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22 marzo 2012 - 28 Adar 5772
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l'Unione informa
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Fra i molteplici sacrifici per espiazione di colpe, spiccano quelli da offrirsi nel caso in cui il Kohen Gadol, o gli anziani, o un capo tribù, inducesse il popolo in errore. A differenza dei sistemi giuridici del passato, e di inveterate abitudini odierne, per l'Ebraismo i capi non sono superiori alle leggi: anzi, ne sono garanti, e quindi, i primi a doversene assumere la responsabilità.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Ci ha lasciati improvvisamente, dopo una malattia sopportata con grande coraggio, un caro amico e stimato studioso: Eugenio Sonnino, professore di demografia alla Facoltà di Statistica della Sapienza, fondatore della Società Italiana di Demografia Storica, presidente onorario della Commission Internationale de Démographie Historique, e autore di molti autorevoli studi di metodologia e di analisi della popolazione. Enio, com'era noto agli amici, ha svolto un importante ruolo propulsore nella ricerca scientifica e nella didattica universitaria sulla società italiana ed europea nel suo complesso, in particolare sulla dimensione storica dello sviluppo della popolazione. Noi lo ricordiamo anche come uno dei pionieri nello studio serio e sistematico della realtà ebraica in Italia. Negli anni sessanta Enio aveva pubblicato un lavoro sugli atteggiamenti e i problemi dei giovani ebrei a Roma, che era destinato ad aprire una fruttuosa stagione di ricerche di cui ancora oggi sentiamo qualche eco. Poi per molti anni aveva lavorato sulla storia demografica degli ebrei romani, mettendone in luce le vicende sociali, economiche e sanitarie nel rapporto spesso difficile con l'ambiente circostante. Più di recente Enio era tornato ad occuparsi attivamente delle problematiche contemporanee dell'ebraismo della comunità della capitale, lavorando sulla terza età e ricostruendo e analizzando i flussi demografici in entrata e in uscita e i processi di invecchiamento e di assimilazione in corso nella comunità romana. Eugenio Sonnino ha saputo rappresentare per oltre mezzo secolo un esemplare sintesi fra un impeccabile, innovativo e internazionalmente apprezzato impegno professionale, un forte impegno a favore delle problematiche sociali legate alla demografia, e un caldo, sincero e sensibile rapporto dialettico con la sua comunità. Sia il suo ricordo di benedizione.

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davar
Tolosa - Il “très grand rabbin de France” nell'ora più dura
Una lezione di politica, di comunicazione e d'ebraismo
Nel ritratto affettuoso e commovente che Felix Perez gli dedica sulla testata d'informazione dell'ebraismo d'Alsazia e di Lorena, “le grand rabbin de France” Gilles Bernheim viene chiamato con un gioco di parole “un très grand rabbin de France” (un grandissimo rabbino di Francia). Gli accadimenti nelle ore dense di dolore e di angoscia che gli ebrei di tutto il mondo stanno attraversando, la pressione più insostenibile, la prova più difficile è toccata a lui. Fermo, nitido, profondamente umano, il gran rabbino della prima realtà ebraica d'Europa ha reagito allo strazio della strage di Tolosa chiamando a raccolta gli ebrei francesi attorno ai valori vivi. Ha unito la sua comunità, ha aperto la strada della giustizia e sbarrato quella della vendetta, ha risvegliato i valori nazionali di libertà, fratellanza ed eguaglianza, ha teso per primo la mano all'immensa comunità islamica con cui gli ebrei, in Francia e altrove, sono destinati a convivere e a comprendersi. Dopo la tragedia dello scorso lunedì erano in molti ad attenderlo al varco. E non solo perché lo sconvolgente assalto alla scuola di Tolosa costituisce un cataclisma emozionale per l'ebraismo francese, ma anche perché nelle ore immediatamente precedenti, per una strana fatalità, il gran rabbino era stato sotto i riflettori nel clima politico arroventato della corsa all'Eliseo con l'uscita del suo ultimo libro (“N'oublions pas de penser la France”, Non dimentichiamo di pensare la Francia) e per l'intervista rilasciata a un grande professionista del giornalismo radiotelevisivo, Jean Pierre Elkabbach, all'indomani della sua fortissima affermazione secondo la quale nessun ebreo francese è autorizzato ad assecondare la politica della destra xenofoba e i suoi candidati. Gilles Bernheim e Jean Pierre Elkabbach, un rabbino e un giornalista. Due ebrei. In otto minuti serratissimi e indimenticabili, in cui ognuno compie senza sconti e senza scappatoie il suo lavoro fino in fondo, offrono una lezione di politica, di comunicazione e d'ebraismo che vale la pena di osservare nei minimi dettagli (da notare, per esempio, l'insidioso, rapidissimo passaggio dedicato alla Tzniut, la cultura della modestia e della separazione fra uomini e donne, che in tempi recenti si è prestata a molte distorsioni, penosi fatti di cronaca e potenziali fraintendimenti nell'opinione pubblica).
Ora, dopo quello che è accaduto, con la drammatica consapevolezza a posteriori degli avvenimenti, il “très grand rabbin de France” ha confermato, salendo con il cuore in frantumi all'Eliseo mano nella mano assieme ai leader della Francia musulmana e intimando ai politici di astenersi da qualunque speculazione elettorale, che né le violenze, né gli interessi di comodo potranno imporci la rinuncia agli elementi vivi della nostra umanità e del nostro ebraismo.

gv

Il testo dell’intervista di Jean Pierre Elkabbach al gran rabbino di Francia Gilles Bernheim


JPE: Benvenuto Gilles Bernheim, grazie di essere venuto, buongiorno.
GB: Buongiorno
JPE: Lei ha fatto un appello a non votare per Marine Le Pen. Se mi permette: di che s’immischia il Gran Rabbino di Francia?
GB: Si immischia dei valori della Francia. Mi interesso a quello che sta succedendo quest’anno, ossia un anno elettorale, le scelte di una società, dei suoi valori, valori cui sono molto attaccato come molti dei miei connazionali ed è l’occasione di ricordarli nel mio libro.
JPE: Perché, Marine Le Pen rappresenta una minaccia?
GB: Sì, è una minaccia nel momento in cui riduce degli uomini o delle donne a delle categorie: quando si tratta de “gli immigrati”, “gli stranieri”, “i musulmani”. Io credo che si tratti di un abuso della lingua, ci sono degli immigrati che si comportano male e che si comportano bene, ce ne sono che hanno dei diritti e dei doveri, altri che si accontentano di rivendicare dei diritti, e non dei doveri.
JPE: E si tratta quindi dell’anti-Francia?
GB: Si perché la Francia, lo ricordo, è “liberté, egalité, fraternité” e quando si tratta di fraternità, si tratta di eguaglianza tra gli uomini e di un legame fraterno e di amore per il prossimo.
JPE: Rispetto al padre, Jean Marie Le Pen, lei è di un’altra generazione. Esiste una responsabilità ereditaria?
GB: C’è forse una responsabilità ereditaria, c’è soprattutto un cambiamento del linguaggio, ma in fondo, io credo, nulla è cambiato.
JPE: Le mancano 42 firme, preferirebbe che non riuscisse ad essere candidata?
GB: E' un gioco politico sottile, direi semplicemente che esso appartiene con tutta probabilità a questo partito che è un partito repubblicano, ossia che si iscrive nel quadro della Repubblica e a cui non è stato impedito da parte della Repubblica di partecipare alle elezioni presidenziali.
JPE: Gran rabbino, Marine Le Pen era qui in studio e, in anticipo, le rispondeva così.

Viene fatta ascoltare la registrazione dell'intervento di Marine Le Pen:
“Non è assolutamente nel suo ruolo e trovo per altro davvero scandalose le accuse che pronuncia e le scorciatoie che prende, è una personalità religiosa, non dovrebbe fare della politica e si dovrebbe occupare di religione e direi peraltro esattamente le stesse cose di un certo numero di vescovi che danno regolarmente il loro parere sulla politica ed è bene che ognuno si occupi del proprio campo: i politici si occupino di politica e i religiosi di religione. E sono sicura che signor Bernheim abbia perso una buona occasione per stare zitto”.

JPE: Signor Bernheim?
GB: Ricorderei a Marine Le Pen che la politica è l’atto di unire le persone in modo responsabile e come religioso, come gran rabbino di Francia, io considero che sia nostro dovere partecipare, non alla vita, ma alla riflessione politica in questo atto.
JPE: Anche se la laicità implica e anzi impone a lei la neutralità?
GB: La neutralità nella scelta senz'altro. Non ‘faccio’ politica, mi ‘interesso alla’ politica.
JPE: C’è in Francia un voto ebraico?
GB: Certamente no. Gli ebrei votano in molti modi differenti.
JPE: Lei rivela per chi non votare – il Fronte Nazionale e Marine Le Pen – ma per chi bisogna votare?
GB: Certamente non lo dirò. Gli ebrei sono liberi di votare per chi vogliono a partire dal momento in cui viene rispettata una certa serie di valori.
JPE: Ma il gran rabbino di Francia darà comunque, quindi lei darebbe, un impulso al voto nei confronti del candidato che si avvicinerà di più ai valori di cui parlava poco fa.
GB: Certamente no. Perché non sarei più nel mio ruolo, non sarei più in una posizione morale, ma in una posizione politica.
JPE: Nel libro che pubblica, che si intitola Non dimentichiamo di pensare la Francia, ci torneremo, lei dice: “Come è possibile che la signora Le Pen si dichiari amica degli ebrei. La maniera in cui ha trattato i musulmani di Francia rimane incompatibile con i valori dell’ebraismo.” Lei difensore dei musulmani di Francia… non ha l’aria un po’ demagogica?
GB: Molto semplicemente: ci sono dei musulmani che rivendicano dei diritti ma che non si fanno carico dei loro doveri. Questi musulmani io li combatto e penso che cerchino di distruggere la Francia senza tregua. Per contro non bisogna confondere questa categoria di musulmani con l'Islam come grande religione monoteista. I musulmani sono dei cittadini come io sono ebreo in Francia e dunque hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri che ho io.
JPE: A proposito di religioni monoteiste, lei spiega che non ci può essere un riavvicinamento dottrinale fra l’Ebraismo e il Cristianesimo ma che rispetto all’Islam ci possono essere delle relazioni che non devono essere inesistenti.
GB: Abbiamo una più grande vicinanza in certi ambiti con il Cristianesimo, parlo degli ebrei, e in altri ambiti una vicinanza maggiore con l’Islam, in campo rituale, in particolare.
JPE: Oggi ogni comunità si ripiega sui propri valori e su se stessa. Il Gran Rabbino di Francia può evitare una forma di integralismo che contamina anche le società ebraiche non solo in Israele ma in Europa e qui in Francia?
GB: Devo fare di tutto per combatterle a partire dal momento in cui la religione diventa ripiegamento su di sé, ossia difesa dei particolarismi contro i valori della società civile. Voglio che la comunità, l’idea della laicità, sia una sorta di interfaccia tra il particolarismo religioso e i valori della società civile, quello che si chiamiamo universalismo.
JPE: Signor Gran Rabbino, quando lei incontra una donna, le stringe la mano?
GB: Sì.
JPE: Molti giovani ebrei oggi non lo fanno, dunque lei, lei lo fa. Nel suo libro lei si richiama anche al rispetto dello straniero e insiste sul peso della Memoria. In un periodo di campagna elettorale, lei comprende che si annunci una caccia alle streghe 
appena mascherata – o che qualcuno utilizzi parole come “epurazione”?
GB: No, non ammetterei mai un simile linguaggio, nella tradizione biblica si chiama 
ma in Francia è la stessa cosa  maldicenza, è una volontà di sradicare delle persone come se avessero meno importanza, meno dignità di noi.
JPE: Lei afferma che il Talmud condanna la maldicenza.
GB: Esatto
JPE: E la paragona a cosa? 
GB: Lo paragona all'omicidio, ossia all'esclusione e all'annientamento dell'altro.
JPE: Dunque gli ebrei rispettano l'Altro?
GB: Sì.
JPE: Lei dice che il Talmud darebbe una risposta praticamente a tutto, dall'economia alla giustizia tra ricchi e poveri…
GB: Certo, nel linguaggio dell'epoca in cui fu formato.
JPE: … e vieta anche di parlare male dell’altro. Lei ha scelto come titolo del suo libro “Non dimentichiamo di pensare la Francia”. A chi si rivolge?
GB: A tutti i francesi.
JPE: Non soltanto agli ebrei?
GB: Certamente no. A tutti i francesi.
JPE: È il famoso “Ricordati”. Ma cosa non dobbiamo dimenticare?
GB: Quello che non bisogna dimenticare è lo spirito della Francia. In cui credo, e che amo. La Francia è lo spirito del dubbio e della rimessa in questione e il rinascimento, è la cultura e anche l'amore di un paesaggio. Una Francia bella, intelligente, critica, libera, fraterna… Giustizia, principio di giustizia, è questa la Francia cui aspiro.
JPE: Ma la memoria, di cui si parla spesso e sulla quale si sofferma nel libro, non appartiene né ai politici, né ai rabbini, come lei riconosce, ma soprattutto agli storici, a condizione che siano indipendenti.
GB: La memoria è un dovere di tutti e appartiene agli storici indipendenti.
JPE: Lo storico Pierre Nora le chiede: si può essere ebrei quando non si è credenti né praticanti? Di cosa è fatta l'identità ebraica, dice Pierre Nora, insomma, chi è ebreo?
GB: Inizierei rispondendogli che, sia che si sia credenti o che non lo si sia, si è ebrei – e sul piano della legge ebraica – a partire dal momento in cui la madre della persona è ebrea. Questo è un punto. Ora, l'identità ebraica è complessa, è plurale, è fatta di diritto, è fatta di costume, è fatta di tradizione, ugualmente è fatta di Memoria, è fatta di speranza. Ciò che fa la ricchezza dell’identità ebraica.
JPE: Lei cita Robert Badinter che si definisce 
lo cito – “francese, ebreo e repubblicano”. E il terzo termine, repubblicano, è per lui altrettanto importante che i primi due. E per lei?
GB: È altrettanto importante anche per me. Repubblicano, res publica 
la cosa pubblica, il bene comune, come afferma il motto delle organizzazioni scautistiche giovanili ebraiche.
JPE: Si, ma per gli ebrei di Francia, nei confronti della Repubblica, cosa dice questa mattina? È un periodo di campagna presidenziale, ci parli della responsabilità, della sua missione, del suo ruolo...
GB: Ascolti, i cittadini, l’ho detto poco fa, non fanno politica, ma si interessano alla politica in questo atto di legare le persone in maniera responsabile ad uno stesso bene comune. Che è il nostro, ossia la Francia.
JPE: Questa mattina lei si è esposto, signor Gran Rabbino di Francia, ma chi parla? Gilles Bernheim o l’autorità religiosa, che lei è, che vuole illuminare il dibattito pubblico, in queste circostanze?
GB: Dire Gilles Bernhaim in quanto autorità religiosa che partecipa a questa riflessione sul dibattito pubblico.
JPE: Grazie, signor Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim.

versione italiana di Ada Treves











Clicca qui per ascoltare l'intervista  al rabbino capo di Francia
Gilles Bernheim

Qui Roma - Andrè Azoulay incontra le Comunità ebraiche
Grande protagonista del dialogo tra ebraismo e Islam nel mondo arabo, da molti anni consigliere personale del re del Marocco Mohammed VI, il diplomatico ebreo Andrè Azoulay è stato in questi giorni ospite della città di Roma per una serie di appuntamenti dedicati all'incontro tra i popoli del Mediterraneo. Accompagnato dall'ambasciatore Hassan Abouyoub, rappresentante del Regno del Maroccco in Italia, Azoulay ha incontrato ieri pomeriggio i vertici delle istituzioni ebraiche italiane e capitoline per un colloquio privato cui ha fatto seguito una visita al Tempio Maggiore e al Museo ebraico. Facevano parte della delegazione che ha accolto i due diplomatici il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, l'assessore UCEI Victor Magiar, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il vicepresidente Giacomo Moscati, l'assessore Ruben Della Rocca, il consigliere Jack Luzon, il leader degli ebrei tripolini della Capitale Scialom Tesciuba e il direttore del Dipartimento Cultura Claudio Procaccia.

Qui Venezia - Maggioranza e diritti delle minoranze
Continuano in tutta l'Italia ebraica i momenti di raccoglimento nelle sinagoghe e nelle sedi comunitarie per ricordare le vittime dell'attacco alla scuola ebraica di Tolosa. Nelle scorse ore, in attesa delle due grandi cerimonie di questa sera a Milano e Roma, ci si è ritrovati in molte altre città italiane: da Livorno a Napoli, da Casale Monferrato a Parma. Questa la testimonianza che ci arriva da Venezia.

“Una società civilmente democratica è quella nella quale la maggioranza si fa garante dei diritti della o delle minoranze”. Questo il fulcro del discorso che Amos Luzzatto, presidente della Comunità Ebraica di Venezia, ha tenuto durante la cerimonia ufficiale nella Sinagoga Levantina per commemorare le vittime della strage di Tolosa. Una cerimonia alla quale hanno partecipato molte autorità cittadine a dimostrazione che la questione della xenofobia è un problema che tocca e che coinvolge tutta la società e non solo i soggetti direttamente discriminati. Presenti in sinagoga il vice sindaco Sandro Simionato assieme al presidente del Consiglio comunale Roberto Turetta e al consigliere Beppe Caccia. In rappresentanza della Regione era presente il consigliere diplomatico del presidente Luca Zaia, Stefano Beltrame, insieme al collega Carlo Clini. Dopo la tefillah di Minchà, la preghiera del pomeriggio, Rav Gili Benyamin, rabbino capo di Venezia, ha recitato il salmo 79 in ricordo di Yonatan Sandler delle sue figlie Arieh e Gabriel, e di Miriam Monsenego, figlia del direttore dell’istituto scolastico. Di seguito riportiamo per esteso l’intervento del presidente Luzzatto:
“Desidero innanzitutto esprimere un sentito ringraziamento per tutte le pubbliche autorità, le forze politiche, i giornali che ci hanno espresso la loro solidarietà, la loro vicinanza, la loro amicizia per i gravi episodi antisemitici che hanno colpito sanguinosamente i nostri fratelli di Tolosa ma che, in forma di gravi minacce, non sono stati assenti neppure in Italia, Non siamo soli – e già questo ha per noi un importantissimo significato. Tuttavia, non basta.
L’esperienza non troppo lontana ci ha insegnato che l’incitazione all’odio antiebraico non si ferma mai alle porte delle nostre abitazioni e ha ricadute sull’intera società. Direi addirittura che proprio nei periodi di crisi come è quello che stiamo vivendo maturano le condizioni per nuove esplosioni antiebraiche.
La crisi non è soltanto economica e finanziaria, ma è anche una crisi sociale, culturale, crisi nelle relazioni interumane. E’ talmente profonda che non riusciamo neppure a esprimerla adeguatamente, neppure con linguaggio artistico, con proposte credibili, oserei dire neppure con moti di vera rivolta che un tempo costellavano la storia comune. È proprio in questi periodi che si manifesta più di frequente l’antisemitismo, quasi si liberassero forze oscure alla ricerca dei supposti colpevoli, per colpirli nella vana speranza di invertire, così facendo, il decorso degli eventi. Durante la peste di manzoniana memoria erano gli untori, che però non erano un gruppo ben definito e riconoscibile. Nella nostra società di oggi, di questi gruppi riconoscibili ne esiste più d’uno: basta ricordare i Sinti e i Rom, gli immigrati dal mondo ex coloniale, gli omosessuali e altri. Si tratta di gruppi minoritari, che di volta in volta vengono accusati di ogni nefandezza da parte della società. Tutti questi vengono accusati occasionalmente, ma gli ebrei sempre. Che sono sempre ben definibili per i loro costumi, la loro fede, la loro struttura comunitaria: e sono presenti come minoranza, al di qua e al di là dei confini, attivi nella società e pertanto sempre sospettabili; spesso attivi con successo e pertanto invidiabili. Candidati al ruolo non gradito di capri espiatori.
Ma il problema vero non sono però gli ebrei, è piuttosto la crisi e la difficoltà che le maggioranze nella società manifestano nell’analizzarla, capirla e sapervi trovare un rimedio. Ne deriva che l’odio antiebraico colpisce, certo, gli ebrei, ma interessa e non può non interessare tutti, anche coloro che ebrei non sono. È dunque uno dei grandi problemi politici del nostro tempo. Non “politici” nel senso elettoralistico ma piuttosto nel senso della struttura che intendiamo attribuire alla nostra società, in particolare al problema del rapporto fra maggioranze e minoranze nel suo seno.
La vita politica si fonda sul principio secondo il quale colui le cui proposte appaiono più ragionevoli ottiene la maggioranza dei consensi e governa. In pratica, gode del privilegio di poter decidere le scelte, in altre parole di avere costantemente ragione fino alla fine del mandato.
Quindi al principio “dato che hai dimostrato di avere ragione avrai la maggioranza”, si sostituisce un altro principio: “dato che hai avuto la maggioranza, ti si riconosce il privilegio di avere sempre ragione”.
E la minoranza o le minoranze? Ancora una volta sembrerebbe esserci, nel nostro sentire, una contrapposizione di principio, quasi che alla parola e al concetto di minoranza, dovesse necessariamente essere associato quello di minorazione.
Proprio nella nostra tradizione ebraica questo non vale. Nei dibattiti della tradizione talmudica è sempre riportata l’opinione della minoranza, con tutto il rispetto che merita. Tanto che, come ci ricorda il pensatore medievale Maimonide, e, ai nostri tempi, Yeshayahu Leibowitz, per decidere non sugli atti da compiere ma sui problemi di principio, non si procede per voto. E quando nessuna delle due opinioni prevale, ciò viene tramandato dalla parola caratteristica “tequ”, ossia la questione rimane aperta. Ciò significa che il testo che è giunto fino a noi ha rispettato e valorizzato l’opinione della minoranza, dandoci un insegnamento di principio.
Permettetemi di formularlo politicamente e con un auspicio per il futuro: una società civilmente democratica è quella nella quale la maggioranza si fa garante dei diritti della o delle minoranze.
È troppo? È un sogno? Oppure è l’unico modo per evitare di ricadere in una nuova barbarie, nella quali gli orrori del passato potrebbero impallidire rispetto alle nuove crudeltà? L’unico modo perché non prevalga quel distorto concetto di fratellanza per il quale, chi sia il fratello e chi non lo sia lo decide chi detiene il potere?
Crediamo fermamente che l’umanità non sia ancora destinata fatalmente a rinnovare le tragedie del passato e che il lutto recente possa servirci da monito per prevenire in tempo di imboccare questa china pericolosa.
Diciamo ebraicamente: amen, ken yehì ratzon”.

Michael Calimani

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Accorgimenti
Il Tizio della SeraTrovata a Tolosa la maschera dell’Europa. È il Sogno Desto. Il calco, leggero fino ad essere impalpabile, veniva indossato in modo di fornire a sé stessi la vivida impressione di non vedere, non sentire ed essere lontani centinaia di anni.

Il Tizio della Sera

Giusto peso alle parole
Non era un folle l’attentatore di Tolosa, ma un antisemita. Non sappiamo se esista il modo per rendere giustizia alle vittime, ma di certo la loro sofferenza merita il giusto peso alle parole. Perché oltre a tre bambini morti e al padre di due di loro, non si può aggiungere la beffa di chi tenta di minimizzare. Il gioco è sempre lo stesso, come con il negazionismo e il revisionismo. Si tenta di ridimensionare i fatti per sminuirne il valore e il significato; un tentativo subdolo che serve a giustificare o a trovare una ragione per quel gesto. Eppure sappiamo tutti cos’è, solo che l’Europa e il mondo non hanno il coraggio di dirlo, il politicaly correct ce lo impedisce. Perché la verità è che l’antisemitismo non è mai scomparso e si nutre oggi dietro l’odio verso Israele. Tanto che i commenti nei forum antisemiti non risparmiano neanche il dolore di un’intera comunità e ironizzano sul fatto che Israele possa inorridire di fronte a una tale vergogna. Così come Lady Ashton che paragona i bambini di Tolosa a quelli di Gaza, come se l’Europa fosse diventata improvvisamente un teatro di guerra. Per questo bisogna agire e impedire che le banalizzazioni prendano il sopravvento, altrimenti la prossima volta, come ogni volta, dei pianti e dei comunicati di solidarietà non sapremo che farcene.

Daniel Funaro, studente

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notizieflash   rassegna stampa
Israele - Non sfileranno in passerella
le modelle anorressiche
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Niente sfilate per le modelle e i modelli troppo magri. In Israele si spera così di contrastare l’insorgenza di disturbi alimentari. È stata approvata infatti lunedì sera e farà sicuramente discutere la legge che vieta alle modelle sottopeso di sfilare o posare, nel tentativo di promuovere un ideale di bellezza più accessibile e “salutare”. Uomini e donne, per potere essere assunti come modelli, dovranno sottoporsi a una visita medica che certifichi che rientrano nel loro peso forma. Sarà inoltre vietato utilizzare immagini di persone che sembrano sottopeso, pur non essendolo.

 

Troviamo un posto nella nostra memoria per il piccolo Stefano

C'è ancora il tempo per colmare la lacuna e inserire il nome di Stefano Gaj Tachè nell'elenco delle vittime italiane del terrorismo che ogni 9 maggio il Quirinale, con un'iniziativa che non sarà mai abbastanza lodata, celebrerà in una giornata dedicata a chi ha subito la violenza cieca e omicida dell'intolleranza politica e ideologica.

Pierluigi Battista, Corriere della Sera,
22 marzo 2012






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