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16 gennaio 2012 - 21 Tevet 5772
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alef/tav
rav Jonathan saks
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova



“...giunse un nuovo re sull’Egitto che non (ri)conosceva Giuseppe" (Esodo 6, 8).

E’ nota la discussione tra Rav e Shemuel (TB, Sotà 11a): “uno affermava che era veramente nuovo e l’altro diceva che rinnovò i suoi decreti. Forse, il faraone cambia la sua condotta perché non riconosce negli ebrei di oggi l’identità e la cultura di Giuseppe e di Giacobbe suo padre. Che il rispetto della nostra identità dipenda anche dalla misura in cui noi la rispettiamo veramente?
       
Anna
Foa,
storica

   
anna foa
Se è vero, come io credo, che la memoria della Shoah è la memoria di un evento epocale che ha segnato la storia dell'Europa e del mondo cambiandone prospettive, punti di vista, mentalità, allora forse dovremmo cominciare a affidare maggiormente ai non ebrei il compito di portare avanti questa memoria. Affidarla soltanto agli ebrei, infatti, vuol dire sollecitare la memoria delle vittime, privilegiare ciò che è stato fatto agli ebrei. Se ci si spostasse di prospettiva, e si cominciasse a vedere la memoria come memoria di quello che la Germania, l'Italia, la Francia e via discorrendo sono state capaci di compiere sugli ebrei, allora la memoria potrebbe diventare anche un'assunzione di responsabilità. Dico responsabilità, non colpa, a distanza di sessant'anni, mentre si avvicendano le generazioni. Ma queste responsabilità sono state, nella storia, taciute, rimosse, negate. Ecco allora che si ritroverebbe, nella rinuncia ad una dimensione troppo soggettiva e "dalla parte delle vittime", il valore di un impulso alla conoscenza e non più solo l'immedesimazione empatica nel dolore e nella morte, destinata a lasciare le cose come stanno e a cancellarsi in un batter d'occhio. La conoscenza, invece, si incide nell'animo oltre che nella mente e vi perdura.

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Anna Maria Caredio (1927-2012)
E' mancata ieri nella sua casa di Sovicille (Siena), spegnendosi nel sonno, Anna Maria Caredio. La sua storia è esemplare per la forza, l'umanità, la passione per la giustizia, l'attaccamento ai valori ebraici. Anna Maria discendeva da una famiglia di origini marrane, che aveva conservato gelosamente e discretamente l'orgoglio e il segreto delle sue origini. Dopo una parentesi migratoria in Sud America, la famiglia era tornata in Italia e si era fermata in Toscana, dove Anna Maria era nata (a Bagni di Lucca nel 1927). L'esordio letterario è con un libro di poesie (Amo Israele), nel 1969. In quegli anni Anna Maria, che vive a Siena, conclude il percorso di ghyur. Il suo impegno sociale si manifesta presto con un libro-denuncia che lascerà un segno, Una storia ingiusta, nella collana Il pane e le rose di Savelli, 1978; il sottotitolo eloquente era "una testimonianza sulla emarginazione proletaria e sottoproletaria in Italia". Di questa collana diventò la responsabile, riuscendo tra l'altro a pubblicare un incredibile documento, il diario anonimo e autentico di un brigatista rosso che raccontava la sua vita clandestina; per l'epoca una novità eccezionale. Nella stessa collana, nel 1982, un altro suo libro, La schiuma di Dio, con sottotitolo "viaggio nel mondo religioso tra cercatori dello dello spirito ed eros virgineo". Era un reportage su un incontro interconfessionale (che all'epoca erano rari e significativi), di cui descriveva con realismo i tormenti e le complessità psicologiche dei partecipanti; un documento che ancora oggi desta qualche imbarazzo. Era un segno del suo interesse per i fenomeni religiosi e la ricerca di equilibrio e di onestà, senza retorica. Nel 2004 pubblicò Il ponte delle catene, una grande biografia della sua famiglia, che è anche un monumento ai luoghi della sua infanzia, un libro che ha meritatamente vinto un premio letterario. Gli ultimi anni sono stati difficili per Anna Maria, dopo la scomparsa del marito, di cui usava con orgoglio il cognome Benayà. Lascia due figli, nipoti e pronipoti. In chi l'ha conosciuta, un grande ricordo. La piccola (per numero) comunità di Siena, ma anche tutto l'ebraismo italiano, perde con lei una tanto discreta quanto grande protagonista.

r.d.s

 
Qui Torino - Spunti di crescita, spunti di lavoro
Corso studi TorinoSobrietà. Modestia. Queste caratteristiche dovrebbe assumere l’identità ebraica italiana secondo gli auspici dello storico Alberto Cavaglion e di David Meghnagi, professore di psicologia all’Università di Roma Tre. E il rabbino? Chi è il rabbino? A provare a rispondere è stato il rabbino capo di Torino Eliyahu Birnbaum. Con una formula “matematica” di sei elementi, più uno.
Questi e molti altri gli spunti di riflessione del dialogo che si è dipanato tra i relatori della serata torinese dedicata a “Identità ebraiche, edot e rabbini: la storia di un melting pot all’italiana”, introdotta dal direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca. Nella biblioteca Emanuele Artom, tanta gente della Comunità ha preso posto accanto all’ampia rappresentanza di leader ebraici italiani, insegnanti e professionisti delle realtà comunitarie, giovani, giunti nel capoluogo piemontese per il quarto appuntamento del corso organizzato dal Centro di formazione UCEI.
L’identità ebraica si deve caratterizzare per la scelta di valori, secondo rav Roberto della Rocca. “Ricordiamoci di Mosè - ha invitato il direttore del Dec, dopo il benvenuto del presidente della Comunità di Torino Beppe Segre - che per tutta la vita mantenne il nome che gli aveva posto la figlia del faraone, per riconoscenza nei suoi confronti. Un valore che gli egiziani, che ridussero in schiavitù il popolo ebraico perché scordarono in fretta quanto Giuseppe aveva fatto per loro, non conoscevano. Per uscire dall’Egitto, dobbiamo uscire dall’Egitto nella nostra testa, decidendo a quali principi vogliamo improntare la nostra esistenza”.
Attorno alla storia degli ebrei in Italia e al rapporto tra Unità ed emancipazione si è sviluppata la riflessione del professor Cavaglion. “Possiamo notare che quanto più l’ambiente esterno ha prodotto una rappresentazione diffamatoria del mondo ebraico, tanto più gli ebrei hanno sviluppato un’attitudine all’apologia di se stessi. Ma questo produce il rischio di distorcere l’autopercezione della propria realtà”. David Meghnagi ha poi messo in evidenza il nesso tra il processo di emancipazione delle comunità nei vari paesi e l’identità degli ebrei di quei luoghi. Invitando accoratamente le comunità italiane a non chiudere le porte, ad improntare all’apertura il proprio modo di essere.
Con grande interesse è stata accolta la “formula del rabbino” proposta da rav Birnbaum. Il rabbino come ponte fra ebraismo ed ebrei, che per unire le due sponde deve tenere bene a mente chi sono le persone che ha davanti a sé. Filosofo, con il compito di tradurre per loro il significato dell’ebraismo nel linguaggio più appropriato. Sociologo che comprende le loro esigenze. Un demografo che tiene d’occhio le tendenze della propria comunità da questa particolare prospettiva. Codificatore di Halakhah, che cerca di trovare la migliore soluzione del ruolo di guida ortodossa di comunità nominalmente ortodosse, ma i cui esponenti vivono in massima parte lontani dall’osservanza religiosa. Il rabbino che deve essere poi profeta che guarda al futuro della propria gente, avendo davanti agli occhi la sua missione. E infine, ha tenuto a sottolineare il rabbino capo di Torino, “anche se può sembrare ovvio, il rabbino non è un prete. Nel senso che non è un sacerdote. È un leader spirituale. Ciò che è un compito ancora più difficile”.
Con una fotografia delle organizzazioni ebraiche in Europa e nel mondo e dei loro rapporti con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si sono riaperti in mattinata i lavori del corso di formazione. A discuterne con i partecipanti il vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti. Partecipanti che poi si sono divisi nuovamente nei percorsi ad hoc, per leader, professionisti, insegnanti, giovani.
“Panim significa faccia. Una parola che in ebraico vuole sempre la forma plurale. Intendendo forse che in ogni cosa, in ogni persona, coesistono necessariamente diverse facce, diverse sfaccettature”, aveva spiegato rav Della Rocca aprendo la sua riflessione sull’identità ebraica.
E sicuramente tante sono state le facce dell’ebraismo italiano che si sono incontrate e confrontate nella due giorni torinese.

Rossella Tercatin
 
Qui Roma - La scelta tra passione e apatia
Hans JonasSi è aperta ieri la terza edizione del master organizzato dall'Associazione culturale Hans Jonas con lo scopo di formare nuovi giovani leader per le comunità ebraiche. Numeroso e attivo il gruppo di quest'anno, composto per la maggior parte da romani, ma con la significativa partecipazione di ragazzi delle comunità di Milano, Venezia e Torino. Nella mattinata e nella prima parte del pomeriggio sono stati affrontati i temi della comunicazione e della leadership in compagnia dello psicologo Andrea Mazzeo, ospite ormai abituale dell'Associazione. Una novità ha invece caratterizzato la seconda fase dei lavori: un confronto dialettico tra un rabbino e un intellettuale laico sul binomio passione-apatia. Protagonisti il rav Benedetto Carucci Viterbi e il sociologo Luigi Manconi, che hanno dato vita a un dibattito vivace il cui meccanismo si ispirava, come ha evidenziato il presidente di Hans Jonas Tobia Zevi, alla rubrica aleftav che apre ogni giorno il notiziario quotidiano dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

Francesca Matalon
        

pilpul
In cornice - L'arte delle donne
daniele liberanomeNel suo ultimo pilpul, Anna Segre ha sostenuto che la società israeliana sia molto più chiusa verso le donne rispetto ai primi decenni dello Stato, che il loro ruolo sia stato decisamente ridimensionato. Anna, per chiarire il suo pensiero, avrà pur utilizzato parole più forti di quelle in cui realmente crede, ma comunque non le condivido. Il mondo dell'arte israeliano, tanto per cominciare, è dominato da donne ora più di sempre, in particolare da Sigalit Landau, Michal Rovner e Yael Bartana. Tutte e tre raccontano del loro paese e delle loro radici, con una passione e con una poetica tanto coinvolgente da conquistare innanzitutto i collezionisti israeliani – che non sono affatto pochi – e poi quelli mondiali. Conoscetele meglio, conviene davvero. L'establishment culturale dello Stato ha riconosciuto appieno il loro valore e difatti le troviamo sempre più nei musei principali (Tel Aviv e Gerusalemme) e a rappresentare Israele nelle ultime Biennali di Venezia. Vogliamo poi parlare delle crescente affermazione di scrittrici come Dorit Rabinyan o Yael Hadaya, che entrano nell'Olimpo prima tutto maschile con i vari Oz, Grossman,Yehoshua, Shalev etc.? Oppure, al posto di rimpiangere Golda Meir, unica donna in un mondo di maschi, non converrebbe pensare che i due maggiori partiti di opposizione sono guidati da donne (Tzipi Livni per Kadima e Sheli Yehimovic per Maarach) e che donna è Daphni Leif, la leader della protesta delle tende di quest'estate? E che, la WIN – Women's International Networking – sostiene che abbia la seconda percentuale al mondo per donne come CEO di aziende (es. Bank Leumi, Manpower, Althschuler-Shaham)? In una certa Israele la posizione delle donne è in difficoltà, non ce lo nascondiamo e affrontiamo la questione; ma neppure ingigantiamola, perché si rischia di perdere la visione d'insieme, che è ben diversa.

Daniele Liberanome, critico d'arte

Tea for two - L'israeliano medio
rachel silveraAnni fa gli Articolo 31 cantavano di un italiano medio che fa la fame ma per due settimane ha fatto il ricco a Porto Cervo e che se non gli togli il pallone non ti disturba più. Allora mi sono chiesta, un paese giovane e contestato come Israele ha già il suo israeliano medio? Non sono una fine antropologa ma non ci vuole molto a capire che più che una medietas che un po' appiattisce, Israele presenta una sfilza di tipi umani che farebbe arrossire persino Balzac. Qualche esempio? Il giovane soldato. Capelli corti, gradi saldamente attaccati sulla divisa, accetta di buon grado di fare foto con le turiste che in preda all'entusiasmo si sentono come bambine di fronte a Paperino a Disneyland Paris. Qualche tempo fa ho letto in uno di quei giornali che accumulano polvere sul tavolino del salotto che la divisa israeliana è considerata quella più seducente. Ma molte volte l'ex soldato accumula una pancetta tipicamente israeliana che fa dimenticare i fasti del fascino della mimetica. Poi abbiamo l'artista. Studia a Shenkar o Bezalel, ha un rapporto di amore/odio con il suo Stato e sogna le luci della ribalta seduto in un caffè del centro. L'avventuroso è uno dei più diffusi. Continuamente in movimento, trascorre i weekend a fare gite, indossando i temuti sandali con la chiusura stretch (uno degli orrori di moda più diffuso). Una volta all'anno fa viaggi in India/Vietnam/Sud Africa per sfuggire al materialismo della globalizzazione. Ricerca storie e ne ha tantissime da raccontare. Lo trovate in una spiaggia libera a nuotare o su una amaca a leggere massime del Dalai Lama. Il tipo di cui si parla maggiormente è il tassista. Ha una filosofia che lo distingue dal resto della popolazione e mentre inveisce contro qualche pirata della strada e si compiace della provenienza italiana del cliente, illustra un progetto di vita che lo renderebbe degno di diventare premier. Concludiamo con il ricco americano o francese appena trasferito. Tende a costruirsi una petit Paris o New York personale. Muove l'economia e getta scompiglio con il suo fascino da europeo o magnate statunitense. E i religiosi, nell'occhio del ciclone negli ultimi tempi? Mi piace pensare alla tipologia con la kippah in testa, i valori saldi e il senso di continuità, tradizione e amore. Amore per il prossimo.

Rachel Silvera, studentessa
        
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notizie flash   rassegna stampa
Negoziati - Netanyahu: "Per rilancio trattative pronto ad andare a Ramallah"
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"Pur di rilanciare vere e proprie trattative di pace sarei disposto ad andare a Ramallah con la mia automobile". Ad affermarlo, durante una deposizione alla Commissione parlamentare per gli affari esteri e la difesa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Nel corso del suo intervento Netanyahu ha inoltre sottolineato le reticenze al dialogo di Abu Mazen e si è lamentato dell'operato del negoziatore palestinese Saeb Erekat a causa del suo "continuo rilasciare dichiarazioni nonostante l'accordo di mantenere la massima discrezione".




 
 
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