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17 ottobre
2010 - 9 Cheshvan 5771 |
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Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Abramo,
per liberare suo nipote Lot che era stato preso prigioniero, distoglie
i propri discepoli dallo studio. Ogni strategia è buona, agli occhi di
un educatore, per recuperare coloro che rischiano di perdersi.
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Una legge
contro il negazionismo secondo me non sarebbe né una scelta
intelligente, né una scelta lungimirante. Non aiuta né a farsi
un’opinione, né a far maturare una coscienza civile. L’Italia ha
bisogno di una pedagogia, di una didattica della storia, di un
modo serio e argomentato di discutere e di riflettere sui fatti della
storia. Non servono leggi che hanno il solo effetto di incrementare la
categoria dei martiri.
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Qui Roma: 16 ottobre, mille luci e un Sefer per non dimenticare
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Molti
ragazzi delle associazioni giovanili ebraiche si sono uniti in un unico
abbraccio cantando 'Am Israel hai' per accogliere il Sefer Torah donato
alla Casa di riposo ebraica di Roma in ricordo di tutti i bambini
strappati dalle loro case il 16 ottobre 1943. Se non fossero stati
uccisi, oggi forse sarebbero gli ospiti di questo istituto. L'onore
di condurre il Sefer dal Tempio maggiore al palco situato su Largo 16
ottobre 1943 dove le tante personalità presenti che avevano appena
partecipato alla marcia silenziosa organizzata dalla Comunità di
Sant'Egidio in occasione del sessantasettesimo anniversario della
razzia degli ebrei romani dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 è stato
attribuito al rav Vittorio Della Rocca. E ancora il rav Della Rocca,
seguito dal Presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo
Pacifici, dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, dal
Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna
e dalle tante persone presenti che hanno formato due folti cordoni per
lasciarlo passare, ha condotto il sefer a Piazza San Bartolomeo
all'Isola, dove sorgeva la vecchia casa di riposo e dove, ad
accoglierlo c'erano il Consigliere Ucei e responsabile del Tempio dei
Giovani Sandro Di Castro e il direttore del Dipartimento di cultura
ebraica della Comunità di Roma Claudio Procaccia.
“Onorare
la memoria di tutti coloro che persero la vita nei campi di
concentramento – ha detto Di Castro – significa mettere in pratica gli
insegnamenti scritti nella Torah, la sofferenza degli ebrei
imprigionati nei campi di concentramento era proprio di non poter più
rispettare la Torah”, mentre Claudio Procaccia ha ricordato la
“giusta”, Dora Fogaroli, infermiera del Fatebenefratelli, che a rischio
della vita riuscì a salvare molti ebrei. La cerimonia di Ahnasat
Sefer Torah voleva proprio sottolineare come nella data in cui si
ricorda la pagina più nera della storia degli ebrei di Roma non si
possa coltivare l'idea della Memoria senza guardare al futuro. Lo
studio della Torà è vita ed è migliore risposta a coloro che
progettavano l'eliminazione di tutto il popolo ebraico. Come ha
sottolineato il presidente Pacifici nel prendere parte alla marcia
silenziosa che da Piazza Santa Maria in Trastevere si è snodata per i
vicoli di Trastevere e ha raggiunto il Portico d’Ottavia ripercorrendo
a ritroso il cammino che fecero quella mattina gli ebrei strappati alle
proprie case ed a cui hanno partecipato anche il presidente Ucei Renzo
Gattegna, rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, il vicesindaco
Mauro Cutrufo i presidenti di Regione e Provincia, Renata Polverini e
Nicola Zingaretti e Andrea Riccardi di Sant'Egidio.
Pacifici
è tornato a sottolineare la necessità di emanare una legge che
consideri reato il negazionismo e lo punisca, appello lanciato alle
istituzioni, attraverso una lettera pubblicata sul quotidiano
Repubblica e subito condiviso da Fini Schifani e da tutti i gruppi
parlamentari. Sulla stessa linea di Pacifici si sono posti anche Nicola
Zingaretti e Renata Polverini. Il Presidente dell'Unione Renzo Gattegna
ha dal canto suo ricordato che “Non siamo qui per sottolineare solo
fatti del passato, ma per rinnovare il patto che ci unisce. Siamo qui
perché vogliamo che al di là e al di sopra di tutto prevalga il
rispetto dei diritti fondamentali”.
Lucilla Efrati
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Una legge contro il 'negazionismo'. Confronto aperto
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Una
legge per introdurre il reato di negazionismo: è la proposta
lanciata in una lettera pubblicata su Repubblica, il 15
ottobre da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di
Roma, dopo le polemiche suscitate dall'intervento del professor Claudio
Moffa, che nella lezione conclusiva del master 'Enrico Mattei in vicino
e medio oriente' all'università di Teramo ha sostenuto che 'non c'è
alcun documento di Hitler che dica di sterminare tutti gli ebrei'. Proposta
immediatamente accolta dai presidenti di Camera e Senato Gianfranco
Fini e Renato Schifani che si impegnano, qualora ricevessero un
disegno di legge su questo argomento, a velocizzare al massimo i tempi
di approvazione. Fini dichiara di voler ''sensibilizzare i gruppi
parlamentari'' affinché presentino al più presto una proposta per
''contrastare gli irresponsabili profeti del negazionismo''. Il
portavoce di Schifani assicura che quando il ddl arriverà a Palazzo
Madama, sarà iscritto all'ordine del giorno per ''una tempestiva
discussione''. La politica esprime un sì unanime. Dalla
sinistra al centrodestra, difficilmente una proposta ha messo tutti
d'accordo come questa. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno sottolinea
che il negazionismo ''non può essere presentato come una opinione, per
quanto deprecabile, o come una qualche forma di revisione critica della
storia. Perciò, è necessario introdurre una specifica previsione
penale''. ''Condivido pienamente la proposta avanzata dal
presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici di rendere
reato il negazionismo e le offese alla tragedia della Shoah''. Scrive
in un comunicato il deputato del Pd, Enrico Gasbarra. ''Mi attiverò
immediatamente per portare avanti alla Camera dei deputati la proposta
di legge attraverso la quale porre la parola fine alle follie di chi,
con teorie assurde e antistoriche, arriva a negare la più grande
tragedia dell'umanità''. ''C'e' ancora chi si ostina a non
comprendere l'unicità della Shoah, paragonandola ad altri eventi
tragici della storia moderna'' sottolinea Francesco Rutelli, anch'egli
d'accordo con l'introduzione del nuovo reato penale. "Vorremmo,
Signor Presidente, che la celebrazione di questa dolorosa ricorrenza -
scrive il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta
riferendosi ai tragici fatti accaduti nel Ghetto di Roma il 16 ottobre
1943 - rafforzasse l'impegno del nostro Paese nel contrastare voci
negazioniste persino nelle università, fortunatamente in modo isolato,
ma presenti in misura più preoccupante nella rete Web". "Le posso
assicurare - prosegue Letta - che il Governo non lascerà nulla di
intentato perché prevalgano sempre la verità e la storia, unite ad un
sentimento di profonda pietà per i nostri concittadini scomparsi, così
da costruire un futuro di pace e di amore per tutta l'umanità e per la
città di Roma". Un sì convinto anche dai presidenti di Provincia e
Regione Nicola Zingaretti e Renata Polverini, nel partecipare alla
marcia silenziosa organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio in ricordo
della deportazione degli ebrei romani dal ghetto di Roma il 16 ottobre
1943, "Dobbiamo passare dalle parole ai fatti e chiedere una
calendarizzazione del progetto" sottolinea la governatrice della
Regione Lazio spiegando: "Dobbiamo sostenere questi dispositivi di
legge, ma dobbiamo continuare anche con l'opera di
sensibilizzazione culturale rivolgendoci in particolare ai giovani". Un
concetto sostenuto anche da Nicola Zingaretti che sottolinea come sia
fondamentale "non distrarsi dall'imperativo di tenere alta la vigilanza
e mantenere l'impegno culturale in primo luogo nei confronti delle
nuove generazioni in modo che sia innanzitutto la forza della ragione
ad avere la meglio sui negazionisti". Di diverso avviso il leader
dell'Udc Pier Ferdinando Casini, che ai microfoni di Sky Tg24
dichiara ''Il negazionismo è una vergogna per l'umanità e per la
comunità culturale. Ho profondo il senso di vicinanza con lo stato di
Israele e con la comunità ebraica italiana ma sono contrario - aggiunge
Casini - a una legge che impedisca la divulgazione di una qualsiasi
idea, anche della più' aberrante. Quindi pensare che la strada per
combattere il negazionismo sia la proibizione di una legge secondo me è
una strada molto pericolosa. La democrazia liberale non prevede queste
strade''. Sulla stessa linea si pone Giancarlo Lehner
del Pdl: "Posso capire Fini, intollerante naturale, in quanto erede
morale di quanti firmarono il manifesto sulla razza, ma non comprendo
Schifani, il quale dà retta a quanti ritengono che il negazionismo
debba essere penalmente sanzionato. Da italiano di origine ebraica,
affermo che la vera, autentica, irrinunciabile caratteristica del
popolo israelita, tolleranza e assoluta libertà di pensiero, non deve
essere offuscata da una legge poliziesca e fasciocomunista, ergo
antisemita, contro coloro che negano la tragica evidenza della Shoà. Se
si crede alla libertà, si deve rendere lecita anche la opinabilità
demente. Da parte mia, mi batterò e voterò contro una simile bestemmia
fascio/comunista".
Contro il negazionismo non può bastare una legge Anna Foa, Avvenire 17 ottobre 2010
Un'enormità negare prove schiaccianti Giovanni Sabbatucci, Il Messaggero 16 ottobre 2010
Shoah vera o falsa? Non si decide per legge Sergio Luzzatto, Il Sole 24 Ore, 17 ottobre 2010
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Qui Firenze – Cellule staminali e punto di vista ebraico
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È
in corso di svolgimento nelle Sala Sadun della Comunità ebraica di
Firenze il convegno dell’Associazione Medica Ebraica (AME) con tema “La
donazione di cellule staminali dal cordone ombelicale: attualità e
prospettive” Il convegno, moderato dal biologo e rabbino Gianfranco Di
Segni, è iniziato alle 10 con i saluti del presidente della Comunità
ebraica Guidobaldo Passigli e del presidente della AME Giorgio
Mortara, per proseguire con un intervento del rabbino capo di Firenze
Joseph Levi in ricordo del professor Enrico Gennazzani, tra i fautori
della fondazione della AME nel 2004. Nel corso della mattinata sono
intervenuti Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo di Roma, che ha
parlato del punto di vista ebraico sulle cellule staminali, Marcello
Buiatti, professore di Genetica all’Università di Firenze, che ne ha
analizzato vantaggi e modalità di utilizzo, il ginecologo Pietro
Curiel, membro del consiglio sanitario regionale della Toscana ed ex
presidente dell’Associazione Ostetrici e Ginecologi Italiani, che si è
soffermato sulla donazione del sangue e del cordone ombelicale, e il
professor Stefano Grossi, ginecologo e direttore scientifico della
Cyro-save, che ha parlato di conservazione familiare-solidale. Alla
ripresa dei lavori dopo la pausa pranzo verrà presentato Aspetti di
bioetica medica alla luce della tradizione ebraica, volume edito dalla
AME e scritto dal maskil e medico Cesare Efrati, che è dedicato ai
cultori della materia e al personale medico-infermieristico delle
strutture sanitarie italiane. Concluderanno la giornata una riunione
assembleare e le votazioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo
dell'associazione.
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Davar Acher - Stato democratico, Stato ebraico
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Si
discute molto della richiesta di riconoscimento di Israele come "stato
democratico ed ebraico" che si trova nelle richieste negoziali di
Netanyahu e nell'emendamento alla legge di cittadinanza di Israele che
richiede un giuramento in questo senso a coloro che vogliono prenderne
la cittadinanza. C'è chi ha sostenuto che si tratta di un ostacolo alla
pace, chi – anche autorevolissimi prelati cattolici – ha confuso questo
tema con la richiesta di un'adesione religiosa e l'ha definito
antidemocratico. Se la si considera storicamente, la questione è
molto semplice e riguarda un punto centrale della nostra comune
esistenza. Si parla spesso nel mondo attuale di "mission", lo scopo
centrale che si assegnano aziende, istituzioni, enti. Naturalmente
anche gli stati hanno delle missioni. Quella di Israele è
particolarmente chiara, anche perché si tratta del primo stato la cui
nascita è stata garantita da una serie di trattati internazionali e di
voti della Società delle nazioni e poi dell'Onu. Lo troviamo nella
dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917: "the establishment of a
national home for the Jewish people". Queste stesse parole si ritrovano
nel trattato di San Remo del 25 Aprile 1920, come scopo del mandato
britannico, poi richiamata dalla mozione dell'Onu che ne stabiliva la
divisione in due stati (si sa che i dirigenti delle organizzazioni
ebraiche accettarono e proclamarono l'indipendenza di Israele, e gli
arabi rifiutarono e fecero la guerra contro il nuovo stato, con quel
che ne seguì – ma questa è un'altra storia). Dunque la missione
fondativa di Israele, internazionalmente riconosciuta, è di essere "la
casa nazionale [detto in maniera meno goffa: la patria] del popolo
ebraico". Non vi è nulla di strano in questo, non è diverso da ciò che
stabiliscono le leggi di tutti gli stati, accettando lo "jus sanguinis"
per la loro cittadinanza anche dopo diverse generazioni (così l'Italia,
per esempio) o accordandola preferenzialmente ai membri del proprio
gruppo etnico o linguistico (così la Germania, ancora per fare un
esempio fra i tanti). Applicato a Israele, questo principio non vuol
dire escludere i cittadini non ebrei, naturalmente (l'esclusiva
religiosa della nazionalità è invece una caratteristica di molti stati
arabi, Arabia Saudita in testa), né tantomeno di chiederne la
conversione o l'espulsione. Questo è il senso di aggiungere la
specificazione di "democratico". Vuol dire invece esigere il
riconoscimento da parte di tutti del principio che la "missione" di
Israele, il senso dell'esistenza dello stato, consiste nell'essere la
patria della nazione ebraica. Pensare che gli stati debbano essere
strutture neutre rispetto alla cultura e alla nazione, senza identità o
valori specifici, non vuol dire realizzare una democrazia più perfetta,
ma toglierne il senso politico, ridurli a mera amministrazione,
considerare ininfluente il senso di appartenenza dei suoi
cittadini. Anche ignorando i precedenti dell'antisemitismo e della
Shoà, che impongono agli ebrei una particolare esigenza di rifugio e
protezione, Israele non può rinunciare alla sua missione senza tradirsi
o distruggersi. Allo stesso modo i paesi europei non potrebbero
trasformarsi in stati islamici (se le cose vanno avanti così, per
alcuni è questione di decenni), senza distruggere e tradire la propria
identità o "missione". Ora questa identità per i cittadini è
importante, è stata costruita con sacrifici e lavoro immenso, ha
prodotto uno sviluppo culturale specifico, insomma è un valore
essenziale per molti. Perché altrimenti ci sarebbero state guerre di
indipendenza, "risorgimenti", "irredentismi", "resistenza"? Perché
creazioni artistiche e culturali consapevolmente ispirate alla propria
tradizione linguistica e nazionale? Non sarebbe stato lo stesso per gli
italiani di Trento e Trieste far parte dell'Austria, per gli alsaziani
essere tedeschi, di recente per i bosniaci essere serbi? Chi pensa che
le identità nazionali non contino si condanna a non capire la storia e
a ignorare le dinamiche profonde di molti conflitti. Se la
"missione" o l'identità di uno Stato viene attaccata e negata, come per
Israele accade da decenni, è logico che se ne richieda il
riconoscimento anche formale, ai cittadini e ai vicini. E' una vecchia
nozione filosofica, che risale almeno a Hegel, che il riconoscimento
reciproco, in cui l'altro è accettato come altro sia condizione
basilare di ogni pace. Qualcosa del genere sta accadendo in Europa,
come ha detto di recente anche Angela Merkel: se il multuculturalismo
deve significare la fine delle identità nazionali, esso è
inaccettabile. Gli immigrati devono accettare di integrarsi nella
cultura nazionale: una delle differenze dell'immigrazione islamica
rispetto a quelle ebraiche e intra-europee consiste proprio in questo,
nel rifiuto di integrarsi (che non vuol dire assimilarsi, naturalmente). Tornando
a Israele, non meraviglia che la chiesa e gli arabi, seguiti dalla
maggioranza dei governi e dei media occidentali, non vogliano
riconoscerlo come Stato degli ebrei: per motivi diversi ma ugualmente
profondi, non sono disposti ad accettare che gli ebrei siano un popolo
come gli altri e abbiano diritto al suo stato. E però - lasciando stare
qui la teologia della sostituzione e dunque dell'eliminazione del
popolo ebraico, che ancora, diciannove secoli dopo Paolo di Tarso,
giace sul fondo dell'identità cristiana - arabi e soprattutto
palestinesi non possono fare davvero la pace con uno stato che ha
l'identità di organizzare la nazione ebraica senza accettare non di
"chiamarlo come gli piacerà di darsi nome" secondo la furbastra
espressione di Abbas, ma di riconoscere davvero l'esistenza e la
legittimità di una patria ebraica in Eretz Israel. Fin che questo non
avverrà (e Abbas
ha appena dichiarato che non accadrà "mai") non vi sarà pace in Medio
Oriente, al massimo una tregua precaria come fu Oslo. Sarà triste ma è
bene saperlo e regolarvisi.
Ugo Volli
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Inter-Tottenham: stelle di David vietate sugli spalti?
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Ha creato un caso mediatico l’invito a non portare simboli ebraici allo
stadio rivolto dai dirigenti del Tottenham ai propri tifosi in vista
del match di mercoledì sera in casa dell’Inter valevole per il girone
eliminatorio di Champions League: il timore è che possano verificarsi
scontri con le frange più estreme del tifo nerazzurro, politicamente
orientate verso la destra estrema.
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