme –
il festival di cultura ebraica che si è tenuto ad Abbazia,
città croata sul golfo del Quarnaro. Un’occasione di scambio con le
comunità ebraiche italiane in un luogo che fu meta di villeggiatura per
patrizi e borghesi delle capitali dell’Impero austroungarico, uno
stimolo per gli ebrei croati alla ricerca di una nuova identità e di
una rinascita dopo le tragedie del ‘900. Sorgente di vita va in onda domenica 10 ottobre alle ore 1,20 circa su Raidue. La puntata sarà replicata lunedì 11 ottobre alla stessa ora e lunedì 18 ottobre alle 9,30 del mattino. I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.
p.d.s.
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Davar Acher - La scelta di Israele
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Alla
manifestazione "Per Israele" di giovedì scorso, Alain Elkan ha
pronunciato una frase fortemente applaudita dal pubblico che è stata
poi ripresa e precisata da Riccardo Pacifici. "Io penso, ha detto più o
meno Elkan, che la distinzione fra ebrei e israeliani non abbia senso e
che tutti gli ebrei della diaspora dovrebbero considerarsi come
israeliani all'estero." Naturalmente, ha chiarito lo scrittore,
ciò non significa che bisogna salire subito tutti in Israele né, come
ha ribattuto poi Pacifici, che per questo gli ebrei italiani siano meno
italiani o quelli romani meno romani. Io sono molto d'accordo
con questo concetto, che mi è stato inculcato dal mio maestro Haim
Baharier, e penso sia importante spiegarne la ragione – come la vedo
io, naturalmente. Essere ebrei oggi nella Diaspora significa
"scegliere" di essere ebrei. Scegliere di essere ciò che si è già.
Questo punto, che per essere davvero se stessi è necessario sceglierlo,
riguarda in certa misura ogni essere umano. Siamo uomini davvero non
solo per il nostro Dna, ma solo se scegliamo di essere uomini; siamo
liberi se scegliamo di essere liberi; professori, medici, cittadini,
membri di una comunità, solo se lo scegliamo. Scelta in questo caso non
è certo un atto verbale, che può anche non essere formulato mai
esplicitamente, ma piuttosto una coerenza di comportamenti,
l'assunzione di un modello etico, quella consapevolezza dei propri atti
che è condizione fondamentale per poter realizzare la propria
condizione. Questa necessità di scegliersi è particolarmente vera
per l'ebraismo, perché esso è condizione esigente. Gli atti in cui la
condizione ebraica tradizionalmente si realizza sono difficili e
quotidiani: si tratta di mangiare in una certa maniera, di rispettare
certi tempi (lo shabbat ecc.) che continuamente richiedono di
accettare i propri obblighi e di rendersi consapevoli della propria
identità. Le famose cento berakhot quotidiane che un ebreo dovrebbe
dire hanno certamente anche questo senso pedagogico. Si tratta di
scegliere ogni giorno di non spogliarsi da un'identità non facile e
diventare "come tutti": un problema antico almeno quanto la Torah. Nella
nostra condizione di una Diaspora sostanzialmente tollerante, in cui
l'antisemitismo non è certo assente ma è minoritario e ufficialmente
condannato, scegliere di essere ebrei è per un verso più facile, perché
non implica più i gravissimi rischi e sacrifici cui furono sottoposti i
nostri antenati; ma dall'altro più difficile, proprio perché è più
facile e non traumatico diventare come gli altri. Non occorre abiurare
niente, né convertirsi a nulle, basta dimenticare. Chi mantiene vivo il
proprio ebraismo dunque sceglie di farlo. Bisogna chiedersi dunque
come si verifica quel gesto fondamentale che conferma e trasmette
l'ebraismo. E' abbastanza evidente che vi sono diverse modalità. Vi
sono quelli che scelgono il loro ebraismo rispettando rigorosamente i
precetti religiosi. E' chiaro però che si tratta di una minoranza, e
che questo criterio di (auto)identificazione non è in grado oggi
di includere buona parte di coloro che pure ricordano e scelgono
il loro ebraismo. Vi è però un altro aspetto per cui questa scelta si
realizza e diventa concreta: l'assumersi come membri di un popolo,
un'entità collettiva che a sua volta non è (solo) naturale e cioè
genetica, ma comporta solidarietà, condivisione e apprezzamento di
certi tratti culturale e soprattutto il senso di condividere un destino
storico comune, in senso positivo per le realizzazioni cui si
partecipa, in senso negativo (e purtroppo molto forte nella nostra
storia) per i rischi, le angosce, i lutti che colpiscono tutti coloro
che appartengono al nostro popolo. La fierezza per un grande
passato culturale e storico, il cordoglio per la Shoà, la
partecipazione più o meno convinta e completa ai riti religiosi
rientrano tutti in questa dimensione di condivisione del destino
comune. Ma oggi ne fa parte anche e soprattutto la percezione che il
destino storico comune si gioca in buona parte di nuovo nella terra dei
Patriarchi, la convinzione che ciò che fa lo Stato di Israele e ciò che
gli accade riguarda tutti gli ebrei. E dato che Israele costituisce
ormai la maggior concentrazione degli ebrei del mondo ed è retto
democraticamente, che le determinazioni che vi si prendono non solo
coinvolgono ma impegnano tutti quelli che davvero e seriamente scelgono
di essere ciò che sono: ebrei. Per questo hanno ragione Elkan e
Pacifici e Baharier. Siamo italiani, francesi, americani, cittadini a
pieno titolo positivamente impegnati nello stato di cui siamo cittadini
convinti e costruttivi; ma per scegliere il nostro ebraismo non
possiamo non sentirci anche israeliani all'estero.
Ugo Volli
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Europei di Calcio – Ko interno di Israele contro la Croazia |
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Mancava Yossi Benayoun e non è poco. L’assenza per infortunio del
giocatore del Chelsea ha avuto un peso determinante nella sconfitta
interna (1-2 il risultato finale, doppio Kranjcar e goal nel finale di
Schechter) subita dalla nazionale israeliana contro la Croazia nel
terzo match di qualificazione agli Europei del 2012. »
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