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4 marzo 2012 - 10 Adar 5772
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

La memoria di ciò che ci ha fatto Amalek deve essere, secondo le indicazioni dei Maestri, nel cuore e nella bocca. Non basta quindi interiorizzare il ricordo: è necessario esprimerlo, leggendone ogni anno in pubblico il contenuto dal Sefer Torah. Memoria ebraica è dunque un incontro di sentimento, pensiero e comunicazione.

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Tra due settimane sarà in Italia lo storico Georges Bensoussan. Non sarà solo un’occasione per ascoltare un intellettuale di grande rilievo, ma anche un’opportunità per affrontare alcuni luoghi comuni diffusi anche nel mondo ebraico e che riguardano la nascita di Israele. Temi che sono al centro del suo lavoro di storico.
Come tutte le realtà nazionali sorte tra ‘800 e ‘900 Israele è nato in conseguenza di molte cose: un movimento nazionale, un sistema scolastico e universitario, un sistema produttivo, una lingua nazionale, un apparato di difesa, un sistema sanitario, un’ideologia, un sistema dei partiti politici, una rete di giornali, un sistema d’informazione, un’enciclopedia nazionale, un’idea di sviluppo, un sistema dei trasporti, una classe politica. Tutto questo esisteva già nel 1939 ed era il risultato di un confronto interno, anche duro. Credere che Israele sia nato perché c’è stata la Shoah come molti pensano (anche nel mondo ebraico) significa ritenere che quella realtà sia una concessione, un regalo, il risultato di una distrazione o di un capriccio. E dunque, come tutte le cose che non sono il risultato di una storia lunga, prima, sia anche revocabile.

davar
Melamed - Quando lo Shabbat entra in gioco
BasketPur sconfitti in finale, gli atleti della Beren Academy si sono tolti una soddisfazione non da poco: finire sulle pagine dei giornali di mezzo mondo, tutelare il rispetto dell'identità ebraica. Zach Yoshor, uno dei giocatori di punta, autore di 24 punti nella semifinale contro i Dallas Covenent, dichiarava alle soglie della finale del campionato nazionale di pallacanestro delle scuole private e religiose americane, poi persa contro Abilene Christian: “È stranissimo, una sensazione pazzesca: credo che sia stata la settimana più ricca di emozioni di tutta la mia vita. Passare dalla delusione cocente di pochi giorni fa a questa gioia è incredibile”.
La Beren Academy è una scuola ebraica ortodossa di Houston, Texas. Senza retorica, al di là dell'aspetto meramente agonistico, la grande vittoria per questi ragazzi era stata proprio quella di poterla disputare questa benedetta semifinale, notizia arrivata alla squadra e a tutti i suoi sostenitori solo 24 ore prima dell'incontro.
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Ada Treves twitter @atrevesmoked


Razzismo negli stadi - "Una maglietta non basta"
Vittorio PavoncelloUna maglietta in cui si dice no al razzismo e all’antisemitismo sarà esibita questo pomeriggio dai 22 bambini incaricati di accompagnare in campo i titolari del derby tra Roma e Lazio in programma alle 15 allo Stadio Olimpico. Un’iniziativa, sostenuta dalla Comunità ebraica di Roma e dall’Assemblea Capitolina presieduta da Marco Pomarici, che ha visto la piena adesione delle società coinvolte e che vuol essere un monito ad estirpare la piaga del pregiudizio, dell’intolleranza e della xenofobia nelle curve degli stadi italiani. Accolta con plauso bipartisan come importante segnale nella lotta all’odio, questa forma di iniziativa non convince però del tutto Vittorio Pavoncello, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e storico presidente della Federazione Italiana Maccabi.
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Qui Casale - Ester, da Regina a Donna
Ester CasalePer dare l’avvio ai festeggiamenti di Purim, le attività culturali alla Comunità Ebraica di Casale Monferrato nel pomeriggio di oggi propongono un appuntamento particolarmente atteso: l’incontro “Ester da Regina a Donna – Un simbolo di solidarietà, modernità e riscatto nel proprio ruolo di genere” con Daniela Sironi e Sonia Brunetti, presentate dalla vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De Benedetti.
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pilpul
Davar Acher - Purim e il nostro presente
Ugo VolliDa due millenni e passa celebriamo Purim; e come tutte le ricorrenze ebraiche lo facciamo non per esaltare la gloria dei protagonisti, secondo il modello storico greco, o per curiosità antiquaria, o per puro amore della scienza, secondo l'etica universitaria moderna, ma per imparare. Dobbiamo dunque sempre interrogarci sul nostro rapporto con quella storia, su quel che dice a noi oggi. Tanto più che in fondo la vicenda di Purim non è così diversa nel suo nucleo strutturale da quella di Amalek (e infatti i maestri cui dobbiamo il nostro calendario liturgico istituiurono Shabbat Zakhor subito prima di Purim, e la tradizione indica Haman come amalecita), ma anche di Hannukkah e di Pesach, feste consecutive nel primo semestre del calendario ebraico: c'è sempre un oppressore che ci assale, che cerca di distruggere il nostro popolo, c'è una resistenza che deve anche superare la debolezza, se non proprio l'inazione e la debolezza del popolo (le mormorazioni degli anziani prima delle piaghe, le braccia tese di Moshé che si piegano per la stanchezza, il collaborazionismo con i dominatori ellenisti, le esitazioni di Ester. Ma poi la salvezza arriva, con un intervento divino diretto e proclamato, come per Pesach, con il miracolo evidente come nel caso della battaglia con Amalek, o per l'azione umana quando il divino si occulta, come nel caso di Purim e forse anche di Hannukkah (dove il miracolo avviene dopo la vittoria). L'insegnamento è ottimistico e incita in tutti i casi all'azione, allo sforzo e all'impegno personale, non all'attesa passiva dell'intervento divino, com'è chiaro nel momento culminante dell'uscita dall'Egitto, quando si tratta di affrontare il mare e Moshé è invitato ad agire, invece che a lamentarsi.
Ora, se noi ci chiediamo se possiamo applicare questo schema alla nostra storia attuale, la risposta non può che essere affermativa. Il popolo ebraico ha subito nei tempi recenti la Shoah e ne è sopravvissuto, sia pure con gravissime perdite, e ora, come nella conclusione della storia di Purim o delle altre storie che ho citato è più libero e prospero di prima. Per metà o più è rientrato in Terra di Israele, si autogoverna, vive una straordinaria stagione di produttività culturale e di benessere materiale. In altri tempi e con altri linguaggi diremmo che siamo testimoni di uno straordinario miracolo. Certo, alcuni che si considerano ultrareligiosi dicono che il popolo ebraico non doveva “salire sul muro” e doveva restare nell'esilio (ma costoro sarebbero rimasti in Egitto, a suo tempo, certo non avrebbero creduto a Moshé) o magari si lamentando del carattere laico dello Stato, come già non tutti gli ebrei approvarono il comportamento di Mordecai, troppo impegnato a salvare gli ebrei per studiare in yeshivà, come ha fatto giustamente notare Anna Segre un paio di giorni fa. E del resto è noto che i maestri furono incerti a lungo se inserire la Meghillà nel canone delle scritture ebraiche, forse anche perché se non proprio il testo – chissà – almeno le lettere che lo raccomandavano erano di mano femminile.
Ma poi approvarono il testo e noi abbiamo l'obbligo di leggerlo anche se racconta azioni in apparenza solo umane, senza mai citare direttamente la presenza divina. E magari fra secoli il nostro tempo sarà ricordato come un altro Purim, un momento miracoloso della nostra storia, anche se Ben Gurion non portava la kippà (ma a modo suo studiava la Torah). Noi siamo testimoni di quel ritorno che per millenni è stato sognato e sperato e pregato e per questo abbiamo l'obbligo di essere doppiamente felici per Purim. Non è come se l'avessimo sperimentato, non è che “ciascuno di noi deve considerarsi come se fosse stato personalmente salvato dall'Egitto”, secondo quel che dice la Haggadah di Pesach; noi siamo effettivamente testimoni dell'esistenza di Israele, “germoglio della nostra redenzione”, come diciamo pregando.
Le storie ebraiche finiscono bene, sono talvolta raccontate nei modi della narrativa popolare, com'è il caso della Meghillà. Ma non sono fiabe e quindi il lieto fine è solo parziale. Lo stesso carattere ripetitivo dello schema oppressione-liberazione che ho evocato è allarmante, soprattutto se lo integriamo con le volte in cui vi è stata solo oppressione e magari poi faticosa e difficile sopravvivenza, non liberazione trionfale: la doppia caduta del Tempio, la cacciata di Spagna, i cicli terribili delle persecuzioni delle Crociate e nella Polonia del Seicento, per citare solo alcuni episodi. L'obbligo di ricordarsi di Amalek, cioè delle persecuzioni, che Shabbat Zakhor ha ribadito solennemente, è importante soprattutto nei periodi felici. E infatti i candidati al ruolo di Amalek o di Haman o di Hitler non mancano mai. Sicché è ragionevole sostenere che noi siamo oggi non solo nei capitoli finali della Meghillà, ma anche in quelli iniziali, in cui l'oppressore prepara la strage. Uno di questi nuovi Haman è di nuovo il governatore dell'impero persiano e domani lunedì il primo ministro di Israele incontrerà l'uomo più potente del mondo (il nuovo incerto e seducibile Achashverosh?) per convincerlo a non abbandonare Israele nelle grinfie di Haman. Possiamo solo sperare che ci riesca, che la sua lucidità e la sua forza morale prevalgano anche sulle resistenze interne al nostro popolo, prima che una nuova difficilissima prova di coraggio e un nuovo rischio di genocidio ci si presenti davanti.

Ugo Volli

notizieflash   rassegna stampa
Washington - Al via la convention Aipac   Leggi la rassegna

Si apre oggi a Washington la Conferenza dell’American Israel Pubblic Affairs Comitee (Aipac). Previsti per la sessione inaugurale gli interventi del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e del premier israeliano Benjamin Netanyahu. La convention, che arriva alle soglie del “super tuesday” – il giorno clou per le primarie repubblicane, vedrà tra gli altri la partecipazione del presidente della Camera Gianfranco Fini. 


 

Quale sarà il destino di Mahmoud Ahmadinejad? Le cose paiono non andargli troppo bene, almeno a giudicare dall'esito delle elezioni legislative, appena svoltesi, dove i 290 seggi in palio per il Majlis, il Parlamento, sembrano essere andati per almeno due terzi al blocco conservatore, capitanato dall'ayatollah Ali Khamenei, "Guida suprema dello Stato", ossia successore di Ruhollah Khomeini.
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Claudio Vercelli

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