se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

16 marzo 2012 - 22 Adar 5772
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


La parashà di Vayakhèl che è la parashà successiva a quella del vitello d'oro comincia con due mitzvòt apparentemente staccate dal resto della parashà (che tratta della costruzione del Mishkàn). Le due mitzvòt sono l'ordine di radunare l'intero popolo ebraico e lo shabbàt. Secondo lo Shem Mishmuel queste due mitzvòt sono strettamente legate a ciò che è successo nella parashà precedente. Il vitello d'oro è stato un momento di crisi profonda del popolo ebraico. Per reagire alla crisi la Torah indica una strada, riunire il popolo, fare di tutto per ricreare l'unità del popolo ma l'unità non si crea sul nulla, non basta mettere insieme tanti ebrei. È necessario un elemento catalizzatore. La Torah indica questo elemento catalizzatore nello shabbàt.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Negli anni Trenta, in Polonia, capitava che gli unici medici disponibili a lavorare gratuitamente per gli ospedali delle cooperative rurali fossero medici ebrei. I contadini però non sempre volevano lasciarsi curare da ebrei, e gli ospedali erano costretti a chiudere. Ergo, deduceva la stampa nazionalista, gli ospedali chiudevano per colpa degli ebrei.

davar
Le storie nostre per capire la nostra storia
Torna l'appuntamento con Bologna Children's Book Fair, la grande fiera internazionale dedicata alla letteratura per ragazzi. Tradizionalmente riservata agli addetti ai lavori, con il coinvolgimento di centinaia di espositori dai cinque continenti, la rassegna si svolgerà dal 19 al 22 marzo e vedrà anche quest'anno protagonista la nostra redazione con due incontri: il primo riservato agli ospiti della fiera, il secondo aperto invece a tutti gli interessati.
Leggere per crescere – Cultura ebraica e società plurale, in programma martedì 20 marzo alle 11.30 alla Sala Ronda del Blocco C, vedrà la partecipazione della traduttrice e docente di ebraico moderno Sarah Kaminski, della coordinatrice del Centro Pedagogico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Odelia Liberanome, della docente di pedagogia dell'Università di Padova Paola Milani e dalla coordinatrice del giornale ebraico per bambini Daf Daf Ada Treves. Modererà il dibattito Guido Vitale, giornalista e coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura UCEI. I relatori della mattinata saranno poi ospiti il pomeriggio dello stesso giorno al museo ebraico di Bologna per l'incontro Ebraismo e società plurale – Itinerari di conoscenza. A condurre i lavori, che si apriranno alle 17.30 con un intervento di Vitale, il direttore del MEB Franco Bonilauri.

Ogni tradizione, ogni cultura ha i suoi racconti a cui affidare il complicato compito di educare o dare risposte alle nuove generazioni. E lo scorrere del tempo sembra in molti casi non intaccarne l’attualità. Cambiano gli sguardi e le interpretazioni ma le storie sono le stesse. Purtroppo alcune si perdono e finiscono in una soffitta polverosa in attesa di essere riscoperte. E così quando qualcuno le rispolvera, tutti abbiamo la possibilità di recuperare un pezzo delle nostre tradizioni, della nostra cultura. Almeno così è stato per il nuovo libro di Shoham Smith, Haggadoth Shelanu (Le nostre storie – Edizioni Kinnneret ), che porta l’eloquente sottotitolo di “un universo di leggende ebraiche per bambini”. La critica in Israele ha applaudito l’idea della Smith di riproporre, in una versione più accessibile, i racconti tradizionali e talmudici per bambini. Un omaggio al Sefer Haaggadah dei celebri autori Bialik e Y.H. Rawnitzky ma soprattutto un ponte letterario con una tradizione poco conosciuta dalle giovani generazioni. E così alcuni midrashim della tradizione rabbinica ritornano, riadattate in ebraico moderno, per essere lette e raccontate ai più piccoli e non solo. Troviamo la storia del Re Salomone e della Regina di Saba, di Honi Ha- Ma’agel come di Rabbi Akiva e Rachel, accompagnate dalle eleganti e colorate illustrazioni di Vali Mintzi. Una selezione accompagnata a margine dalle annotazioni della Smith,per una struttura che ricorda la Ghemarah, il commentario del Talmud. Note che riflettono il pensiero e l’interpretazione in chiave moderna quanto personale delle leggende della tradizione: femminismo, pensiero laico e altre tematiche emergono dalle riflessioni dell’autrice israeliana. Un esempio? La storia di Rabbi Akiva e Rachel. “Dal punto di vista del mondo femminista – spiega ad Haaretz la scrittrice – è un racconto che pone diverse problematiche”. Rachel è la bella e giovane figlia di Kalba Savua. Rimasta impressionata dalla personalità del quarantenne Akiva, la donna decide di “sacrificare se stessa – spiega la Smith – per permettergli di frequentare una scuola di Torah mentre lei lo attende a lungo, sola e in povertà”.
Quando rabbi Akiva, divenuto oramai un’autorità, torna da Rachel, la primavera della giovinezza è ormai passata e il tempo segna profondo il volto della donna. “Un’altra donna allora probabilmente al suo posto avrebbe rinunciato a questa logorante attesa, avrebbe pianto un po’, ingoiato l’amara pillola e aspettato che il padre le scegliesse un nuovo marito. Ma Rachel non era una donna ordinaria”. L’interpretazione data dalla scrittrice si sofferma ed enfatizza la scelta di Rachel di scegliere l’amore in favore delle comodità della casa paterna, di percorrere la via più impervia e attendere nella solitudine l’amato. “Tutto questo non è scritto esplicitamente nel testo, è una mia lettura personale della vicenda”, ammette la Smith che, rispondendo al giornalista Tamir Rotem, spiega di non aver cambiato nessun fatto. “Ma piuttosto che sperare che il lettore faccia una sua interpretazione, ho inserito i commenti. In ogni caso c’è spazio per considerazioni autonome. Un riadattamento è anche un commento e io l’ho sentita come un’opportunità per aggiungere il mio pensiero e il mio punto di vista, ad esempio sulla differenza del ruolo maschile e femminile”. Cresciuta a pane e classici (con una particolare attenzione a Gerrald Durrell, tra gli autori preferiti della madre), Shoham si immerge nella lettura per l’infanzia, scrivendo diversi libri tra cui un’antologia dei miti dell’antica Grecia. In casa, i suoi tre figli sono cresciuti senza televisione, ascoltando con avidità i racconti di Huckleberry Finn e le avventure di altri celebri personaggi del mondo letterario. È soprattutto Bialik a ricoprire un posto d’onore nelle letture serali: l’ultima fatica della Smith si presenta proprio come un omaggio al poeta e scrittore ucraino. “Ho preso lui e Rawniztky come esempi da seguire e sono tornata alle fonti – spiega, ricordando poi come è nata la prima bozza di idea per la nascita di Haggadoth Shelanu – Quando i miei bambini erano piccoli cercavo di raccontare loro le storie di Re Salomone tratte dal libro Va'yehi Hayom ma in ogni frase c’erano parole complicate e una sintassi difficile da comprendere. Così, un po’ per gioco, dissi a mio marito che il libro doveva essere tradotto in ebraico ma lui non condivise questa mia idea. Per un po’ non ci pensai, senza però abbandonare il progetto. Dall’incontro con Yael Molchadsky della casa editrice Kinneret, a cui la mia proposta piacque, siamo arrivati fino alla pubblicazione”. Laica e con un background ben diverso dalle leggende della tradizione talmudica, Smith si è interessata progressivamente a questo mondo. Un fascino che non ha fatto che crescere quando è entrata in contatto con la Alma College, istituto di cultura ebraica di Tel Aviv che organizza gruppi di studio sul Talmud. E da qui la scelta di tornare alle fonti, dandone però una chiave di lettura nuova. La giuria della Acum (Associazione israeliana per i diritti musicali e letterari) nel premiare la Smith nella sezione della letteratura per l’infanzia, ha sottolineato come l’autrice abbia avuto il merito di riadattare una parte del prezioso tesoro delle leggende talmudiche in una versione “aggiornata, semplice e affascinante”. A coloro che chiedono per quale motivo non abbia inserito questo o quel racconto, la Smith risponde senza tanti convenevoli. “Ci sono alcune storie che non mi piacciono o che credo non siano adatte ai più piccoli. Così non le ho inserite. Ed è questo il bello, o meglio il privilegio, di avere la possibilità di scegliere: poter lasciare qualcosa fuori”.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, marzo 2012

Qui Roma - Come possiamo studiare Torah?
Certo, un po' spiazzante il finale della lezione di ieri con Rav Michel Monheit al Centro Bibliografico dell’Ucei, in occasione del quarto incontro del ciclo “Quale identità ebraica. Generazioni a confronto”: dopo un'ora e mezza di analisi sul testo ha interrotto la lezione sul più bello. "Ci lascia così?!" ha esclamato più di una persona tra il pubblico. Un pubblico variegato, eterogeneo per interessi, formazione e provenienza, colorito dalla presenza di alcuni rabbini come Gianfranco Di Segni e  Roberto Colombo. Monheit ha risposto: "Si, vi lascio così.. proprio così!".  Ma non è solo questo aspetto a suscitare dei vivaci interrogativi: il continuo ribadire in modo determinato, da parte del rav, che quando lui studia Torah non vuole fare sociologia, psicologia o altro - ovvero utilizzare o prendere in prestito concetti e visioni del mondo da altri sistemi di riferimento e conoscenza -  ha posto non poche questioni, sicuramente interessanti.  Al di là dei contenuti trattati - che chi vuole continuare ad approfondire potrà farlo in altre occasioni in questi giorni a Roma - chi conosce rav Monheit sa che qui non è in questione se lasciare fuori o meno dalla propria vita o formazione la Cultura, dato che lui in primis ha studiato filosofia. Si tratta piuttosto di due metodi di studio a cui si può approcciare quando si studia Torah. C’è chi studia Torah per entrarci dentro, immergendosi nel suo linguaggio e i suoi personaggi, le sue storie, lasciandosi trasportare dai percorsi che incontra, dove ogni parola fa risuonare altre parole all’interno, e solo all’interno, di questo sistema: questi sembra non lasciare fuori nulla e quando entra non sa dove o quando finisce. C’è chi invece studia Torah per interesse e curiosità, consapevole del fatto che la tradizione ebraica fa parte della propria cultura: questi lascia sempre fuori uno sguardo alla ricerca di una visione di insieme, si fa trasportare dalle suggestioni che riceve da dentro e da fuori, le mette a confronto e tenta di creare ponti tra questo dentro e questo fuori. Questi si pone sui margini. Chi ha ragione? E - citando il titolo del ciclo di incontri suddetto di cui la lezione di rav Monheit fa parte - quale approccio è proprio dell’identità ebraica? Non possiamo rispondere che forse rappresentano due posizioni da cui guardare diversamente le cose? Due esperienze diverse, come sono l’esperienza d’amore da una parte e il desiderio di capire il mondo dall'altra? Forse che queste non appartengono a ognuno di noi?  "Vai e studia" diceva Hillel. Forse è stato proprio questo l'insegnamento ieri: aldilà delle singole posizioni, la cosa importante è sapere che quando si comincia a studiare è come inaugurare un viaggio che non sempre sai dove ti porta, in cui ti metti in gioco. E' un'esperienza che ti cambia e da cui sicuramente "non ne ne esci come sei entrato".   

Ilana Bahbout

pilpul
Shabbaton eporediese
Anna SegreSomiglia molto a un campeggio, con attività varie, lezioni, dibattiti, passeggiate, canti, giochi e scherzi, però con partecipanti di tutte le età (numerosi i bambini) e quasi tutti torinesi o eporediesi (cioè abitanti di Ivrea, la città che ospita lo Shabbaton in un grazioso albergo sulle rive del lago Sirio). Si potrebbe definirlo un moked in piccolo, in cui il numero dei partecipanti (circa centocinquanta persone) offre la possibilità di scambiare due parole un po’ con tutti, dagli amici che si vedono raramente perché siamo sempre di corsa alle persone finora conosciute solo di vista con cui si riesce finalmente a parlare con più calma. Si respira l’atmosfera ovattata dello shabbat, abituale per alcuni, nuova per altri, con il silenzio dei cellulari, i ritmi scanditi dalle tefillot, dalle lezioni e discussioni, dai pasti. Poi la domenica mattina una passeggiata intorno al lago seguita da un’allegra grigliata. Una scommessa vinta per la Comunità di Torino e per Rav Birnbaum con sua moglie Renana, instancabili animatori dell’iniziativa.
Il clima allegro e giocoso non ha impedito i momenti seri di dibattito e approfondimento, dalle derashot sulla parashà della settimana (la non facile Ki Tissà, con l’inquietante episodio del vitello d’oro), allo studio di passi talmudici relativi alla vita di coppia e all’educazione dei figli, al confronto sulla famiglia di oggi e sulle sfide che propone. Interessante a questo proposito anche la testimonianza di alcune coppie miste, per le quali l’educazione ebraica dei figli non è un fatto scontato, un’abitudine di famiglia portata avanti per inerzia, ma una scelta ponderata, affrontata in seguito a una decisione consapevole di entrambi i genitori, pur di fronte a difficoltà oggettive. A loro, come agli altri partecipanti, è stato offerta l’immagine di un ebraismo al contempo accogliente e rigoroso, in cui l’apertura non è un gioco al ribasso, ma la ricerca di un linguaggio e di modalità che offrano a tutti la possibilità di accedere ai contenuti “alti”. Alle derashot rabbiniche e allo studio di passi talmudici si sono alternati interventi sullo shabbat e sulla parashà della settimana di “non addetti ai lavori”, che hanno affrontato i temi in un’ottica particolare, dalle riflessioni sul tempo al confronto tra l’osservanza dello shabbat e l’osservazione scientifica. Così ciascuno ha avuto qualcosa da insegnare e qualcosa da imparare.

Anna Segre, insegnante 


notizieflash   rassegna stampa
Qui Milano - "Riconoscenza
alle forze di polizia"
  Leggi la rassegna

“In relazione all’arresto del cittadino marocchino effettuato dalla Digos di Brescia – si legge in un comunicato stampa appena diramato dalla Comunità ebraica di Milano a firma del suo presidente Roberto Jarach – le ultime informazioni ricevute fanno propendere per la tesi dell’azione individuale di una persona accecata dal pregiudizio e dall’odio”. A meno di improbabili sviluppi diversi, si legge ancora nel testo, l’episodio sembra quindi essersi chiuso con il fermo di ieri mattina.

 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.