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1 marzo 2012 - 7 Adar 5772
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Dalle parole della Torà si ricava che il Mishkàn, il Santuario mobile, verrà santificato e consacrato non dalla sua struttura, dai suoi arredi, anche se conformi alle indicazioni divine, non dal luogo scelto da Ha-Kadòsh barùkh Hu, ma solo dalla Gloria di D.
Ciò vale anche per noi. Il tenere in casa oggetti legati alla tradizione o al rito, come le Chanukkià, un'antica meghillà del bisnonno, la catenina con Nomi divini al collo, la mezuzà sulla porta o libri ebraici sulla mensola, non santifica né noi né la nostra casa; usare gli stessi libri per la tefillà e lo studio, vedere nella mezuzà un monit a praticare il nostro Ebraismo in casa e fuori, usare lo tzitzìth come promemoria di tutte le mitzwòth, ci potrà invece rendere partecipi della Santità di D. stesso.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
All'Unione Europea, alcune persone pensano che vi sia un problema di antisemitismo in Europa. Pertanto, per iniziativa e sotto l'egida della FRA – Fundamental Rights Agency, l'Agenzia per i diritti fondamentali – con sede a Vienna, si sta cominciando a elaborare un'indagine conoscitiva dell'estensione e della profondità del fenomeno. L'indagine verrà condotta in nove paesi europei, inclusa l'Italia, nel corso del 2012, e il fatto più significativo è che studierà in particolare il punto di vista degli ebrei sulla questione. Si cercherà dunque di capire, per la prima volta, che cosa gli ebrei dei paesi membri dell'UE pensano e percepiscono siano le cause di un disagio molto diffuso e ormai innegabile in tutti i paesi del continente. Nella proposta iniziale degli esperti della FRA, il tema centrale era quello dell'odio e della discriminazione, della molestia quotidiana e della violenza fisica antiebraica. Ma gli esperti provenienti da diverse situazioni ebraiche in Europa e in Israele che fungono da consulenti a questa iniziativa, hanno sottolineato come invece – senza trascurare le forme più violente e plateali di aggressione – quello che veramente preoccupa è molto più sottile e indefinito. Sono le sottili allusioni, i due pesi e le due misure nella stampa e nei media, il discorso trasandato ma sempre inevitabilmente sbilanciato in una direzione di molti politici, e finalmente l'inevitabile coinvolgimento di motivi legati al conflitto Israeliano-Palestinese nella percezione pubblica delle Comunità ebraiche locali. L'indagine includerà un invito ai partecipanti a definire quali siano i problemi principali, chi debba affrontarli per primo, e con quali strumenti.

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davar
L'Iran conquista l'Oscar, Israele conquista Hollywood
Nella notte degli Oscar, dai salotti delle loro case gli israeliani hanno fatto spasmodicamente il tifo per Footnote. Dopo di che, finita la festa, si sono infilati le scarpe e sono andati a mettersi in coda per vedere A separation. Il film iraniano fresco vincitore dell’Academy Award per la miglior pellicola straniera è uscito nelle sale cinematografiche di Gerusalemme a metà febbraio e da allora sbanca i botteghini. Troppo forte la curiosità di sbirciare oltre le pesanti tende del fanatismo dei leader politici iraniani per scoprire come vive a Teheran una famiglia media nel privato della sua abitazione. Cioè in modo non molto diverso da una famiglia di Tel Aviv, come ha rilevato il critico Yair Raveh sulla rivista cinematografico Pnai Plus. “A separation è un film bene interpretato, scritto in maniera eccezionale, incredibilmente commovente. In definitiva, non fa pensare a bombe atomiche e dittatori che minacciano la pace nel mondo, ma a persone che guidano la macchina e vanno al cinema. Proprio come noi”. Somiglianza e identificazione. Queste le sensazioni che l’opera del regista Asghar Farhadi, la storia della separazione di una coppia di coniugi (lei vuole andarsene dall’Iran per dare un futuro migliore alla figlia, lui non vuole abbandonare l’anziano padre), suscita nel pubblico dello Stato ebraico. Sensazioni simili a quelle provate dalla troupe di Footnote nel vedere salire sul palco del Kodak Theatre la squadra di A separation e dedicare l’agognata statuetta agli iraniani in tutto il mondo “perché in un tempo in cui si parla tanto di guerra e di minacce, il nostro paese è oggi celebrato per la sua gloriosa cultura, una cultura ricca e antica, coperta dalla polvere dei politici”. Durante una pausa, Joseph Cedar, Shlomo Bar-Aba e Lior Ashkenazi, il regista e i due attori protagonisti di Footnote, sono andati a congratularsi con loro insieme al produttore Moshe Edery. Bar-Aba li aveva già incontrati in albergo. “Ho spiegato che Footnote descrive un conflitto familiare, l’attrito fra un padre e un figlio - ha dichiarato l’attore al quotidiano Haaretz - Mi hanno risposto che A separation racconta le stesse cose. L’attrice iraniana ha aggiunto che ‘entrambi abbiamo la volontà di risolvere l’ostilità fra i nostri due paesi, ma non abbiamo tempo per farlo perché siamo impegnati a risolvere i nostri contrasti familiari, e da lì nasce tutto’. E mi ha invitato a notare quanto siamo simili”.
Ma questo non è stato l’unico confronto emozionante per la delegazione israeliana, che ha ricevuto i complimenti di Steven Spielberg, di George Clooney (“si è messo a scherzare con me in yiddish” ha rivelato Bar-Aba) e persino quelli della regina degli Oscar Meryl Streep, alla terza statuetta in carriera grazie alla performance in The Iron Lady.
“La vittoria di A separation, dopo tutti i premi che aveva già conquistato, era prevedibile - spiega Every - Cedar continuava a ripetere di non farci illusioni. Ma d’altra parte lui è fatto così, un concentrato di umiltà. Non credeva che avremmo ricevuto la nomination e anche a Cannes se n’è andato prima della premiazione. Salvo poi dover tornare di corsa per ricevere il riconoscimento per la miglior sceneggiatura. La modestia è la sua grandezza”.
Il cinema israeliano dovrà aspettare ancora per mettere in bacheca il suo primo Oscar, ma con quattro nomination consecutive negli ultimi quattro anni (Beaufort dello stesso Cedar, Valzer con Bashir e Ajami) può comunque essere soddisfatto. “Nessun altro paese delle nostre dimensioni è riuscito a fare tanto” ha sottolineato Katriel Schory, direttrice dell’Israeli Film Fund.
“Quando siamo arrivati agli Academy Awards con Beaufort, Cedar mi disse che saremmo tornati. Ed eccoci qui oggi - conclude Edery - Sono sicuro che domani verrà da me domandandosi che cosa dobbiamo fare per vincere il prossimo Oscar”.

Rossella Tercatin - twitter@rtercatinmoked

Zevadia, ambasciatrice del riscatto
“Un messaggio forte e chiaro contro ogni forma di razzismo e discriminazione nella nostra società”. Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri non particolarmente amato dall'opinione pubblica internazionale, commenta così la nomina di Belaynesh Zevadia ad ambasciatrice di Israele in Etiopia. È un giorno storico per Israele e per la sua folta comunità etiope: è la prima volta infatti che un esponente dei Beta Israel (i molti etiopi emigrati nel paese dagli anni Settanta del secolo scorso) viene scelto come rappresentante diplomatico dello Stato ebraico. La decisione arriva sulla scia di recenti episodi di intolleranza che hanno fatto discutere sullo stato di integrazione di una realtà che, a distanza di circa un trentennio dal suo primo insediamento, non sembra ancora perfettamente amalgamata con le tante anime e identità di Israele. Tra i casi più eclatanti riportati dai media nazionali, la pubblicazione di un rapporto secondo il quale alcuni abitanti di Kiryat Gan, città del Distretto Sud, si sarebbero rifiutati di affittare i propri appartamenti a famiglie Beta Israel. Un episodio che aveva suscitato lo sdegno di molti e a cui era seguita una partecipata manifestazione di protesta davanti al Parlamento.
In Israele vivono oggi oltre 100mila ebrei falascià. Frequenti sono purtroppo i casi di degrado e di alienazione anche se con lo scorrere del tempo, nel passaggio da una società tribale a un mondo decisamente più moderno e tecnologizzato, la strada percorsa dalle nuove generazioni, dai più giovani, fa ben sperare. La nomina della 43enne Zevadia, emigrata in Israele in età adolescenziale, è in questo senso esemplare. Ricco curriculum di studi, esperienze professionali in Texas e Illinois, la neo ambasciatrice è consapevole di aver aperto una breccia decisiva. “La mia nomina – ha commentato emozionata – è la prova che lo Stato di Israele dà opportunità a tutti, anche agli immigrati”.

a.s. - twitter@asmulevichmoked

Qui Roma - La collana della Memoria
Memorie, diari e lettere riguardanti esperienze di guerra, di prigionia e di deportazione. Filo Spinato, la nuova collana della casa editrice Marlin dedicata alla ricostruzione di alcuni tra i periodi più drammatici di storia novecentesca attraverso le parole di chi ne fu artefice e vittima, è stata presentata ieri pomeriggio alla Casa della Storia e della Memoria di Roma. All'incontro hanno preso parte i due curatori, gli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri, la storica Elena Aga-Rossi, Grazia Di Veroli (ANED Roma) e Annamaria Casavola (ANEI). Due i volumi finora pubblicati per Filo Spinato: Ho scelto il lager – Memorie di un internato militare italiano di Aldo Lucchini e Gli zoccoli di Steinbruck – Peripezie di un bersagliere tra guerra e lager di Pompilio Trinchieri. Nel corso della serata è toccata alle figlie degli autori, Alda Lucchini e Rita Trincheri, rievocare le vicende di dolore e speranza che palpitano dietro ad entrambi i testi. Una testimonianza che ha commosso la platea. “È singolare notare come nel nostro paese le maggiori depositarie della memoria siano proprio le donne” ha spiegato in apertura Avagliano, fresco autore assieme a Palmieri dell'opera Voci dal lager per Einaudi.

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pilpul
L'educazione
Il Tizio della SeraSiamo continuamente di fronte a due pesi e due misure. Viene fatto notare che se è grave che soldati americani occupanti brucino il Corano, non si capisce perché non sia grave esibire lo stesso libro come supporto mistico al massacro di un prigioniero. Il paragone calza, ma è come chiedere a due alieni come mai attraversino col rosso e loro ti rispondano per quale pazzo motivo tu non faccia come loro che agli incroci frenano col pensiero. Il monopolio della verità sfugge, e la domanda sui due pesi e le due misure andrebbe esplicitamente rivolta a noi stessi, alle società occidentali. È proprio qui, da noi, che si scatena la critica all’occupazione dell’Afganistan e poi nessuno batte ciglio se ogni giorno in Siria muoiono cinquanta civili. Ma poi bisognerebbe fermare quella deriva reazionaria a causa della quale si imputano agli “altri” la grave differenza di mentalità e lo sguardo “arretrato”:  non sono la guerra e l’ostilità a modificare la sensibilità dei popoli, ma la pace giorno dopo giorno. Sino al 1981 per il codice penale italiano il reato di “delitto d’onore” riduceva l’assassinio di una donna adultera a un drammatico ma comprensibile lavacro d’onore. Per fortuna nessuno invase l’Italia e la bombardò - non so se ve ne siate accorti.

Il Tizio della Sera

Lavoro
Tra i vari compiti che spettano al governo Monti c’è la riforma del mercato del lavoro. Una necessità dovuta a un sistema penalizzante soprattutto nei riguardi dei giovani. Se pensiamo che tre giovani italiani su dieci sono disoccupati, non è irrealistico ipotizzare che dall’azione del governo dipenderà il futuro di questo Paese. Se infatti l’esperienza all’estero è un’opportunità di crescita, l’emigrazione massiccia di giovani all’estero è una tragedia. Una situazione che potrebbe riguardare anche i giovani ebrei italiani, che, ovviamente, percepiscono gli stessi problemi dei loro coetanei e che, troppo spesso, sono costretti ad andare all’estero per trovare un lavoro adeguato. Una legge che sappia garantire maggiore flessibilità, accompagnata da maggiori garanzie, sarebbe l’ideale per permettere l’aumento dei posti di lavoro. Per questo non è assurdo affermare che la questione ci riguarda da vicino e il suo buon esito influirà anche sul futuro dell’ebraismo italiano.

Daniel Funaro, studente

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notizieflash   rassegna stampa
Qui Roma - Un derby contro il razzismo   Leggi la rassegna
Roma e Lazio unite contro chi vuole trasformare le curve in luoghi di odio e di intolleranza. Prima del derby capitolino in programma domenica prossima i giocatori delle due compagini, facendo il loro ingresso in campo, saranno infatti accompagnati da alcuni giovanissimi supporter che esibiranno una maglietta speciale in cui chiaro e forte si dice no al razzismo negli stadi. L'iniziativa, che ha la regia del presidente dell'Assemblea Capitolina Marco Pomarici, prende impulso dai recenti cori antisemiti cantati durante l'ultimo Lazio-Fiorentina. “Si tratta – commenta al Romanista l'assessore alle relazioni esterne della Comunità ebraica di Roma Ruben Della Rocca – di un primo significativo passo nella lotta al razzismo per il quale ringrazio il presidente Pomarici, la Roma e la Lazio. Mi auguro che adesso tutte le componenti del mondo del calcio e della società civile uniscano le loro forze per realizzare altri eventi così propositivi ed efficaci”.
 
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