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1 gennaio 2012 - 6 Tevet 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

La parashà e la aftarà di ieri vanno lette sotto il segno della ricongiunzione. Josef e i fratelli si riconoscono reciprocamente, e non solo in senso fisico. Questa unità non è però un dato automatico: è il risultato di un percorso bilaterale, che si basa su valori comuni, tra i quali la signoria di Dio gioca un ruolo fondamentale. Israel, Dio e la Torà sono una stessa cosa, come suggerisce lo Zohar, solo se sono in mutua relazione. In tempi di conflitti interni, un po' ovunque nell'ebraismo, è bene leggere Vaiggash (e si avvicinò) con questo spirito.


David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
La recente legge approvata in Francia contro la negazione del genocidio armeno, ha fatto riaprire la discussione, anche in Italia, sull’efficacia, e sulla necessità di una legge sul negazionismo. Non sono favorevole, ma questo potrebbe essere considerato un fatto privato. Io invece lo ritengo parte di una
deontologia professionale. Una convinzione che non è una prurigine da “politicamente corretto” contrapposta a una “sana” politica muscolare. Considero l’eventualità di una legge contro il negazionismo, prima ancora che inefficace, un palliativo. In breve inutile e alla fine segno ed effetto di una pigrizia. E mi spiego. L’obiettivo di chi si preoccupa dell’insorgenza e della diffusione di convinzioni negazioniste è quello che non si costruisca una convinzione basata sul falso. E’ un obiettivo che condivido. Io penso che non lo si raggiunge  né lo si consolida con una legge, bensì con una didattica e una pedagogia che aiuta a distinguere e porre le differenze tra vero, falso e finto. E distinguerli implica sviluppare una risposta al negazionismo che almeno per ciò che compete agli storici non si limita a fare il giudice “super partes”, ma a scendere in campo e fare il loro mestiere, ovvero, per esempio, definire e costruire una didattica della riconoscibilità del falso. La costruzione del falso, come le bugie, o ancora meglio quella dell’inganno, ha delle regole; risponde a logiche; si serve di retoriche interpretative e di documenti che sceglie e mette in ordine; spesso li crea; adotta retoriche costruttive di narrazioni. Penso che noi storici, una volta ribadita la libertà della ricerca storica, non possiamo sottrarci dal misurarci con  il tema del falso e della sua diffusione, delle retoriche che i suoi diffusori adottano. Con la consapevolezza, di tutti, che una volta aperta la partita sulla verità dei fatti, si avvia una discussione su ciò che diamo per certo e per vero che non è né tranquilla né pacifica, ma anzi presume rimettere in discussione molte cose intorno a ciò che diamo “per scontato”.

davar
Informazione – Pagine Ebraiche, Italia Ebraica e DafDaf
da oggi sfogliabili per tutti gli utenti dei social network
Il primo giorno di gennaio è tradizionalmente un momento di quiete per i giornali quotidiani italiani, che sono assenti dalle edicole solo in cinque giornate del calendario. La redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it (che realizza fra l'altro questo notiziario quotidiano, la Rassegna stampa, il giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, il giornale di cronache comunitarie Italia Ebraica e il giornale ebraico per bambini DafDaf) segue invece il ritmo del calendario ebraico e non ha mai rinunciato al proprio appuntamento quotidiano con il lettore.
Così la serata di ieri e la mattinata di oggi sono state utili fra l'altro per mettere a punto la prima novità del 2012 che la redazione offre al lettore. Grazie all'applicazione lanciata poche ore fa, Pagine Ebraiche, Italia Ebraica e DadDaf sono ora sfogliabili direttamente all'interno della propria posizione Facebook.
Pagina dopo pagina il lettore potrà prendere in mano il giornale originale, consultare gli arretrati, ritrovare temi, cronache e dossier che desidera ricercare anche a distanza e senza avere a portata di mano la carta stampata. L'applicazione completa la presenza dei tre giornali su tablet e smartphone (Apple e Android, come iPhone, iPad e molti altri) lanciata lo scorso agosto. Non solo l'ultimo numero, quello di questo gennaio 2012 attualmente in distribuzione, ma anche tutti gli arretrati sono da subito disponibili per consultazione. Per raggiungere l'applicazione è sufficiente cercare le parole “pagine ebraiche” nella casella di ricerca di www.facebook.com l'applicazione con il pulsante del simbolo di Pagine Ebraiche si colloca automaticamente all'interno dei comandi della propria posizione Facebook e resta sempre disponibile.
L'universo dei social network contiene talvolta messaggi insignificanti e frammentari, ma anche di straordinarie occasioni di informazione e conoscenza, è popolato da insidie e da minacce per gli spazi di cui cercano di approfittare coloro che cercano di seminare odio attraverso la rete, e proprio per questo rappresenta una realtà in cui è necessaria una presenza ebraica matura e consapevole, ma anche attenta a tenere aperto il dialogo con la società circostante e non perdere il contatto con le giovani generazioni. Facebook in particolare conta in Italia su 21 milioni di utenti attivi almeno una volta al mese e 13 milioni di utenti attivi almeno una volta al giorno e in genere si calcola che oltre la metà del tempo speso online dalla popolazione italiana sia dedicato a questo social network.
Pagine Ebraiche è uno dei primi giornali italiani e il primo giornale ebraico al mondo a sviluppare una applicazione che consente di sfogliare il giornale all'interno dei social network. Siamo convinti che molti altri seguiranno, per cui raccogliamo la sfida e da oggi ci siamo. Anche se si tratta solo della prima iniziativa fra i nuovi progetti che la redazione ha messo in cantiere per questo primo scorcio dell'anno civile.
A tutti gli amici buon 2012 e buona lettura.

gv

Qui Milano - Jarach: "La maggioranza prosegue il suo lavoro.
Consiglio e Assemblea restano il luogo dove dibattere"
Il presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach ha diffuso, anche a nome del gruppo di maggioranza che governa la seconda realtà ebraica italiana, la seguente nota:

"Il gruppo di maggioranza preferisce astenersi da qualunque comunicato di risposta alle accuse,  anche ingiuriose, rivolte a mezzo stampa  e apparse in questi giorni in occasione delle dimissioni del vicepresidente Alberto Foà, nella convinzione che una Comunità debba essere gestita all'interno delle proprie istituzioni che vedono il Consiglio e  l'Assemblea come luogo ove dibattere apertamente di problemi e soluzioni con il  massimo consenso possibile tra gli iscritti.
Il Presidente e la Giunta  proseguono nel lavoro di  preparazione collegiale del bilancio preventivo 2012, con una maggioranza  compatta e cosciente dell'impegno preso con gli elettori".

pilpul
Davar acher - La nostra differenza
Ugo VolliIn genere il funzionamento della memoria culturale è poco compreso, soprattutto se la si tratta come se fosse equivalente alla storia o alla coscienza politica. Greci e Romani hanno avuto una grande storiografia; Tacito ed Erodoto, Livio e Tucidide hanno contribuito certamente a perpetuare per i secoli il mito di Roma ed Atene; ma non certo a mantenere in vita le loro civiltà una volta che le condizioni materiali, sociali ed economiche della sopravvivenza dei loro stati si conclusero, come ha fatto la nostra memoria, storicamente più discutibile. Essere consapevoli di una somiglianza del nostro tempo con gli Anni Trenta, oppure con la crisi della Belle Epoque, con la decadenza dell'Impero Romano o con l'ellenismo, come alcuni opinano, non significa davvero aver memoria di quei periodi, ma conoscerne intellettualmente degli aspetti che si ritengono a torto o a ragione congruenti con i nostri anni.
Nella letteratura specializzata sul tema da Halbwachs a Smith ad Assman ai recenti lavori italiani del gruppo diretto da Patrizia Violi, la memoria culturale è la consapevolezza che un gruppo sociale mantiene della propria identità, spesso usando dispositivi complessi come feste, libri, giorni di celebrazione, luoghi allestiti a museo o monumento, rituali. In queste pratiche si trova il carattere volontario della memoria, che peraltro quando funziona è invece prevalentemente involontaria, essendo vissuta come un dato, il depositato dell'esperienza comune di un gruppo e della continuità delle generazioni: tradizione nel senso pieno del termine. La memoria collettiva ha un carattere esistenziale, è dunque ben diversa dal ricordo (sia esso storico o mitico) o dalla comune narrazione (le "narrative" che secondo la terminologia americana giustificherebbero senza bisogno di fondamento reale le scelte politiche); in essa è implicita l'identità, vi sono sviluppati dei valori, vi è indicato il compito del gruppo, la sua origine, la sua collocazione nel mondo. Per questa ragione la memoria è sempre fortemente identitaria e vive fino a che lo rimane. Può essere diffusa, aperta, oggettivata, ma non è davvero condivisa al di fuori del "noi" che la conserva come l'anima del gruppo.
Vi possono essere fatti che rientrano in più memorie, come gli eventi di storia sacra condivisi da più religioni, altri come le guerre e le crisi religiose possono essere preservati in maniera opposta; ma le memorie collettive vive sono distinte e mescolarle serve al massimo a produrne una nuova sincretica, se vi è un gruppo che la fa propria. Naturalmente una persona può far parte di diversi gruppi, per esempio essere allo stesso tempo ebreo, italiano, medico, tifoso di calcio. Queste differenti identità, diversamente profonde ed essenziali per la persona, chiedono la conservazione individuali di memorie diverse, che non si confondono. Il solo vero multiculturalismo è nella mente della persona, prima che nella società.
L'ebraismo ha una memoria particolarmente forte e ben strutturata, viva da millenni. L'Esodo, per esempio, è spesso preso a prototipo negli studi recenti di quel lavoro teologico-politico che porta alla formazione e - con la sua memoria - alla perpetuazione della nazione. Tutta la Torà è memoria: memoria di regole, costumi, credenze, persone, cose eventi. Non storia, ma vivo insegnamento, che stabilisce delle barriere, ammonisce a non fare "come gli Egizi o i Cananei".
Peraltro uno dei rimproveri costanti che gli ebrei subiscono è di mantenersi attaccati alla loro memoria, di non diluirsi grazie ad essa nelle popolazioni fra cui vivono. Così ragiona il Faraone prima di imporre i lavori forzati, così Haman racconta al re di "un popolo separato e disperso in mezzo agli altri" "che rispetta le sue leggi" per indurlo allo sterminio, così Tacito e Seneca parlano di un popolo nemico dell'humanitas (cioè del politically correct dell'impero romano), così poi la Rivoluzione francese, la Chiesa e l'internazionale comunista. Tutti combattono contro la separatezza ebraica della memoria e dell'identità, tutti ci hanno sempre richiamato all'universalismo, cioè all'accettazione del ricordo, dei valori e delle pratiche della maggioranza, a scambiare il nostro aspro "egoismo", la nostra grettezza nemica dell'umanità (cioè ben decisa a non fondersi in essa) nel nome della dolcezza di essere politeisti come tutti, persiani come tutti, francesi come tutti, cristiani come tutti (non a caso questo è il significato del nome "cattolico", katà olos, verso tutto il corpo sociale), soprattutto laici, comunisti, progressisti come tutti, o tutti i boni cives, interessati solo al buon andamento dello Stato o della rivoluzione.
E' successo anche con la Shoà, in cui il tentativo di costruire una immagine condivisa si è spesso risolto in una distruzione del suo senso. Ad Auschwitz per Giovanni Paolo II c'era il nuovo Golgota, un sacrificio o olocausto da accettare cristianamente come fece Edith Stein; per lo stato polacco vi occorse la distruzione di un milione e mezzo di polacchi (di varia provenienza religiosa, ma questo occorre dirlo); per la sinistra che concepì il padiglione italiano, di deportati, la cui appartenenza religiosa era altrettanto poco significativa; per i comunisti di comunisti e altri antinazisti; per il politically correct di varie minoranze (rom, gay, malati mentali, handicappati, antinazisti e... anche ebrei). Per molti oggi la Shoà è una delle infinite stragi della storia e va de-etnicizzata. Senza negare che il nazismo si accanì contro molti nemici, è nostro dovere ricordare la peculiarità del suo odio antiebraico e della Shoà, come ricordare fra i crimini dei "re cristianissmi di Spagna" la nostra cacciata, oltre al colonialismo in Sudamerica e la repressione dei moriscos e degli eretici.
Questo non significa rifiutare di compiangere altri genocidi (quello degli armeni, per esempio) o non essere solidali con tutte le vittime dell'ingiustizia. Ma capire che lo dobbiamo fare in quanto ebrei, attaccati alla nostra memoria, alla nostra tradizione, ala nostra identità, sfuggendo ala sirena universalistica che porta all'autodistruzione culturale. C'è oggi una larga tendenza politico-culturale che considera dannose e pericolose le identità e le nazioni, cerca di dimostrarne l'inesistenza o il carattere abusivo - è l'ultima eredità dell'internazionalismo marxista e l'impropria attribuzione di tutti i mali del passato all'esistenza di gruppi identitari, nazionali, religiosi, di popolo. Questa guerra alle differenze è l'equivalente culturale della globalizzazione. E' una tendenza fortemente distruttiva di culture, che cerca di applicare a tutta la vita l'ideale di burocrazie sradicate come quelle europee o dell'Onu, o l'estetica uniforme e squallida dello stile internazionale in architettura. Anche senza pensare al nostro ebraismo bisogna opporvisi. Ogni cultura uniformata è una cultura uccisa, ogni lingua soppiantata dall'inglese o dal cinese è una lingua morta, ogni cucina industrializzata è un gusto sparito.
Come ebrei oggi abbiamo sì la missione di diffondere i nostri valori universali (non universalistici, che è un'altra cosa). Ma abbiamo anche il compito opposto, quello di difendere e amare la nostra differenza, la nostra identità, cioè la nostra memoria. E di fare di tale resistenza all'universalismo o alla globalizzazione culturale un modello per gli altri popoli. Possiamo essere depositari della coscienza universali solo se teniamo viva in noi la nostra memoria, senza barattarla con alcuna ideologia.

Ugo Volli


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notizieflash   rassegna stampa
Israele - Twitter in tribunale
se non oscura i siti terroristici
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Shurat HaDin, un centro legale israeliano, ha dato al social network Twitter, pochi giorni prima di portare in Tribunale i vertici dell’azienda se questi non cancellano tutti gli account riconducibili alle organizzazioni terroristiche. Con il rischio che, se il giudice dovesse dare ragione agli israeliani, i capi del social network potrebbero finire alla sbarra per aver offerto supporto logistico ai terroristi. Secondo gli avvocati di Tel Aviv Twitter starebbe violando la legge perché ha permesso l’apertura di account come quello degli Al Shabaab, gli affiliati di Al Qaeda nel Corno d’Africa, e di «Al Manar», la tv dei miliziani libanesi di Hezbollah. E così, il direttore del centro legale, Nitsana Darshan-Leitner, ha scritto ai vertici di Twitter. Il dibattito, tra chi difende Twitter e chi chiede maggiore controllo della Rete è aperto. 










 
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