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24 febbraio 2012 - 1 Adar 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


"Fatemi un Santuario e risiederò in mezzo a loro". Secondo una famosa interpretazione rabbinica questo verso della parashà di Terumà esprime un'idea fondamentale dell'ebraismo. Dio non risiede nel Santuario ma nel cuore di ognuno di noi ("in mezzo a loro"). Ma se è così che bisogno c'è di un Santuario? Rabbì Yehudà Halevì risponde che il Santuario è un simbolo della presenza di Dio ma i simboli sono necessari anzi indispensabili. Si sente spesso parlare di un ebraismo interiore che non avrebbe bisogno di rituali esterni. Questa concezione non tiene conto però della natura umana e delle necessità per l'uomo di simboli rituali. Noi abbiamo bisogno di una cornice che ci aiuti a esprimere sentimenti ed emozioni e la presenza di Dio che è in ognuno di noi.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
In un articolo di prossima pubblicazione per "La Rassegna Mensile di Israel", Daniela Mantovan riporta un brano del testamento di Sholem Aleykhem, il padre della letteratura yiddish, morto nel 1916: "Al mio funerale e per tutto il primo anno, e poi nella ricorrenza annuale del giorno della mia morte, il figlio che mi è rimasto e mio genero dovrebbero recitare il Kaddish per me. Ma se non fossero propensi a farlo, o se fosse contrario alle loro convinzioni religiose, possono essere esentati da questo compito solo se si riuniranno insieme alle mie figlie, ai miei nipoti e a buoni amici, leggeranno il mio testamento, sceglieranno uno dei miei racconti, uno tra quelli più divertenti, e lo reciteranno nella lingua a loro più comprensibile; e che il mio nome sia ricordato ridendo, piuttosto che non ricordato affatto".
davar
Sulle tracce degli ebrei di Oria
Invitato a Oria (Brindisi) dalla sede locale dell’Archeoclub d’Italia, il rabbino capo di Napoli e del Meridione Scialom Bahbout ha visitato il cimitero ebraico sito nell’area adiacente al parco Oria-Lorch. Rav Bahbout era accompagnato dall’avvocato Yehudà Pagliara, membro residente in Puglia della Comunita napoletana. L'area del cimitero, importante testimonianza della fiorente realtà ebraica di Oria nei secoli dell'Alto Medioevo, è stata individuata dall’Archeoclub, che ha anche svolto una ricognizione della necropoli attirando l’interesse del mondo accademico e scientifico nazionale. L'evento ha perciò rivestito notevole rilevanza per il territorio coinvolgendo molteplici aspetti di tipo culturale, sociale, religioso e di ricerca. Appena giunto a Oria, Rav Bahbout è stato ricevuto dal vescovo monsignor Vincenzo Pisanello nel Palazzo Vescovile; l'incontro tra i due è stata la simbolica conferma dell’antica amicizia che per lungo tempo la comunità cristiana oritana intrattenne con i concittadini della comunità ebraica. Il Rav ha poi visitato il cimitero, momento culminante della giornata, alla presenza tra gli altri del sindaco Cosimo Pomarico, del presidente della Provincia di Brindisi Massimo Ferrarese e del consigliere regionale Toni Matarrelli. L’assessore regionale al Mediterraneo, cultura e turismo Silvia Godelli ha inviato una lettera di adesione. Successivamente Rav Bahbout si è intrattenuto nel quartiere ebraico, accolto dal capitano del Rione Giudea Giovanni Lomartire e da una rappresentanza di persone del quartiere. La visita si è conclusa alla biblioteca comunale De Pace – Lombardi, dove è custodita la celebre Stele Ebraica altomedievale e con il saluto ufficiale del sindaco Pomarico a nome dell’intera popolazione oritana. "La portata storica e culturale di questo avvenimento – spiega Barsanofio Chiedi, presidente dell’Archeoclub d’Italia sezione di Oria – è da ritenersi ampia; sono certo che la visita del rav Scialom Bahbout si rivelerà fondamentale per il recupero e per la salvaguardia del cimitero ebraico. Non solo: da qui partirà un nuovo corso nel rapporto tra Oria e la comunità ebraica internazionale. Il luogo dov’è sita la necropoli, avendo alto valore archeologico e di sacralità, sarà preservato e conservato così come ci appare, con il suo particolare contesto ambientale che presenta sulla collina alberi d’ulivo, terrazzamenti con muri a secco e macchia mediterranea. L’Archeoclub di Oria si attiverà, coinvolgendo i proprietari, perché l’area sia tutelata e fruita nel rispetto totale di quanto è contenuto". Rav Bahbout ha poi espresso l’interesse personale e della Comunità a seguire il processo di sistemazione dell’antico cimitero e della possibilità di includere Oria negli itinerari turistici ebraici.

Qui Firenze - Quei giovani che ci hanno unito
 Il 1911 è stato un anno importante per l'Italia e per i suoi ebrei, perlomeno per le élite delle Comunità. In quei mesi si celebrava infatti il cinquantennale del Regno in un clima di sostanziale fiducia "su I destini della Nazione", governante Giovanni Giolitti, e con un re, che salito al trono dopo l'assassinio del padre, appariva allora un sovrano aperto e privo di tentazioni assolutistiche. Il Paese celebrò i cinquanta anni dell'Unità con esposizioni nelle tre capitali storiche: Torino, Firenze e Roma. Di pari passo la cultura si stava avviando verso nuove espressioni superando il positivismo e la retorica post-risorgimentale. In questo quadro gli ebrei della Penisola erano considerati tra i più emancipati, ricoprendo cariche nell'esercito, nei palazzi del potere, nell'accademia e nel giornalismo. L'israelitismo, la religione israelitica dei figli dei ghetti si era fossilizzata in un culto sempre più basato in rituali di routine, mentre le giovani generazioni si erano perfettamente inserite condividendo gli ideali dei loro coetanei, in diverse ideologie. Già alla fine del primo decennio del secolo si manifestarono i primi segni di un nuovo indirizzo anche in campo ebraico. A Firenze, centro di fermenti di rinnovamento intellettuale - basti pensare alle riviste che vi venivano pubblicate, la Comunità ebraica aveva come rabbino rav Shemuel Zevì Margulies, galiziano, di formazione tedesca, che si era impadronito della lingua italiana in brevissimo lasso di tempo, dirigendo il Collegio Rabbinico che era qui passato da Roma e maestro carismatico di allievi e di discepoli, anche al di fuori dell'Istituto che era stato di Shemuel David Luzzatto e Lelio Della Torre. Qui venne fondata La Rivista Israelitica, espressione di studi e saggi ad opera dei docenti e dei futuri maestri al livello di quelle pubblicate nei grandi centri di Israele. Un gruppo di giovani di fine intelletto ed entusiasmo creativo fondò inoltre la Pro Cultura, per la diffusione e lo studio del retaggio ebraico, che si propagò in altre città, prototipo dei circoli, "convegni' che hanno operato lungo tutto il Novecento. La Settimana Israelitica diretta all'inizio da rav Margulies si aggiunse con spirito innovatore alle due preesistenti testate di indirizzo opposto, Il Vessillo Israelitico - israelitico nell'indirizzo legittimista sabaudo - e Il Corriere di Dante Lattes, a Trieste, aperto alle nuove correnti, in primis al sionismo, che pochi anni dopo, unitosi al periodico fiorentino, darà vita all'Israel, gloriosa testata nei decenni a venire.
Il 1911 costituì, nel medesimo tempo, una tappa, ma soprattutto, un ulteriore salto di qualità e di attività che ebbe in Firenze il suo centro propulsore. L'appello lanciato nell'estate da un gruppo di giovani per un incontro, per uno scambio di idee, sfociò a fine ottobre nel Primo Convegno Giovanile Ebraico Italiano. Con commozione ne leggiamo la cronaca nel numero speciale della Settimana del 9 novembre, come la lettura degli scritti e le polemiche dei mesi precedenti ci fanno rivivere l'entusiastica, appassionata atmosfera di quei giorni. Ci imbattiamo in nomi che abbiamo conosciuti da adulti e anziani o solo incontrati nello studio o nei racconti. I Bahurei Israel di Firenze, i giovani di rav Margulies, prima di tutti Alfonso Yehudà Menahem Pacifici, rav Elia Shemuel Artom, rav Umberto Moshè David Cassuto, rav Armando Sorani, l'avvocato Edgardo Morpurgo, l'avvocato Carlo Alberto Viterbo di benedetta memoria.
E nuovamente a Firenze abbiamo fissato di ritrovarci a fine febbraio, per rievocare quel primo convegno, primo di altri tre, a Torino (1912), Roma (1914) e il "mitico" di Livorno del 1924.
I relatori ricorderanno i temi e le deliberazioni di quelle storiche giornate che senza esagerazione hanno illuminato, direttamente e per trasmissione, tutto il secolo in varia misura. I cento anni contrassegnati dalla più grande tragedia del popolo ebraico, ma pure dalla concretizzazione del sogno dei convenuti all'incontro fiorentino: la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel.
Che la memoria del passato ci sia di sprone per affrontare le sfide del presente e del futuro.

Reuven Ravenna, Italia Ebraica, marzo 2012

Convegno per il centenario del primo Congresso giovanile ebraico 
Domenica 26 febbraio (Comunità ebraica di Firenze – Sala Sadun)

Ore 10.15 Saluto del Presidente della Comunità ebraica Guidobaldo Passigli e del Presidente dell'Unione Giovani Ebrei d'Italia Daniele Massimo Regard
Ore 10.30 Reuven Ravenna: “Firenze ebraica nel Novecento italiano: riflessioni in un centenario”
Ore 11.00 Bruno Di Porto: “L’Ebraismo italiano nel primo quindicennio del Novecento”
Ore 11.30 Coffee break
Ore 12.00 Mario Toscano: “I convegni giovanili ebraici (1911-1924) e la storia dell’Ebraismo italiano nel Novecento”
Ore 12.30 – 13.00 Domande ai relatori e discussione
Ore 13.00 – 14.00 Intervallo e pranzo
Ore 14.15 Alberto Cavaglion: “1911. I vecchi e i giovani: due generazioni a confronto mezzo secolo dopo l’Unità”
Ore 14.45 Elisabetta Schachter: “ Samuel Hirsch Margulies: il Gran rabbino d’Italia mancato?”
Ore 15.15 Tobia Zevi: “Cittadini del mondo, un po’ preoccupati”
Ore 15.30 Monica Miniati: “Rinnovamento ebraico e questione femminile”
Ore 15.45 Liana Elda Funaro: “In margine al Convegno: alcune presenze”
Ore 16.30 Domande ai relatori, discussione e conclusione della giornata
Presentatore e moderatore Renzo Bandinelli

pilpul
Respingimenti
Anna Segre Se per il dizionario indica semplicemente “l’atto del respingere”, oggi la ricerca su Google lega la parola alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia per i migranti respinti in Libia nel 2009. Il termine in questi ultimi tempi sembrava uscito dalla cronache e dai dibattiti, ma per caso lunedì scorso a Torino è stato presentato in Comunità il libro di Silvana Calvo intitolato A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945. Cos’hanno in comune, oltre all’uso dello stesso termine, le due situazioni? Certo, il contesto storico è completamente diverso (e sappiamo bene quanto siano pericolosi i paragoni troppo facili con la Shoah); ma in entrambi i casi c’è uno stato democratico che non ritiene di doversi assumere la responsabilità per il destino delle persone respinte al di là dei propri confini; e in entrambi i casi c’è anche da parte di qualcuno la convinzione di fare in qualche modo il loro bene: in Italia si insiste spesso sulle misere condizioni in vivono cui gli immigrati, in Svizzera c’era chi affermava che era necessario respingere gli ebrei per evitare che nel Paese si diffondesse l’antisemitismo. Mi sembra che questo tipo di argomentazioni venga tirato fuori quando si ragiona sul quadro d’insieme e non sulle persone singole: ci si domanda quale sia il bene di una categoria generica, e non di uno o più individui in carne ed ossa. Se ogni volta che si deve decidere del destino di qualcuno si dovesse tener conto delle prospettive di una regione, di un Paese, o addirittura del mondo intero, salvare una singola vita umana talvolta potrebbe apparire inutile: perdere di vista i casi concreti può diventare dunque molto pericoloso. Per questo mi sembra interessante il fatto che la sentenza della Corte europea non riguarda la politica italiana verso gli immigrati in generale, e neppure una legge, ma la specifica vicenda di un gruppo di singoli individui ciascuno con la propria storia.

Anna Segre, insegnante 


notizieflash   rassegna stampa
Shabbat Terumà   Leggi la rassegna

Questo Shabbat leggeremo nella parashah di Terumà l’ordine di costruire il Santuario e con esso di fabbricare una lampada d’oro a sette braccia. "È la famosa menorah, dal grande valore simbolico, che dall’antichità fino ad oggi ha rappresentato fisicamente l’ebraismo" spiegava lo scorso anno il Rav Riccardo Di Segni su queste pagine, prendendo ad esempio anche un altro importante simbolo, quello del Maghen David. Da moltissimi anni questa parashah è legata ad offerte in favore del Collegio Rabbinico Italiano. Una tradizione che dura ormai da 20 anni e che ha aperto la strada a iniziative analoghe in campo ebraico. "Si tratta, almeno per quanto riguarda il Collegio, di offerte destinate alla formazione dei giovani e alle varie attività della Scuola rabbinica" chiarisce il Rav sottolineando quanto queste attività siano vitali per una Comunità ebraica, per la sua crescita sia intellettuale che spirituale. 
 
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