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18 maggio 2011 - 14 Iyar 5771
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Adolfo Locci
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

A Venezia, domenica scorsa, si è svolto un convegno molto interessante organizzato dall’AME (Associazione Medici Ebrei) in collaborazione con il DEC UCEI e la Comunità Ebraica di Venezia. L’argomento della sessione mattutina del convegno era “Il dolore”. Il tema è stato affrontato sia dal punto di vista medico (terapia del dolore-dolore fisico/dolore psichico) sia da quello filosofico religioso. Una delle questioni discusse al riguardo è stata quella che la sofferenza, in certi casi può essere capita e in altri meno, specialmente quando, secondo una massima dedotta dal contesto della storia biblica di Giobbe, “il giusto soffre e il malvagio prospera - tzaddik vera’ lo, rasha’ vetov lo”. Però, alla luce del primo versetto della parashà che leggeremo il prossimo sabato, questa visione sembra essere confutata: “Im bechukkotai telekhu - se seguirete i miei statuti...”; se osserverete le mitzwoth avrete influenze positive in questo mondo ma se le trasgredirete avrete influenze negative. Dunque, giustamente, il “giusto prospera e il malvagio soffre - tzaddik vetov lo, rasha’ vera’ lo”. Tuttavia, i due concetti sono da considerarsi distinti l’uno dall’altro ma non in antitesi. La visione che si ricava dalla domanda di Giobbe riguarda la situazione del singolo e il suo destino in questo mondo, mentre quella che ci pone davanti la Torah con la sua condizione “Se osserverete...se non ascolterete”, riguarda il Kelal Israel tutto insieme, la cui situazione in questo mondo è conseguenza diretta dell’osservanza, o trasgressione, delle Mitzwoth. Responsabilità individuale e responsabilità collettiva... 
Vittorio Dan
 Segre,
pensionato


Vittorio Dan Segre

Il contatto con Dio è a senso unico. Noi dipendiamo da lui, lui non dipende da noi. Lui ci vede, noi non lo vediamo.

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davar
Qui Roma - Rileggere assieme la grande opera di Yerushalmi
LocandinaRileggere Zakhor a distanza di 30 anni dalla sua prima uscita. La grande opera sulla storiografia ebraica di Yosef Haim Yerushalmi, tornata nuovamente in libreria grazie alla casa editrice Giuntina con introduzione di Harold Bloom, sarà domani pomeriggio protagonista di una giornata di studio a più voci al Centro Bibliografico dell’UCEI. Al convegno, che avrà inizio alle 15.30, interverranno David Bidussa (Zakhor: ripensare il passato), Manuela Consonni (Zakhor: tra la memoria dell’esilio e l’esilio della storia), Daniel Fabre (Memoria collettiva e ricordo individuale. Il problema dell’autobiografia nella cultura ebraica), Anna Foa (Cambiare la storia degli ebrei, cambiare la storia) e Marcello Massenzio (Memoria e coazione a ricordare: Da Zakhor al Mosè di Freud). Tra gli altri ha annunciato la sua presenza Ariel Yerushalmi, figlio del grande intellettuale newyorkese che ci ha regalato pagine uniche di riflessione su cosa gli ebrei abbiano scelto di  ricordare e su come lo abbiano di volta in volta preservato, trasmesso e rivissuto. 

Qui Milano - Lev Chadash, Ugo Volli resta alla presidenza
Ugo Volli"Ringrazio l'assemblea della fiducia accordatami e accetto l'incarico. Ringrazio quanti hanno partecipato al dibattito assembleare che è stato molto franco e chiarificatore ma anche amichevole. La differenza delle personalità e delle opinioni è una grande ricchezza di Lev Chadash”. Queste le prime parole  pronunciate da Ugo Volli, confermato alla presidenza dell’ente per il prossimo biennio, nel suo discorso di insediamento di fronte alla gremita assemblea del primo movimento ebraico progressive in Italia riunitasi negli scorsi giorni a Milano per eleggere il nuovo Consiglio direttivo. Insieme a Volli siederanno in Consiglio Eva Mangialajo, Paola Avigail Senigaglia, Paola Sonnino e Pierpaolo Ottolenghi. “Ringrazio – ha proseguito Volli – quanti negli anni scorsi hanno contribuito a fare di Lev Chadash una realtà  viva e appassionata dell'ebraismo italiano, una scintilla di Am Israel accogliente e aperta. Continueremo nella nostra strada, ci sforzeremo di contribuire in maniera costruttiva alla crescita dell'ebraismo italiano e del movimento progressive internazionale”. Volli ha poi indirizzato ringraziamenti sentiti a Haim Cipriani, guida spirituale di Lev Chadash e al minian oltre a tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto la vita comunitaria. Parole di approvazione anche per tutti gli iscritti: “Ringrazio i nostri iscritti che sono i soli finanziatori e padroni di una sinagoga che non vive se non dei loro contributi. Ci aspettano certamente momenti difficili per tutto il popolo ebraico ma anche le gioie condivise di una vita ebraica. Am Israel chai vechaiam”. Nel corso del dibattito assembleare che ha portato alla rielezione di Volli sono state approvate alcune fondamentali mozioni tra cui quella che riduce il numero dei consiglieri a cinque unità e quella in cui si ribadiscono fiducia e incarico al rav Cipriani. Sono state inoltre condivise dall’assemblea la linea di dialogo critico seguita negli ultimi anni da Lev Chadash nei confronti dell’UCEI e la collaborazione con gli enti europei e internazionali deputati a rappresentare l’ebraismo progressive. Tra le varie raccomandazioni espresse dai presenti la destinazione di una quota del bilancio comunitario, fino a una quota del dieci per cento, a opere di Tikkun Olam e Tzedakà.

Perdonare l’imperdonabile? Lévinas e la Shoah
Emmanuel_LevinasIl convegno che si è svolto il 15 maggio a Genova, organizzato dal Centro «Primo Levi», ha toccato un tema finora aggirato dagli studi sul grande filosofo. Nel 1981 Elie Wiesel ha rimproverato a Lévinas di non poter parlare della Shoah se non in modo indiretto. Tutta la famiglia fu assassinata a Kaunas, in Lituania; Lévinas riuscì invece a salvarsi perché, trasferitosi in Francia e in Germania per studiare filosofia, nel 1931 aveva ottenuto la cittadinanza francese. Partì per la guerra il 27 agosto del 1939 come interprete militare dell’esercito francese; fu fatto prigioniero nel 1940 e, internato in Germania nello stalag XIB, si salvò grazie alla Convenzione di Ginevra.
Sugli anni della prigionia, trascorsi in una baracca con altri detenuti ebrei, ha parlato Danielle Cohen-Lévinas. Sulla necessità del perdono ha messo l’accento Massimo Giuliani, mentre Francesco Camera ha interpretato la Shoah come una cesura nella riflessione di Lévinas, evento che incrina la sua biografia dominata dal presentimento e dal ricordo dell’orrore nazista.
Sul tema della giustizia, indisgiungibile, nell’ebraismo, dal perdono, ha richiamato l’intervento del Rav Roberto Della Rocca che ha ripreso una lettura talmudica del filosofo. Se Lévinas chiama la Shoah «la Passione di Israele, dai tempi della schiavitù in Egitto fino a quelli di Auschwitz in Polonia» è perché - secondo Donatella Di Cesare - al popolo ebraico, espropriato nella sua storia persino della sofferenza subita nei secoli di persecuzione, Lévinas rivendica a chiare lettere la «Passione». La denuncia verso la teologia della sostituzione, che si è resa corresponsabile, non può essere più netta. Per altro verso Lévinas rifiuta ogni teologia dopo Auschwitz. «Dove era D-io ad Auschwitz?» non è una domanda ebraica. Resta semmai una questione per il cristiano e per l’ateo. Piuttosto l’ebreo si chiede: dove era l’uomo ad Auschwitz? La responsabilità è tutta umana. Quale umanità, dunque, nell’Occidente che ha permesso la barbarie? 


Irgun Olei Italia - Da Roma progetti al futuro
Vito AnavVito Anav è soddisfatto per i risultati ottenuti nel breve soggiorno romano che lo hanno visto impegnato nei molti incontri dell'Irgun Olei Italia, organizzazione che rappresenta gli Olim nuovi e vecchi residenti in tutto il territorio nazionale israeliano.  Sposato, sei figli, Anav ha fatto l'alyah nel 1979. Già presidente della Comunità ebraica italiana di Gerusalemme, è oggi presidente dell'Irgun Olei Italia. “Per la prima volta vi è stata a Roma una nostra presenza, in collaborazione con l'Agenzia Ebraica, alla festa di Yom Ha-Atzmaut” spiega Anav. “In questa occasione  Alberto Piperno, consigliere dell'Irgun, un rappresentante della Sochnut di Roma e io abbiamo ricevuto i potenziali Olim e risposto alle prime domande. Nei due giorni successivi abbiamo inoltre incontrato le persone che mi avevano contattato durante la serata e intrattenuto molte conversazioni telefoniche con persone interessate da tutta Italia”.
La decisione dell’Irgun Olei Italia di essere nella Capitale per Yom Ha-Atzmaut, immediatamente appoggiata dalla Comunità ebraica di Roma, deriva dalle sempre crescenti richieste di Alyah da parte degli ebrei italiani. L'Irgun Olei Italia sta rafforzando la sua attività in Israele e allacciando contatti con molte istituzioni come l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità Ebraica di Roma, la Deputazione di assistenza, le Scuole ebraiche, per far fronte al sempre crescente flusso di potenziali Olim. Parallelamente l'associazione  persegue la realizzazione di alcuni progetti che hanno come finalità principale quella dell'aiuto nell'inserimento degli Olim nella società israeliana. Fra i progetti cui si punta di più vi è appunto quello dell'apertura di un Ulpan e la realizzazione di corsi professionali per aprire agli Olim nuove prospettive di lavoro. Questo si rende necessario soprattutto perché è cambiato il tipo di persone che si trasferiscono in Israele.
“Storicamente gli Olim - sottolinea Anav - erano per la maggior parte giovani e studenti. Quando ho fatto l'alyah erano principalmente quelli della mia età a compiere questo passaggio ma negli ultimi anni la tendenza è cambiata. Dal settembre 2010 sono infatti arrivate in Israele, oltre al solito numero di studenti, anche diciassette famiglie da tutta Italia. Credo che questo dipenda in gran parte  da situazioni di disagio economico tra gli ebrei delle comunità italiane, soprattutto di quelle più grand icome Roma e Milano”.
La maggioranza delle famiglie che ora vivono nello Stato ebraico, prosegue Anav, “si è stabilita ad Ashdod dove l'Irgun Olei ha stretto un accordo con il centro di assorbimento per cercare di concentrare le famiglie italiane in un unico contesto così come da anni si fa con i francesi”. Alcune famiglie si sono inoltre stabilite a Tel Aviv e altre, sostenute dall'Irgun, a Gerusalemme.
Tra i progetti a breve termine del neo presidente vi è infine quello di ripetere un viaggio come quello che si è appena concluso nella Capitale anche in altre Comunità ebraiche italiane dove la presenza dell'Agenzia ebraica è meno sentita.

l.e.

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pilpul
Nakba e Nakba bis
Francesco LucreziLe esili, ingenue speranze (“spes contra spem”, avrebbe detto Sant’Agostino) che la cosiddetta “primavera araba” avrebbe finalmente aperto uno spiraglio di luce anche sull’impervio terreno delle prospettive di pace in Medio Oriente, dunque, sono durate il breve spazio di un mattino. Le dotte argomentazioni costruite, per esempio, sul piccolo dato di fatto che nelle piazze non si sarebbero viste bruciare le bandiere israeliane (che evento eccezionale!) si sgonfiano come palloncini; le tristi, facili profezie delle varie Cassandre, che temevano che si sarebbero presto rimpiante le plumbee dittature vitalizie dei vari Mubarak e Ben Alì, sembrano avere colto nel segno. Lo spettacolo delle marce “spontanee” dei cosidetti “profughi palestinesi”, mosse nei giorni scorsi contro i confini dell’odiatissimo Israele, sembrano infatti seppellire anche la più azzardata, la più estrema e irrealistica delle illusioni, frantumando qualsiasi miraggio di pace, la più pallida ipotesi di una pur minima possibilità di ragionamento, di dialogo.
Coloro che sono andati a premere contro i confini di Israele, cercando di entrarvi con la forza (non importa su suggerimento di chi, seguendo quali impulsi o strategie), non chiedevano allo stato ebraico di smantellare qualche colonia, di modificare qualche comportamento o di spostare qualche linea di demarcazione. Chiedevano a Israele, semplicemente, di non esistere, ribadendo il semplice, elementare messaggio espresso dalle annuali celebrazioni della “Nakba”, la “catastrofe”. Su quanto sia piacevole vivere fianco a fianco con qualcuno che considera la tua esistenza la più grande sciagura della storia, tanto da eleggere il tuo compleanno a giorno di lutto disperato, c’è poco da dire. Così come siamo tristemente abituati all’interpretazione di tali gesti (tristi e sgradevoli quanto si vuole, ma tutt’altro che ermetici) da parte dei mass media e dei commentatori politici, che sembrano ridurli a meri umori o stati d’animo, spesso dimostrando aperta simpatia di fondo per i manifestanti, che agirebbero in risposta a sopraffazioni subite, o sarebbero mossi da ideali di libertà, giustizia, pace, autodeterminazione ecc. Ci sarebbe, forse, bisogno di ripetere che il 14 maggio del 1948, il giorno della Nakba, era il giorno in cui avrebbe dovuto nascere anche lo Stato palestinese, soffocato sul nascere dagli eserciti di cinque nazioni arabe? Chi celebra la Nakba, in realtà, non maledice soltanto la nascita di Israele, ma anche la stessa idea dell’eventuale nascita di una Palestina libera, indipendente e sovrana.
Eppure, i palestinesi dicono di desiderare ardentemente di “nascere”, come stato sovrano. Sono talmente impazienti che hanno detto alla loro ‘madre’ designata, l’Assemblea Generale dell’ONU - che, per ora, custodisce amorevolmente in grembo l’embrione - che, a settembre, comunque vada, senza stare a sentire nessun medico e nessuna ostetrica, “nasceranno”. Ma già si sa, purtroppo, che sarà una nascita mancata, impedita: una “non nascita”, proprio come quella del 1948. A tutti gli effetti, una “Nakba bis”. 

Francesco Lucrezi, storico

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notizieflash   rassegna stampa
Obama pensa a uno Stato palestinese
entro i confini antecedenti il '67

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Forte attesa per il discorso che il presidente Usa Barack Obama terrà in settimana sulla situazione in Medio Oriente. Due i punti-chiave contenuti nella bozza di testo anticipata dal quotidiano israeliano di Tel Aviv Yedioth Aharonot. “Si' a uno stato palestinese entro i confini dei Territori israeliani nel 1967. No alla richiesta unilaterale di riconoscimento dinanzi all'Onu di questo stato”.

 

Dopo gli avvenimenti dei giorni scorsi che hanno riempito molte pagine dei nostri quotidiani, credo che sia opportuno riflettere anche su quanto in Italia non abbiamo potuto leggere. In Francia Bernard Henry Levy, i cui articoli vengono spesso tradotti in italiano, ha pubblicato una interessante analisi sugli accordi firmati tra Fatah e Hamas... »

Emanuel Segre Amar








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