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3 gennaio 2012 - 8 Tevet 5772
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Congedando i fratelli che tornano dal padre, Yoseph raccomanda loro di "...non litigare lungo la strada... " (Bereshìt, 45; 24). Tra le molteplici interpretazioni di questo curioso ammonimento Rashì ne riporta una decodificando la parola “strada” come la “halakhah”, la via  ebraica  di vivere e comportarsi. Yoseph sta pertanto raccomamandando ai suoi fratelli di non cercare giustificazioni "halakhiche" alle sofferenze che gli avevano procurato. I nostri Maestri hanno sempre temuto che la halakhah potesse venire usata, talvolta, come giustificazione di soprusi e umiliazioni. Quando si abusa della Torah, o di altri simboli della nostra storia e del nostro sacrificio, ricordiamoci  quel richiamo di rabbì Tzadòk, riportato nei Pirqè Avot, 4; 7: "...non fartene (della Torah)...una scure con cui scavare...”. 

Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani
Nella rivista palestinese per bambini Zayzafuna, viene glorificato Hitler, benemerito dell'umanità per la Shoah che ha perpetrato. L'Unesco, che sosteneva la rivista, decide di sospenderle il finanziamento. L'Unesco, fra l'altro, ha da poco riconosciuto lo stato palestinese. E l'Unesco, paradossalmente, non è un'istituzione politica, ma educativa ('Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura'). Chi, dall'interno, sta cercando con fatica e dolore di rimanere oggettivo nel doloroso contrasto israelo-palestinese, si chiede su quali premesse culturali, ideologiche, etiche, ci si possa confrontare, quando ai bambini si mettono in mano strumenti didattici di questo genere. Quale politica dell'odio si sta perseguendo? E a quale pace mai potrà portare? Ma c'è qualcuno che la vuole la pace? Eppure, non si può smettere di parlare. Di sperare, un po' meno.

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Quando l'arte uccide il luogo comune
Yossi LemelArte, politica, lavoro. Tre elementi che lungo la carriera di Yossi Lemel, pubblicitario e fotografo di fama internazionale, si intrecciano costantemente. L’immagine racchiude sempre un racconto e Lemel, a seconda delle occasioni, gioca con questa flessibilità comunicativa. Così una sua foto può diventare pubblicità, essere una rivendicazione politica, lanciare un messaggio sociale. Lemel provoca, ironizza, comunica in uno scambio dialettico costante con il suo interlocutore.
Nato nel 1957 a Gerusalemme, ha realizzato diverse campagne pubblicitarie e di sensibilizzazione in ambito sociale, lavorando ad esempio con Amnesty International, Greenpeace e associazioni impegnate nella lotta per i diritti civili. La sua visione politica del mondo emerge con forza da tutti i suoi lavori fra i quali ricordiamo le immagini dedicate all’interminabile conflitto israelo-palestinese, alla tragedia della Shoah e al nucleare.
Trent’anni di esperienza alle spalle hanno portato, oltre un impressionante numero di premi e riconoscimenti dalla Cina agli Stati Uniti, alla creazione di uno studio proprio attraverso cui Lemel finanzia parte dei suoi lavori.
HumanatureSimbologia, humor, impegno sociale, pubblicità. Lei è sia poster artist sia un professionista del design e del mondo pubblicitario, come si combinano questi diversi aspetti nel suo lavoro?
A volte si intrecciano, a volte corrono su binari paralleli ma sono sempre io, l’artista politico, il pubblicitario, il grafico. Cerco di portare avanti diversi progetti insieme e tradurre le mie idee in tutti gli aspetti del mio lavoro, ciascuno con stimoli e necessità chiaramente differenti. Ho lavorato con Greenpeace, con Amnesty International ma anche con aziende di High-tech, con il Ministero dell’Ambiente israeliano; ho avuto la possibilità di insegnare e collaborare con diverse università israeliane e non. Diciamo che la mia professione mi permette di variare, di esprimermi attraverso molte luci e linguaggi.
Black April 2010Uno dei primi passi della sua carriera è stato frequentare l’Accademia d’Arte Bezalel di Gerusalemme, un centro importante per cultura e storia. Quale ruolo ha giocato quest’esperienza  nella sua formazione artistica e professionale?
Bezalel è stato sicuramente un momento fondamentale del mio passato. Mi ha permesso di avere degli strumenti che altrimenti sarebbero stati difficilmente accessibili, mi ha aperto una visione nuova sul mondo dell’arte oltre a darmi la possibilità di confrontarmi giorno dopo giorno con studenti e professori. E forse è questa la grande forza dell’Accademia, la grande varietà di persone che permetto una dialettica continua e formativa sulle materie di studio e non solo. Con me ad esempio c’era il mio amico David Piazza, a cui sono molto legato, e lui mi ha fatto conoscere artisti che prima non conoscevo. Nel nostro gruppo c’erano persone da tutte le parti del mondo, danesi, americani, oltre ovviamente agli israeliani. C’era un terreno fertile per la crescita delle idee. Per questo consiglio ai giovani di frequentare accademie e università, sono spazi in cui è possibile da un lato avere un’ottima istruzione e dall’altra permette di aprire la mente.
Parlando di giovani, quali sono le prospettive in Israele rispetto al campo del graphic design e dell’arte visiva?
Purtroppo non ho doti profetiche ma ho la sensazione che nonostante la crisi globale il mercato israeliano offra molte possibilità ai ragazzi che vogliono cimentarsi in questo lavoro. I mezzi tecnologici a disposizione sono profondamente cambiati da quando ho iniziato io e questo facilita ulteriormente le cose. Chi ha passione, forza, voglia di riuscire riuscirà ad affermarsi. E se guardo alle nuove generazioni qui in Israele posso dirmi fiducioso.
Fukushima mon amourCosa intende esattamente?
Come raccontano i miei lavori, l’impegno politico e sociale fa parte del mio background. E sembrerebbe che i giovani israeliani condividano gran parte delle istanze che porto avanti. Vedo la loro voglia di cambiare le cose, di manifestare il proprio dissenso e la volontà di far sentire la propria voce. Per questo sono fiducioso, ci sono molte battaglie che vale la pena combattere, dai diritti umani all’ambiente, e i giovani vogliono raccogliere questa sfida. Siamo designer, siamo artisti perciò guardare il futuro è nel nostro dna ma per avere un futuro dobbiamo salvare questo pianeta prima che sia troppo tardi.

Anatomy of a conflictIn Italia, la patria dell’arte, sembra che, almeno ai piani alti, non ci si renda conto del valore anche economico della cultura. Qual è la situazione in Israele?
I nostri problemi sono diversi dall’Italia perché siamo un paese che vive con il pericolo costante di un attacco militare. La gran parte dei fondi vanno così al Ministero della Difesa, il vitello d’oro d’Israele. Per cui anche qui la situazione è difficile ma le istituzioni, per quanto possibile, cercano di favorire l’arte e il mondo della cultura. Il problema, e qui penso di poter parlare anche per l’Italia, è che bisogna cambiare la mentalità: gli artisti sono mossi dalla passione di esprimersi e per poterlo fare sono disposti anche a lavorare gratis; perché l’arte per un pittore, uno scultore, un fotografo è una necessita dell’anima. Ora provi a chiedere a un banchiere di fare un prospetto, mettiamo, sull’andamento nei prossimi cinque anni dell’economia israeliana. Secondo lei sarà disposto a farlo gratis? Per passione?
  
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche gennaio 2012

pilpul
Chi ha sbagliato paghi, ma la modestia è un valore
Guido VitaleChi ha la fortuna, in queste prime giornate invernali dell'anno civile, di trascorrere qualche momento sulla neve, magari con gli sci ai piedi, si guardi bene intorno. Il suo vicino di seggiovia potrebbe essere un gigante della Torah, uno dei rabbini europei più autorevoli e stimati. Quando non si dedica agli studi talmudici e alle responsabilità comunitarie, al gran rabbino di Francia Gilles Bernheim piace schiarirsi le idee all'aria aperta e sfrecciare sulle piste. Recentemente il quotidiano parigino Le Monde (forse la più autorevole testata giornalistica europea assieme al Financial Times e alla Frankfurter Allgemeine), gli ha domandato come si senta la guida spirituale dei 600 mila ebrei francesi (la terza realtà ebraica al mondo dopo Israele e Stati Uniti), quale equilibrio fosse possibile fra tradizione e modernità. Il Rav Bernheim ha risposto con un esempio che difficilmente avrebbe potuto essere più chiaro, spiegando che sua moglie (la grande psicanalista alsaziana Joelle Bollack) nasconde regolarmente i suoi capelli sotto la parrucca seguendo fedelmente la tradizione della modestia (Tzniut) ebraica, ma che né questo né gli altri segni di una stretta aderenza alla tradizione potevano essere interpretati come un fattore di arretratezza, di chiusura, di scarsa voglia di vivere la vita.
“Per alcuni ebrei – commentava il Rav – essere liberali ed essere fedeli alla tradizione non può andare assieme. Il liberale sarebbe colto, non penserebbe a D. tutta la giornata e coltiverebbe interessi diversificati. Si tratta di un luogo comune ridicolo e pericoloso che da liberale e da ebreo ortodosso vorrei sfatare”.
Mi sono tornate alle mente le sue parole quando negli scorsi giorni molti giornali italiani hanno riferito ai lettori di uno sconcertante e odioso fatto di cronaca: una bambina israeliana tornando da scuola è stata umiliata, offesa e aggredita sulla via di casa da ebrei ortodossi appartenenti a gruppi oltranzisti che si accanivano su di lei rimproverandola di non aderire agli stretti canoni di modestia nel vestire adottati nelle loro comunità.
La questione ha suscitato diverse polemiche e assurde manifestazioni che hanno messo in luce come alcuni ambienti ortodossi israeliani fatichino a mantenersi in sintonia con una società avanzata quale quella che Israele può vantare. Alcuni collaboratori del Portale dell'ebraismo italiano sono intervenuti presentando la propria legittima opinione, ognuno, come è tradizione dalle nostre parti, in uno spirito di totale libertà, ma senza l'intenzione di ferire i sentimenti altrui. Ho intanto osservato con grande pena come i giornali (talvolta valendosi purtroppo della firma di alcuni ebrei italiani) si siamo avventati su questo penoso caso per affrettarsi a criminalizzare l'intero mondo degli ebrei ortodossi in una precipitosa generalizzazione per cercare di infamare centinaia di migliaia di individui, talvolta molto diversi fra loro, che hanno scelto di dedicare la vita allo studio e alla comprensione del messaggio che resta alla radice di ogni possibile modo di essere ebrei. Per cercare di equiparare una stretta aderenza alla tradizione religiosa ebraica con la cultura aggressiva e sessista che inquina l'estremismo islamico. Un tentativo di linciaggio ha sempre bisogno di appoggiarsi su un pretesto più o meno fondato. In questo caso la sciagurata azione di qualche imbecille che dovrà fare i conti con la Giustizia israeliana ha fatto da appiglio per sfogare l'ansia diffamatoria nei confronti di Israele e degli ebrei di cui il mondo dei media della cultura dominante offre continui spunti.
Mi sono poi confrontato, nel profondo rispetto per le loro personali opinioni, che ovviamente non coinvolgono né le posizioni dell'Ente editore né quelle della redazione, con gli interventi di alcuni editorialisti che collaborano al Portale dell'ebraismo italiano. Dal Tizio della sera (dietro questo pseudonimo si cela un noto scrittore italiano che ci onora della sua amicizia), alla storica Anna Foa, dall'architetto e già vicesindaco di Gerusalemme David Cassuto all'autrice romana Elena Lattes.
Pur comprendendo le ragioni, le emozioni e lo sdegno di ciascuno, devo confessare che in ognuna delle loro voci ho avvertito la mancanza di un elemento fondamentale.
Non mi sembra il caso di leggere la realtà di Israele e la realtà dell'ebraismo ortodosso sulla base delle semplificazioni diffuse dai media della cultura dominante. Né mi pare possibile banalizzare un volgare episodio di teppismo, pur se inquietante, screditando e liquidando frettolosamente la tradizione ebraica della modestia, che non ha niente a che fare con le prevaricazioni dell'estremismo islamico, non prevede (anzi dovrebbe prevenire) aggressioni ai danni altrui, non riguarda esclusivamente il modo di vestire, ma in realtà, se intesa correttamente, dovrebbe portare a un profondo rispetto degli altri in quanto persone, della loro sensibilità e del loro pudore. Proprio quei sentimenti che il bombardamento della cultura popolare maggioritaria e la macchina dei media cercano di cancellare.
Chi ha commesso crimini e prevaricazioni (resi moralmente ancora più ripugnanti dal tentativo di mascherarli dietro una pretesa adesione alla Legge ebraica) paghi per le proprie colpe. Ma questo non ci autorizza a cancellare disinvoltamente un patrimonio di sensibilità e di cultura che se utilizzato correttamente dovrebbe proteggerci dagli esibizionismi e dalle volgarità. Un patrimonio che è alla base dell'animo ebraico e da cui noi ebrei contemporanei abbiamo ancora molto da imparare. Speriamo che le nostre guide spirituali e politiche possano continuare a fornirci esempi luminosi per proseguire lungo un cammino fedele alle nostre radici più autentiche di consapevolezza, di crescita e di modestia.

Guido Vitale

Beresheet LaShalom - Insieme per capire
Angelica Calò LivneDa tanto non si vedeva una giornata cosi piovosa, fredda, grigia e densa di nebbia. Una benedizione per le nostre mele, per i ciliegi e per i kiwi, ma una sorpresa per i ragazzi della Scuola ebraica Sally Mayer di Milano in gita in Israele. Avevano trascorso la notte nell'ostello del Monte Meron e dopo averli incontrati a Gerusalemme per un megalaboratorio di teatro, musica e improvvisazioni, insieme ai loro coetanei della scuola ebraica di Roma, li ho invitati a vedere un kibbutz da vicino, dall'interno. Avrei voluto mostrar loro l'antico Mikwe del secondo secolo A.e.v., passeggiare a piedi lungo il confine con il Libano, mostrare loro il piccolo zoo e il Hadar Hochel, la grande sala da pranzo comune, ma la pioggia cadeva senza sosta. Abbiamo deciso di portarli alla nostra scuola, nella biblioteca. Seduti stretti stretti, uno vicino all'altro, al caldo, i ragazzi hanno ascoltato le nostre storie per più di ora: gli occhi spalancati, gli sguardi attenti, bei sorrisi, bei volti e tante domande. Abbiamo spiegato che Sasa è uno degli ultimi kibbutzim che hanno annullato il pernottamento dei figli nelle case dei bambini, dopo aver capito che i bambini hanno il bisogno e il diritto di dormire accanto ai loro genitori. Che la nostra fabbrica Plasan, produce materiali per blindare veicoli per la difesa contro il terrorismo e non armi come alcuni di loro pensavano. Abbiamo presentato loro tre ragazze arabe, del gruppo di Beresheet LaShalom, che hanno raccontato delle loro attività di volontariato nell'educazione con ragazzi di varie etnie, con ragazzi a rischio, con nuovi immigranti e dei loro progetti educativi per la protezione dell'ambiente. I ragazzi ascoltavano attenti... forse un po' stupiti di sentire tante informazioni diverse da ciò che propinano costantemente i media. Sono stata felice di avere avuto questa opportunità: aprire un'altra piccola finestra su un Israele effervescente, non solo quella delle spiagge di Tel Aviv, ma un Israele che fa scuola al mondo con i suoi metodi rivoluzionari per aggregare gruppi di gente diversa, per educare al rispetto e all'accoglienza. Un Israele che è ancora orgogliosa della sua agricoltura e delle sue forme speciali e uniche al mondo, di vita comunitaria. Ci siamo lasciati passando per i corridoi dal Liceo Anna Frank, sotto gli sguardi curiosi dei ragazzi di Sasa, Baram, dei moshavim e dei villaggi dell'Alta Galilea. Spero che questa visita divenga una tappa fissa di questo importante progetto delle scuole ebraiche italiane.
Noi, qui, ci impegnamo, con costanza e determinazione, a continuare a creare storie di vita e di ideali e a consolidare il preziosissimo rapporto tra Israele e la Golah...sperando che le sponde di questo ponte si avvicinino sempre più.

Angelica Edna Calò Livne – Beresheet LaShalom, Kibbutz Sasa, Alta Galilea


Vigilanza
E poi ti dicono che sei schematico, ideologico, antico. Sarà. Ma come giudicare l’incidente capitato a Mario Vattani, ex-consigliere diplomatico del sindaco di Roma Gianni Alemanno, entrato da qualche giorno nella hit-parade di fascistopoli? Mettiamo che questo signore, anni fa, sia stato inquisito (e poi prosciolto) per aver pestato due militanti di sinistra; mettiamo che nel tempo sia diventato diplomatico e consigliere di Alemanno, e che in questa veste si sia recato più volte ad Auschwitz per i viaggi della Memoria; mettiamo che sempre lui venga fotografato a cantare col suo gruppo «SottoFasciaSemplice», mentre duetta col capo di Casa Pound e viene osannato da una selva di saluti romani.
Che cosa pensereste? Ripercorrendo gli ultimi anni, i neofascisti piazzati in municipalizzate e uffici pubblici, il senso di impunità degli estremisti di destra nella Roma alemanniana, che cosa pensereste? A me colpisce un fatto. La strategia del «nessun nemico a destra», oltre a essere sbagliata, pare parecchio ingenua: Vattani si fa riprendere tatuato e madido di sudore che inneggia a Salò. Il console generale d’Italia in Giappone. E Francesco Bianco – gambizzato ieri, poveraccio – scriveva le sue minacce fasciste e antisemite direttamente dal pc dell’Atac (l’azienda dei trasporti). Voglio dire, non proprio delle aquile!
Siamo a pochi giorni dal Giorno della Memoria. Sono d’accordo anche io che occorre essere realisti e parlare con tutti. È importante sostenere iniziative che aiutino la conoscenza e lo studio di ciò che è accaduto, soprattutto perché i giovani imparino la virtù dell’indignazione e della vigilanza. Ma un minimo di vigilanza esercitiamola anche noi. L’idea che in un ufficio del Comune di Roma si organizzi il viaggio ad Auschwitz, e alla porta accanto ci si organizzi per il concerto di Casa Pound, a me un po’ d’impressione la fa.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

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Colloqui di Amman - Il vicepresidente
Dov Meridor parla di "sviluppo positivo"
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Dopo molti mesi, con la mediazione della Giordania, diplomatici israeliani e palestinesi tornano a confrontarsi faccia a faccia. I colloqui si sono aperti questa mattina ad Amman. Il vicepresidente israeliano Dov Meridor parla di “sviluppo positivo” anche in considerazione del fatto “che è la prima volta da molto tempo che i palestinesi accettano di parlare direttamente senza porre precondizioni”.
 

Oggi si svolge ad Amman il primo incontro fra negoziatori israeliani e palestinesi da un anno e più. E' un colloquio in cui si dovrebbe parlare non di temi concreti, ma dell'inizio delle trattative, concordato per soddisfare l'ultimatum del Quartetto alle due parti, perché ricomincino un processo negoziale entro fine gennaio(...)
Ugo Volli

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