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15 marzo 2012 - 21 Adar 5772
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alef/tav
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Da qualche settimana le Parashòth trattano delle prescrizioni per la costruzione del Mishkàn. Ma due volte il testo è interrotto dall'avvertimento di osservare lo Shabbath. Questo perché lo Shabbath si pone in testa a tutte le istituzioni religiose. È dalla santità dello Shabbath che deriva la santità d'Israele. È per questo che i Maestri affermano che la venuta del Mashìach avverrà quando tutto il popolo d'Israele osserverà integralmente due Shabbathòth consecutivi. È strano che ciò non si sia finora mai realizzato. Evidentemente ognuno di noi deve aver mancato in qualcosa, ognuno di noi deve dirsi "a causa mia il Mashìach non c'è ancora". È quindi fondamentale recuperare la coscienza dell'importanza dello Shabbath che - a differenza del Santuario, che ha cessato da tempo di esistere - è il vero Santuario inviolabile ed eterno.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
L'altro ieri Dario Calimani notava, giustamente, che il mancato canto dell'inno Hatikvah da parte del giudice arabo della Corte Suprema israeliana Salim Joubran, non significa che egli sia un giudice meno preparato degli altri suoi colleghi. Bibi Netanyahu – con gesto da vero liberale – ha assolto il giudice arabo dall'incombenza di recitare il versetto in cui "l'anima ebraica anela con gli occhi rivolti a Sion". Ma l'episodio ha significati ben più profondi. Implica la fine ufficiale dell'illusione che Israele possa essere lo Stato di tutti i suoi cittadini – tanto è vero che non tutti i suoi cittadini sono in grado di cantarne l'inno nazionale. E per l'identico motivo, implica la fine ufficiale dell'illusione che Israele possa essere lo stato del popolo ebraico. C'è chi chiede il cambio dell'inno nazionale Hatikvah, il che di fatto significherebbe la sostituzione di Israele con un altro Stato. E c'è chi invita a riconoscere che, seguendo le leggi della demografia e della democrazia, Israele sta diventando, anzi è diventato, uno stato bi-nazionale. Il cambio dell'inno vorrebbe dire l'abbandono della vecchia retorica di fronte alla nuova realtà. Se vogliamo invece difendere il vecchio e suggestivo inno di fronte alla nuova realtà, occorre in Israele una radicale riforma nel rapporto fra popolazione e territorio. La soluzione si chiama due Stati per due popoli. In uno Stato tutti potranno cantare Hatikvah, e nell'altro Stato tutti potranno cantare quello che vorranno.

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davar
Qui Milano - Chiudersi, aprirsi, confrontarsi
Voglia di partecipare, in una sala del centro sociale Noam gremita e attenta fino a tarda sera. Desiderio di comprendere cosa accade nelle nostre comunità e di ascoltare la voce di rabbanim diversi che hanno offerto, ognuno dal proprio punto di vista, una chiave di interpretazione e una visione del futuro non necessariamente coincidente riguardo alla crisi del modello familiare e del modello comunitario. La comunità di Milano è tornata ad essere laboratorio di tutti i fermenti e di tutti i confronti che attraversano l'Italia ebraica raccogliendosi per guardarsi negli occhi. Non, o meglio non solo, la Comunità istituzionale, le persone che per scelta o lavoro si occupano dei suoi problemi tutti i giorni, ma soprattutto la gente, quegli iscritti che, vicini o lontani, troppo spesso sembrano difficili da coinvolgere nei momenti di confronto. Per l’incontro “Chiusura-apertura: famiglia ebraica, matrimoni misti”, organizzato dall’Ufficio rabbinico nel centro di riferimento della keillah persiana, ad ascoltare l’intervento di sei rabbanìm, il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, quello di Roma Riccardo Di Segni, il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana Elia Richetti, il direttore del dipartimento Educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Della Rocca, il padrone di casa, rav Yakov Simantov, e il rabbino Chabad Moshe Lazar, sono arrivate centinaia di persone, di diverso background, sensibilità religiosa, età (tanti i giovani che hanno scelto di partecipare). A testimonianza di quanto a tutti stia a cuore il tema, difficile, sofferto, scomodo del matrimonio misto, dell’approccio della Comunità al fenomeno, delle sue conseguenze. Il dibattito innescato negli scorsi giorni da una lettera del Consigliere comunitario Stefano Jesurum, in cui si discuteva di identità ebraica e di attitudine del rabbinato nei confronti del matrimonio misto, prendendo spunto dalla decisione di negare la supervisione di kasherut a un banchetto nuziale. L’intervento ha suscitato critiche. perché letto da alcuni come un attacco nei confronti del ruolo del rabbino capo, che ha deciso di rispondere con un documento scritto e con una serata pubblica. “Anche se quella lettera, lo devo dire con franchezza, mi ha creato tante difficoltà - ha sottolineato rav Arbib - penso sia positivo che ci troviamo ad affrontare pubblicamente un argomento di cui tutti noi parliamo, ma non apertamente: quello del matrimonio misto e dell’importanza di formare famiglie ebraiche. E ci tengo a sgombrare il campo da ogni dubbio: è un problema che riguarda tutta la Comunità. Perché una Comunità ebraica è una famiglia, dove le scelte di ogni singolo componente influenzano tutto il nucleo. Se non ci sono famiglie ebraiche, non ci sono bambini da educare e non c’è futuro per la Comunità”.
La discussione si è svolta in un clima di rispetto reciproco e grande attenzione. A introdurre gli interventi è stato rav Simantov che ha sottolineato come una comunità debba essere costruita su principi condivisi da tutti, e che questi principi siano necessariamente rappresentati dall’Halachah, “Solo i rabbini hanno l’autorità in materia halachica, che non può essere messa in discussione da chi rabbino non è” ha concluso.
“Mantenere i nostri valori è fondamentale. E le Comunità non dovrebbero rimproverare i loro rabbini per questa ragione. Consideriamo cosa sta succedendo alla famiglia in Italia”, ha esortato rav Di Segni, portando all’attenzione dei presenti dati statistici da lui raccolti, secondo i quali sia il tasso di natalità sia la percentuale di matrimoni ebraici celebrati sia quella di divorzi di fronte a un tribunale rabbinico costituiscono altrettanti fattori d'allarme riguardo alla consistenza numerica che in futuro potrebbero assumere le realtà ebraiche italiane. “Ci si sposa sempre di meno e sempre più tardi, nascono pochi bambini, si divorzia sempre di più Se pensiamo che le nostre comunità siano impermeabili a queste tendenze ci sbagliamo di grosso. Dobbiamo avere il coraggio di dire che oggi, una persona che sceglie di non formare una famiglia ebraica, mette in pericolo lo stesso futuro della Comunità”.
Dell’importanza del rispettare le regole ha parlato rav Lazar, evidenziando come la cultura ebraica sia basata sul comportarsi bene, prima che sul sentirsi bene. Mentre il presidente dell’Ari Elia Richetti ha affrontato nel suo intervento uno dei rilievi che più spesso vengono mossi al rabbinato italiano, quello di essere diventato più rigoroso rispetto al passato. “Penso di rappresentare la memoria storica di questa città e mi ricordo del tempo in cui c’erano anche molte famiglie non completamente ebraiche che partecipavano alla vita del Beth HaKnesset. Ma l’Halachah rappresenta un qualcosa in movimento, che sa adattarsi alle mutate condizioni della società. Alcuni anni fa, feci un esperimento, andando a verificare quanti dei bambini convertiti all’ebraismo vent’anni prima erano ancora iscritti alla Comunità: di 127 solo 20. Pur applicando l’Halachah, stavamo sbagliando qualcosa. E di questo abbiamo cercato di tenere conto”.
Ma un ammonimento contro l’idea di dare eccessiva importanza a statistiche e numeri è arrivato dal direttore del dipartimento Educazione e cultura dell'Unione, rav Roberto Della Rocca, che ha sottolineato il valore di ogni singolo ebreo, e della tradizione italiana. Tradizione che a fronte di realtà anche piccolissime che la matematica avrebbe condannato a sparire, è stata e continua a essere protagonista di un’intensa vita e rinascita ebraica. “L'ossessione delle statistiche, la conta dei numeri – ha denunciato il rav in aperta dissonanza con i toni di alcuni altri interventi – rischia di portarci fuori strada. Dobbiamo recuperare uno slancio, un'energia e un rispetto reciproco che sono proprio le qualità fondamentali che hanno consentito all'ebraismo italiano di vivere e di crescere”. Parole chiare sono arrivate anche riguardo al clima di tensione fra Comunità e rabbanìm. “Non si può arrivare a un incontro come quello di oggi come se si trattasse un match di laici contro rabbini. La tendenza a considerare il rabbino come un notaio è svilente per lui, così come chiedere delle conversioni facili è svilente per il gher, che deve entrare nella Comunità dal portone principale. E la Comunità deve essere prima di tutto pronta ad accoglierlo.
Tanti gli spunti di riflessione venuti dal pubblico: quale ruolo abbia la frequentazione della scuola e in particolare del liceo, nella formazione dell’identità ebraica, cosa possa fare la Comunità per assicurare la continuità dei suoi giovani, e cosa invece per coloro che se ne sono allontanati, quale debba essere il ruolo delle varie istituzioni, rabbinato, Consiglio, movimenti giovanili, per avvicinare gli iscritti, l’importanza di mantenere un clima di rispetto reciproco fra tutte le anime della Comunità.
Come chiarito da rav Arbib in apertura dell’incontro, non si poteva pensare di risolvere tanti e tali problemi in una sera. E tuttavia, probabilmente se la Comunità registrasse dei momenti di incontro del genere più spesso sarebbe sulla buona strada. Perché come ha sottolineato il presidente Roberto Jarach, aprendo gli interventi del pubblico “E' molto positivo che questa serata si sia svolta, perché è questo che la Comunità chiede alle sue guide spirituali. Perché a Milano abbiamo una ricchezza di rabbanìm, di realtà ebraiche, di vita comunitaria che penso sia straordinaria. E l’impegno maggiore della Comunità è proprio quello della scuola e della casa di riposo, per dare continuità tra giovani e anziani, cercando di unire, senza per questo appiattire, le sue diverse anime”.

Rossella Tercatin - twitter @rtercatinmoked


Qui Padova - La donna nell'ebraismo
Rispondere alle banalizzazioni che negli ultimi tempo hanno comunicato al grande pubblico un'immagine poco articolata e retrograda in relazione allo spazio e al ruolo dell'elemento femminile nella tradizione ebraica. Donne nell'ebraismo – ciclo di incontri in cinque conferenze, un concerto e un importante convegno storico organizzato in collaborazione con l'Università degli studi – nasce con questo obiettivo. Un impegno divulgativo che la Comunità ebraica di Padova, su impulso della sua Commissione Cultura, ha deciso di rivolgere alla città declinando in più sessioni un tema di grande complessità e interesse spesso visto attraverso chiavi interpretative fuorvianti. Si è partiti negli scorsi giorni con un dialogo a due voci che ha visto protagonisti il rabbino capo di Padova Adolfo Locci e il presidente della Comunità ebraica di Venezia Amos Luzzatto (argomento della conferenza l'Ordine Nashim nella Mishnà e la figura di Ester). Si prosegue questa sera alle 20.30 all'ex sinagoga tedesca con una lezione di Miriam Davide sul ruolo delle donne nelle comunità ebraiche dell'Italia nord-orientale in età medievale.
Un modo per aprire le porte della Comunità, confrontarsi sui temi dell'identità, favorire la comprensione più approfondita di una realtà radicata nel tessuto cittadino. “Mancava fino ad oggi un'adeguata offerta culturale rivolta alla cittadinanza e non soltanto all'interno. Con questo ciclo di incontri - spiega Gadi Luzzatto Voghera della Commissione Cultura - vogliamo raggiungere tutta la città di Padova come Comunità che è sì piccola nei numeri ma allo stesso tempo intenzionata a svolgere un ruolo importante sul territorio. Una Comunità che ha tanto da offrire e che merita di essere conosciuta non solo nei momenti legati alle celebrazioni per il Giorno della Memoria e alla tragicità delle persecuzioni nazifasciste”. Dietro questa inedita iniziativa uno sforzo logistico notevole che è figlio della recente riorganizzazione interna alla Comunità che ha portato alla nascita di alcune commissioni che stanno lavorando con profitto su più ambiti e fronti.

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pilpul
Risvegli
Il Tizio della SeraPurim è passato e c'è ancora la crisi economica. Allora è vero che non è uno scherzo.


Il Tizio della Sera

Cittadinanza
Un tema su cui forse l’ebraismo italiano dovrebbe prestare maggiore attenzione è quello della cittadinanza. Il fatto che in Italia si acquisisca tramite lo ius sanguinis è di per sé aberrante. Pensare infatti che l’essere italiani dipenda da un criterio genetico rievoca tristi ricordi. Per onestà intellettuale va detto però che neanche il semplice ius soli sembra essere la soluzione ottimale. Il semplice nascere in un territorio non implica necessariamente il diritto a far parte di una comunità politica. Tanto che, se nel primo caso si è italiani se si ha un trisavolo emigrante, ma non si sa nemmeno dove sia l’Italia nella cartina geografica; nel secondo lo si può diventare nascendo qui, pur non conoscendo lingua, cultura o, peggio ancora, non accettando i valori costituzionali. Per questo una buona soluzione appare quella dello ius soli temperato, con cui i bambini stranieri che nascono in Italia diventano automaticamente italiani alla fine di un ciclo di studi. Una proposta di buon senso che favorirebbe l’integrazione di quei ragazzi nati in Italia, ma a cui fino a diciotto anni è negato il diritto di essere italiani.

Daniel Funaro, studente

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notizieflash   rassegna stampa
Qui Milano - Vigilanza e inquietudine
dopo l'arresto di un terrorista
  Leggi la rassegna

“Dubito che si tratti di una iniziativa individuale, la metodica e la mole della documentazione acquisita non sembrano frutto del lavoro di un folle isolato”. Ad affermarlo Roberto Jarach, presidente della Comunità ebraica di Milano, a fronte della notizia dell'arresto questa mattina di un giovane marocchino che pare stesse progettando un attentato alla sinagoga di via Guastalla. “La notizia – ha aggiunto il leader della seconda Comunità ebraica d'Italia – ci ha colto di sorpresa. Da circa due mesi c'era stato un generico rialzo del livello di attenzione, segnalato dalle Forze dell'ordine, ma non sembravano esserci elementi specifici di preoccupazione. Al momento conosco il nome solo della persona arrestata, ma mi hanno riferito che potrebbero esserci legami con l'Inghilterra. Stiamo facendo anche noi delle verifiche per capire la consistenza di eventuali cellule terroristiche''. Quello che giunge oggi, ha infine sottolineato, “è uno dei segnali più inquietanti per la nostra Comunità e per una città che in passato ha avuto pochi momenti di tensione legati a segnalazioni specifiche''. “L'episodio odierno – dice il responsabile sicurezza del Partito democratico Emanuele Fiano – dimostra che potrebbero essere in azione in Italia singoli individui legati anche solo virtualmente alla rete del terrorismo islamico e potenzialmente in grado di colpire, con conseguenze tragiche, obiettivi sensibili sul nostro territorio". Per questo motivo, prosegue, "è bene che la magistratura e le forze dell'ordine continuino a tenere alta la guardia nei confronti del terrorismo internazionale di matrice islamica che cambia le forme della propria azione mantenendo alte le potenzialità di colpire".
 
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