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23 gennaio 2012 - 28 Tevet 5772
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rav arbib
Alfonso
Arbib
rabbino capo
di Milano



All'inizio della parashà di Vaerà ci sono le cosiddette quattro espressioni di liberazione. Moshè, su ordine divino, annuncia al popolo ebraico l'uscita verso la libertà e il dono della Torà. Ma il popolo ebraico non riesce ad ascoltarlo a causa del "corto respiro" e del "duro lavoro". Rashì spiega che la situazione del popolo ebraico è simile a quello di una persona a cui manchi il respiro. In una situazione del genere si ha il problema di sopravvivere e non si è in grado di ascoltare annunci di liberazione. La reazione degli ebrei è quindi prevedibile e naturale. Ma allora perché fare questo annuncio? Ci sono vari momenti della nostra vita di singoli e di collettività in cui la situazione contingente è talmente difficile che sembra impedirci di pensare ad altro ma se ci si preoccupa solo di sopravvivere e non si ha un progetto per il futuro si rischia di non avere un futuro.

Anna
Foa,
storica

   
anna foa
Si è inaugurata a Firenze, nell'ex carcere delle Murate, l'edizione italiana della mostra tenutasi a Berlino nel 2011, e curata dagli storici Ulrich Baumann e Lisa Hauff, "Il processo. Adolf Eichmann a giudizio. 1961-2011". L'importanza del processo Eichmann per la costruzione della memoria della Shoah è fondamentale. Si trattò di un evento seguito dalla stampa di tutto il mondo, in cui sfilarono decine e decine di testimoni che raccontarono nei dettagli lo sterminio del popolo ebraico. Un evento che raccolse insieme gli israeliani sopravvissuti ai campi e quelli che venivano dai paesi arabi e non avevano conosciuto la violenza nazista, che sollecitò nel mondo intero l'attenzione, la commozione, la riflessione di storici, filosofi, gente comune, politici, scrittori. Hannah Arendt scrisse dopo avervi assistito un libro molto critico, La banalità del male, che suscitò vivaci polemiche non ancora sopite. Lì, in quell'aula di tribunale, prese avvio quel percorso di presa di coscienza, che la memorialistica fino a quel momento aveva appena iniziato, su cui ancora riflettiamo, su cui ancora ci poniamo domande, sui cui rapporti con l'oggi continuiamo a tormentarci.

davar
Qui Roma - Riflettere sulla Shoah
È una riflessione a più voci sulle dinamiche dello sterminio e sulla necessità di trasmettere un ricordo saldo e consapevole della Shoah contro ogni forma di negazionismo e riduzionismo ad aprire la densa settimana di iniziative, tavole rotonde e inaugurazioni organizzate a Roma in occasione della dodicesima edizione del Giorno della Memoria. Una fitta agenda di appuntamenti che toccherà il culmine con la cerimonia al Quirinale il 27 gennaio mattina alla presenza tra gli altri del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e che negli scorsi giorni ha già vissuto alcune intense occasioni di riflessione aperte alla cittadinanza come l’installazione di 72 pietre d’inciampo nelle strade della Capitale o ancora la commemorazione davanti al Monumento al Deportato del Cimitero del Verano. L’incontro odierno alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, momento che inaugura l’agenda di appuntamenti patrocinati dal comitato di coordinamento per le iniziative in ricordo della Shoah, si è svolto davanti ad un pubblico folto tra cui numerosi rappresentanti delle istituzioni e delle forze di sicurezza, allievi della Scuola, leader ebraici. In apertura di conferenza un indirizzo di saluto del direttore della Scuola, il prefetto Emilia Mazzuca, cui hanno fatto seguito gli interventi del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, del presidente della Fondazione Museo della Shoah Leone Paserman, del presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, del rettore della Hochschule fur judische studien di Heidelberg Johannes Heil e del direttore del Museo della Shoah Marcello Pezzetti. Nelle parole dei relatori un approfondimento a più voci sulle atrocità commesse nei campi di sterminio, sulla specificità della politica razziale fascista e sulla sfida di inculcare una Memoria rigorosa alle nuove generazioni anche alla luce della progressiva scomparsa dei testimoni diretti.

Qui Torino - Italiani, brava gente? 
“Italiani ancora brava gente? Pregiudizio e antisemitismo nell’Italia di oggi”: questo il titolo un po’ provocatorio del convegno ideato e organizzato dall’associazione culturale Anavim, (gruppo nato in seno alla Comunità di Torino nel 2010), presieduta da David Sorani, che si è svolto ieri pomeriggio nelle sale del Museo di Scienze Naturali di Torino.
Il dibattito, sempre e ancora spiacevolmente attuale, ha avuto inizio a partire dall’analisi di un dato sconcertante, emerso della recente Indagine Conoscitiva Parlamentare sull’Antisemitismo, che vede il 44 per cento degli italiani esprimersi in termini assai critici nei confronti degli ebrei. Le domande da porsi sono molteplici: come va letto e interpretato questo dato? Cosa c’è alla base del nuovo antisemitismo? È giusto parlare di “rancore sociale”? Questi e molti altri interrogativi hanno dato il via agli interventi dei relatori e dello stesso pubblico.
Nella prima parte del convegno, moderata da Sorani, si è cercato di svolgere un’analisi e valutazione sociologica-psicologica del tema: Betty Guetta, della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, Dario Padovan, professore di Lettere e Filosofia presso l’Università di Torino e Marcella Ravenna, psicologa sociale dell'Università di Ferrara, attraverso la presentazione delle loro ricerche e dei risultati da esse ottenuti, hanno permesso di leggere in maniera critica quel 44 per cento: un dato aggregato e quindi una semplificazione dello stato attuale dell’antisemitismo. Una vera e propria ideologia antisemita si ritrova in alcune frange dell’estrema destra e dell’estrema sinistra italiana, che assieme costituiscono circa il 12 per cento della popolazione.
Qual è la priorità causale del pregiudizio antiebraico? È la mancanza di una conoscenza diretta sugli ebrei, da cui deriva un’immagine fortemente stereotipata e astratta.
Il pregiudizio antiebraico non è un fenomeno sociale statico o monolitico: si distinguono varie tipologie di pregiudizio: quello definito “classico”, quello “moderno” e quello “contingente”. Quest’ultimo risulta essere il più rilevante per l’indagine attuale: si assiste alla polarizzazione della figura dell’ebreo attorno a due tematiche: la memoria della Shoah e il conflitto Arabo-Israeliano.
Un altro dato allarmante è legato al fatto che il 65 per cento delle persone che si dichiarano antisemite, si definiscono anche anti-islamiche: si tratta di una confusione a livello del pregiudizio stesso, che trasla da un target all’altro. Invece solo il 20 per cento degli anti-islamici è anche antisemita. È il caso di parlare di “traslatività del pregiudizio”?
Nella seconda sessione, moderata dallo storico Claudio Vercelli, si è compiuta un’analisi di tipo storico-politico e si è cercato di capire come “combattere” un sentimento irrazionale come l’odio verso il diverso, in particolare l’odio verso gli ebrei.
L'antisemitismo, secondo rav Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica di Milano, contiene qualcosa che sfugge al razionale, perciò è illusorio combattere qualcosa di irrazionale con la razionalità. Un modo per fronteggiare e combattere l'antisemitismo è esserci, continuare a esserci, vivere da ebrei e farsi conoscere in quanto tali.
Marco Brunazzi, professore di Scienze Politiche e direttore dell'Istituto di studi storici "Gaetano Salvemini" di Torino, definisce paradigmatico il pregiudizio antiebraico, per via della capacità mimetica che ha avuto nei secoli (se non nei millenni). I fenomeni contingenti da tenere in considerazione sono il rancore sociale, la crisi economica e la globalizzazione che comporta inevitabilmente una crisi dell’identità, individuale o collettiva che sia.
L’antisemitismo in Italia, esplicitato dalle leggi razziste e dall’atteggiamento che ne è conseguito, è stato “superato” attraverso la strategia dell’oblio e non della memoria, in modo tale da non attribuire direttamente alcuna responsabilità agli italiani stessi.
Brunazzi solleva un’altra questione importante: come avviene la formazione del pregiudizio oggi? Quali sono i canali di trasmissione oltre al web?
Segue l’intervento di Gian Enrico Rusconi, professore di Scienze Politiche presso l'Università di Torino, che propone di prendere in considerazione non tanto il 44 per cento, ma di soffermarsi sul restante 56 per cento e di instaurare un dialogo: è fondamentale sviluppare un rapporto conoscitivo che vada al di là delle tematiche Shoah-Stato d’Israele, che producono una “claustrofobia delle polarità”.
Se l’antisemitismo è una razionalizzazione dell’odio, ma l’odio è di per sé irrazionale, non dovremmo chiederci da dove ha origine? Deriva dalla paura, la paura dello sconosciuto. Per combattere l’odio è necessario fugare la paura e questo è possibile solamente attraverso una profonda e critica conoscenza.
Il dibattito tra relatori e pubblico ha lasciato aperte molte questioni e ha fatto emergere elementi nuovi su cui varrebbe la pena continuare a ragionare: è necessaria la comunicazione con l’esterno. L’impegno comune sarà di proseguire il dibattito, organizzando altri incontri.

Alice Fubini


pilpul
In cornice - Le dieci piaghe
daniele liberanomePerché sono rarissime le opere d'arte sulle dieci piaghe? Eppure, a leggere le parashot di queste due settimane, nessun soggetto sembrerebbe più adatto: acqua che si trasforma in sangue – ma solo per alcuni, pulviscolo che diventa ulcera, la morte dei primogeniti. Una combinazione di teatralità, sensazioni forti, spiritualità. Perfetto. Ebbene, fatevi un giro su Google o su qualche libro specializzato: non troverete quasi nulla. Pochissimi quadri (due splendidi Turner, un Alma Tadema non troppo riuscito, un Pearce, un interessante Paoletti esposto al Brera) e qualche arazzo. Un'inezia in mille anni di storia europea. E quasi nulla anche nella nostra arte, nessun Chagall, nessun Soutine, pochissime opere israeliane; perfino nelle haggadot illustrate, le piaghe non ricevono di solito un'attenzione particolare. Eccovi allora la mia prima idea sul perché di questa strana assenza; raccoglierei però volentieri anche il vostro punto di vista.
All'arte non ebraica, le piaghe non interessano perché contraddicono una delle principali accuse rivolte alla nostra religione, cioè che il Signore sia lontano da noi e incurante, visione da cui i cristiani ricavano il ruolo di Gesù. Quanto alla nostra arte, la ragione potrebbe essere che la nostra religione, la nostra cultura, è sostanzialmente non vendicativa. Non ci ha mai fatto piacere che gli Egiziani abbiano sofferto. I commentatori mille volte si interrogano sul perché il Signore abbia indurito il cuore del Faraone, causando così sventure al suo popolo. Nel Seder, si versa nel piatto del vino al pronunciare di ogni piaga, in modo che ciascuna diminuisca la nostra abbondanza simboleggiata dal vino (ringrazio rav Della Rocca per questa precisazione), e prima del pasto mangiamo l'uovo sodo che simboleggia anche il lutto. Il male dei nemici non fa felici né noi né i nostri artisti, e quindi è un soggetto che non ci interessa. Ci sono certo le eccezioni – che balzano subito alla mente – ma non cambiano la sostanza.

Daniele Liberanome, critico d'arte


Tea for two - Spettegolando
rachel silveraIl pettegolezzo: un mormorio vicino al caminetto mentre si lavora a maglia, un sibilo serpentino alle spalle. Alle volte un rumoroso fuoco d'artificio che invade i rotocalchi. E proprio l'ultimo, è il caso che fa per noi. Perché questo è un pettegolezzo innocente, la nascita di un nuovo amore, lo spaccato di una dolce vita parigina, una storia alla stregua di Vacanze romane. La principessa ce l'abbiamo e a fare le veci del giornalista che si innamora di lei, abbiamo l'attore comico più apprezzato di Francia. Non avete ancora capito di chi sto parlando? Guardate lo schermo storcendo il naso? Suvvia, è una notizia troppo ghiotta, tanto succosa da non poter essere ignorata nemmeno da chi lancia settimanalmente anatemi ai giornali scandalistici. Ma non indugiamo oltre. La principessa monegasca Charlotte Casiraghi avrebbe lasciato il suo rampollo Alex Dellal per l'attore Gad Elmaleh. Ho iniziato ad ammirare Charlotte al compimento dei suoi diciott'anni, un'estate che ho trascorso, per la verità, a vedere le repliche dell'ispettore Derrick (una prospettiva poco allettante, lo ammetto). Il protagonista maschile di questo amour fou, Gad Elmaleh è apprezzatissimo. I francesi trasferitisi in Israele non si perdono nessuno dei suoi spettacoli esilaranti. Si, perché Gad è un ebreo marocchino legatissimo alle sue origini. Ha girato anche un film, Coco, nel quale è un cafone arricchito che vuole organizzare un mega Bar Mitzvah per il suo figlioletto adorato, ma sopratutto per dimostrare a tutti il suo status dorato. Anche l'ex storico di Charlotte, Dellal, è di origine ebraica. Come si può però resistere al fascino del simpaticissimo Elmaleh? Anche le donne altolocate non possono non preferire la risata assicurata alla gabbia dorata. E con questa rima del tutto spontanea, aspettiamo conferme o smentite.

Rachel Silvera, studentessa

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notizie flash   rassegna stampa
A Coreglia Ligure un monumento
per ricordare Nella Attias
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Inaugurato nella piazza di Coreglia Ligure il monumento alla memoria di
di tutti i morti del campo di Calvari e di Nella Attias, la bambina ebrea di 6 anni che venne deportata ad Auschwitz il 21 gennaio del 1944 e poi uccisa in una camera a gas. A  Calvari  i nazisti avevano allestito un primo campo di concentramento. Recandosi sul luogo il rabbino capo della Comunità ebraica di Genova, Giuseppe Momigliano, il presidente della Provincia di Genova, Aldo Repetto e Giorgio Viarengo in rappresentanza dell'Anpi, hanno ricordato gli ebrei italiani imprigionati e uccisi a Calvari.  





 
 
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