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6 aprile 2012 - 14 Nisan 5772
l'Unione informa
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alef/tav
Alfredo Mordechai Rabello,
giurista

Eccoci di nuovo pronti alla ricerca del chamez, con un lumino in mano cerchiamo e cerchiamo ancora e vi è da presumere, vi è da sperare che ormai tutto il chamez sia stato eliminato dal nostro possesso, ma i Maestri di mussar (morale) ci mettono in guardia: sei veramente sicuro di essere riuscito ad eliminare tutto il chamez?  Ed hai guardato nella tua coscienza? Il chamez della tua coscienza è l'orgoglio ed è importante eliminarlo prima di accingerci a sedere al tavolo di Pesach, per essere uno fra i tanti schiavi che esce dalla schiavitù assieme agli altri, tutti nello stesso processo di liberazione fisica e spirituale.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Rabbi Nachman di Bratslav diceva: “C’è chi mangia per avere la forza di imparare la parola di Dio; c’è chi studia la parola di Dio per imparare come mangiare”. Una massima particolarmente utile oggi, che, ovunque ci capiterà di trovarci -  in case private, in centri comunitari, in sedi di partito – tutto il popolo di Israel, buoni e cattivi, saggi e stolti, si prepara a celebrare il grande simposio mistico di Pesach.

davar
Pesach 5772 - Dialettica, concordia, armonia
Voglio far pervenire a tutti voi e alle vostre famiglie i più sinceri e affettuosi auguri per Pesach di questo 5772. Un anno che ancora vede diversi paesi impegnati a risolvere gravi problemi strutturali di natura morale, politica ed economica.
Le comunità ebraiche italiane, che già da oltre cinque anni sono impegnate in una profonda revisione e ristrutturazione per rendere le proprie istituzioni più libere, più rappresentative, più democratiche e più efficienti, si trovano ora nel pieno di una fase attuativa che richiede coesione, collaborazione e coraggio.
Nel rispetto di una sana e costruttiva dialettica, mi auguro che una forte dimostrazione di concordia e di armonia possa creare le condizioni migliori affinché emergano, da tutte le componenti dell'ebraismo italiano, le intelligenze, le competenze e i talenti necessari a rafforzare i nostri valori, le nostre tradizioni e noi stessi.
Pesach Kasher VeSameach.


Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane


Pesach 5772 - "Messaggio unico e ancora rivoluzionario"
In momenti di grave crisi e di turbamento collettivo, come possono essere anche questi giorni, in cui si cerca e ci si illude che una leadership forte possa risolvere tutti i problemi, si può rimanere vittime di personaggi affascinanti che conquistano le masse con le loro parole.
Se si pensa alla storia di Pesach, in cui la liberazione è stata condotta da Moshè, vediamo che lo scenario è completamente differente. C’era una situazione insostenibile, un grido disorganizzato di sofferenza, ma il leader che arriva è un balbuziente, una persona che ha serie difficoltà di parlare in pubblico. Questo leader, Moshè, che riesce ad abbattere la più grande potenza dei suoi tempi, questa sera, nella cerimonia in qualche modo a lui dedicata, verrà citato una sola volta. Sono belle stranezze. Ma Pesach è strano in tutti i suoi aspetti. Viene ogni anno a tirarci fuori dalla dimensione privata delle attività e delle grandi preoccupazioni quotidiane per immergerci in una dimensione differente: quella della storia e dell’identità collettiva ebraica, che ci unisce nel tempo e nello spazio cancellando distanze di migliaia di anni e di chilometri. Potrebbe essere una bella storia di liberazione politica, ma non è solo quella, è la rivelazione divina nella storia. Pesach-Pasqua ebraica è un modo del tutto speciale per unire un gruppo umano e portare un messaggio unico e ancora rivoluzionario. La fedeltà ebraica a questo messaggio ha fatto sì che nel corso dei secoli il tempo della Pasqua sia diventato una delle occasioni più drammatiche di confronto tra diverse visioni del mondo (e della Pasqua).
Come per altre feste ebraiche, ma più di ogni altra, Pesach è la festa dei miracoli, del miracolo dell’esistenza di Israele che resiste alla storia. Ogni dettaglio rituale serve a trasmettere questo messaggio. Per questo il primo augurio di questi giorni è di un Pesach kasher, conforme al regole, perché sono proprio queste regole che ci salvano come ebrei e che portano redenzione al mondo.
Pesach kasher, ma anche sameach.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma


Pesach 5772 - "Liberi per onorare la libertà di tutti"
La storia di Pesach, dell’Esodo dall’Egitto, è una delle storie più antiche e più grandiose del mondo. Racconta come un popolo, tanto tempo fa, sia stato oppresso e poi portato alla libertà attraverso un lungo e arduo viaggio attraverso il deserto. È la storia di un passaggio dalla schiavitù alla libertà più drammatica mai raccontata, una storia che è diventata il libro di riferimento più influente sulla libertà in Occidente. “Fino dai tempi dell’Esodo – ha detto Heinrich Heine, il poeta tedesco del XIX secolo – la libertà ha sempre parlato con un accento ebraico”.
Leggiamo nell’Haggadah, in Magghìd (Narrazione), di rav Gamliel, che diceva che chi non discute dell’agnello di Pesach, della matzah e delle erbe amare non esce dall’obbligo del seder. Il perché di queste tre cose è chiaro: l’agnello di Pesach, un cibo di lusso, simboleggia la libertà. Le erbe amare rappresentano la schiavitù, a causa del loro sapore. La matzah unisce le due cose: era il pane che mangiavano gli ebrei in Egitto quando erano schiavi, era anche il pane che non poterono attendere mentre uscivano dall’Egitto come genti libere.
Non si tratta solo di simbolismo: è interessante anche l’ordine in cui se ne parla nell’Haggadah. Per prima cosa viene l’agnello di Pesach, poi la matzah e infine le erbe amare. Ma sembra strano: perché il simbolo della libertà precede quelli della schiavitù? Sicuramente la schiavitù veniva prima della libertà, per cui sarebbe più logico parlare prima delle erbe amare. La risposta, secondo i maestri chassidici, è che la schiavitù ha sapore amaro solo per un popolo libero. Se gli israeliti avessero dimenticato la libertà sarebbero cresciuti con l’abitudine alla schiavitù. L’esilio peggiore è non sapere più di essere in esilio.
Per essere veramente liberi dobbiamo capire cosa significa non essere liberi. Tuttavia la libertà stessa assume dimensioni diverse, concetto che si riflette nelle due parole ebraiche che si usano per descriverla, chofesh e cherut. Chofesh è ‘libertà da’, cherut è ‘libertà di’. Chofesh è quello che acquisisce uno schiavo liberato dalla schiavitù. Egli, o ella, è libero, non è più soggetto alla volontà altrui. Ma questo tipo di libertà non è sufficiente a creare una società libera. Un mondo in cui ognuno è libero di fare quello che vuole inizia con l’anarchia e finisce con la tirannide. Questo è il motivo per cui chofesh è solo l’inizio della libertà, non il suo destino ultimo.
Cherut è la libertà collettiva, una società in cui la mia libertà rispetta la tua. Una società libera è sempre un risultato morale. Si appoggia sull’autolimitazione e sul rispetto per gli altri. L’obiettivo finale della Torah è plasmare una società sulle fondamenta della giustizia e della compassione, che dipendono entrambe dal riconoscere la sovranità di Dio e dell’integrità della creazione. Per questo noi diciamo “Che l’anno prossimo possiamo essere tutti bnei chorim”, invocando cherut, non chofesh. Significa “che possiamo essere liberi in una maniera che onori la libertà di tutti.”
La storia di Pesach, più di qualsiasi altra, resta una inesauribile fonte di ispirazione per tutti coloro che aspirano alla libertà. Insegna la sovranità del diritto sopra il potere; che la libertà e la giustizia devono appartenere a tutti, non solo a qualcuno; che sotto a Dio tutti gli esseri umani sono uguali; che sopra a qualsiasi potere terreno sta il Re dei Re, che sente le grida degli oppressi e che interviene nella storia per liberare gli schiavi. Ci sono voluti molti secoli perché questa visione diventasse un fatto acquisito e condiviso di tutte le democrazie occidentali e non solo; non abbiamo garanzie che rimarrà tale. La libertà è un risultato morale, e senza uno sforzo costante di educazione si atrofizza e diventa di nuovo necessario combattere per arrivarci. In nessun posto più che a Pesach, tuttavia, vediamo come la storia di un popolo possa diventare ispirazione per molti; come, fedele alla propria fede attraverso i secoli, il popolo ebraico sia diventato il garante di una visione attraverso cui, alla fine “tutti i popoli della terra saranno benedetti”.
Auguro a voi e alle vostre famiglie Chag kasher vesameach.

Rav Lord Jonathan Sacks, rabbino capo del Commonwealth

(versione italiana di Ada Treves)

Pesach - "Impariamo il linguaggio di chi è diverso da noi"
Non è per me un dovere venire a parlare della festa di Pesach davanti a voi. È soprattutto un piacere e un’occasione per parlare di Torah, di Pesach, in una maniera differente da quelle a cui sono abituato. Come sapete nella Haggadah, nell’Haggadah di Pesach che leggeremo venerdì sera e la sera di shabbat, durante il Seder, rispondiamo alle domande dei quattro figli e tra i quattro figli c’è quello chi non sa fare domande; c’è però anche quello che non può fare domande.
Un midrash insegna già da lungo tempo che per rispondere a colui che non può fare domande perché è muto o perché è sordo, o ipoudente, o tutte queste cose insieme, si deve trovare un linguaggio che egli possa comprendere, in modo da non perdere il contenuto degli insegnamenti della haggadah di Pesach.
Questo insegnamento del midrash è molto attuale e ci parla di quello che l’Associazione francese ebraica di assistenza ai sordi e ai muticerca di fare da molti anni, per essere certi che l’insegnamento della Torah non sia perduto per coloro che non possono, non perché non vogliono ma semplicemente perché non possono sentire e dire gli insegnamenti della Torah a voce alta e chiara.
Per questo noi dobbiamo, e quando dico noi parlo della comunità ebraica, delle istituzioni ebraiche, far arrivare il segno della nostra immensa gratitudine all’Association Israélite des Malentendants Muets et Sourds perché essa permette di rispondere alla questione posta dal midrash, su come insegnare l’Haggadah di Pesach a coloro che non possono sentirla o pronunciarla.
Vorrei aggiungere un insegnamento molto semplice a proposito di Pesach. Spesso, nella Bibbia, la Torah, ci viene ricordato l’obbligo di non dimenticare che siamo stati schiavi in Egitto. Perché ricordarcelo così spesso, se non per insegnarci, come dice il Talmud, che non dobbiamo comportarci nei confronti degli stranieri come gli egiziani si sono comportati con gli ebrei in Egitto?
Dobbiamo fare diversamente rispetto agli egiziani, che si comportavano con disprezzo nei confronti di tutto quello che era loro straniero, straniero perché veniva da un’altra terra, straniero perché portatore di un’altra cultura, straniero anche perché non aveva le stesse capacità degli egiziani. Quando gli egiziani avevano davanti a se degli uomini o delle donne che non potevano capire, non mostravano solo disprezzo, non mostravano solo esclusione, era spesso la volontà di condannare a morte quelli che ai loro occhi non davano soddisfazione immediata, quelli a cui non sapevano come rivolgersi o di cui non sapevano che fare.
È proprio questa la ragione per cui a noi viene ricordato così spesso come non dobbiamo comportarci, nei confronti di quelli che possono apparirci come stranieri o per esempio di quelli che non sanno comunicare, o che non possono comunicare con il linguaggio, o che non lo sentono. Il nostro comportamento deve essere opposto a quello degli egiziani, dobbiamo saper imparare il linguaggio di colui che non parla la nostra stessa lingua, per trasmettere e sentire la sua ricchezza, che – perché muto, o sordo, o perché ipoudente – non può essere detta nella stessa forma in cui lo faremmo noi, ma che non è per questo meno depositaria di intelligenza, di una grande ricchezza dello spirito, di spiritualità e di amore per la terra, per la Torah e per Dio.
Sono tutte cose che non dobbiamo dimenticare a Pesach quando durante il Seder ci verrà ricordato, una volta ancora: “Non dimenticare che sei straniero in terra d’Egitto”. E io aggiungo, col Talmud “Perché nulla nel tuo comportamento possa ricordare il comportamento degli egiziani nei confronti di colui che era loro straniero”.
Avrei terminato augurandovi innanzitutto salute, una festività felice, unita nella comunità e in famiglia, in maniera che il messaggio di Pesach non venga mai dimenticato.
Ma non posso non fare, in conclusione, un collegamento con quello che la Francia e la comunità ebraica e in particolare la Comunità di Tolosa e la scuola Ozar Hatorah hanno vissuto in queste due ultime settimane.
Sono passate circa due settimane da quel lunedì mattina in cui nel cortile della scuola Ozar Hatorah un uomo è venuto per uccidere, per odiare, per distruggere; quest’uomo, quando è stato trovato, urlava il suo odio per il prossimo, per la Francia, per l’Occidente. Per giustificare il suo atto, terrificante e portatore di morte, diceva che l’aveva fatto in nome dei poveri della Terra, in nome dei bisognosi, di coloro a cui mancano molte cose, a Gaza o altrove.
A questo la nostra sola risposta è dire che quando ci sono dei bisognosi, quando è ora di dare a coloro che non hanno l’essenziale, non è con un messaggio di odio e con l’apologia dell’assassinio che possiamo farlo. È con un messaggio di amore, con la preoccupazione di condividere, con l’attenzione al prossimo che facciamo sì che chi non ha possa avere.
Così il nostro messaggio di Pesach è il messaggio della comunità ebraica, è il messaggio degli ebrei che soffrono da due settimane; il messaggio con cui dobbiamo uscire da qui, è il messaggio che dobbiamo dare in occasione di Pesach per dire che nonostante l’odio che è stato ancora una volta diretto contro gli ebrei e contro Israele, nulla ci allontanerà dalla nostra voce, che vuole che ci si preoccupi di coloro che hanno bisogno, in nome della rettitudine, della giustizia e della verità.
Grazie per aver ascoltato, grazie all’associazione che ha reso questo momento possibile e soprattutto, mi auguro che ci siano altre occasioni di incontro, con me o con altri, perché la Torah, che ci è cara, non sia sconosciuta a nessuno.
Pesach kasher ve sameach e hag sameach a ognuna e ognuno di voi.

Rav Gilles Bernheim, rabbino capo di Francia

Intervento di saluto rivolto a Parigi dal rav Bernheim a una platea di sordomuti e tradotto simultaneamente nel linguaggio dei segni

(versione italiana di Ada Treves)

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La matzah che si libera
Anna SegreCosa rappresenta la matzah nel corso del seder? Forse non tutti ci fanno caso, ma la risposta a questa domanda è tutt’altro che univoca. “Questo è il pane dell’afflizione che mangiarono i nostri padri in terra d’Egitto”. Dunque è il simbolo della schiavitù. Troppo semplice, vediamo cosa si dice un po’ più avanti, al termine della narrazione: “Questo pane azzimo che noi mangiamo, perché lo mangiamo? Perché l’impasto dei nostri padri in Egitto non ebbe tempo di lievitare”. Ah, allora rappresenta la transizione tra schiavitù e libertà, il momento del passaggio, un processo necessariamente incompleto. Forse, ma non finisce qui. Si avvicina la cena e la matzah torna ad essere soprattutto pane (quello su cui si recita la normale benedizione, ma anche quello specifico della festa), e poi ancora, nella rievocazione di ciò che faceva Hillel, il pane azzimo che accompagnava il sacrificio pasquale. E finalmente l’ultima volta che compare (sotto forma dell’Afikomen nascosta e ritrovata) rappresenta il sacrificio pasquale stesso, il massimo simbolo di libertà, e in un certo senso anche l’attesa messianica. Anche noi iniziamo il seder identificandoci con gli ebrei schiavi in Egitto, poi con il passaggio, con la liberazione e alla fine apriamo la porta per fare entrare il Profeta Elia, l’annunciatore del Messia. Anche noi, come la matzah, durante il seder passiamo dalla schiavitù alla libertà.
E’ affascinante che uno dei simboli più importanti, che dà addirittura il nome alla festa, rovesci completamente il proprio significato: la matzah non si libera solo perché assume progressivamente un significato positivo, ma forse, con le sue continue trasformazioni e con la sua identità molteplice (come quella ebraica), si libera dalla necessità di un significato univoco e in questo modo libera anche noi dal rischio dell’idolatria (che in fin dei conti si può definire come una confusione tra significante e significato). Oltre a quelli esplicitamente dichiarati la matzah avrà per ciascuno di noi un significato particolare: il ricordo di un pericolo o di una liberazione, le tradizioni, la famiglia, l’infanzia; significati che possono cambiare da un seder all’altro o magari da un momento all’altro nel corso dello stesso seder. Anche per questo, forse, Pesach, nonostante le sue regole rigidissime, è senza dubbio per tutti noi la festa della libertà.
Auguro a tutti un Pesach kasher ve-sameach.

Anna Segre, insegnante 


notizieflash   rassegna stampa
Eurolega - Maccabi ko nel finale
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Vigilia di Pesach amara per il Maccabi Tel Aviv. Lo squadrone israeliano di pallacanestro è stato infatti eliminato per un punto (86-85) dal Panathinaikos nella gara di spareggio dei quarti di finale di Eurolega. Decisivo, a cinque secondi dal termine, un tiro libero di Diamantidis. Un'autentica beffa per gli ospiti, che pur giocando peggio dei rivali avevano assaporato anche quest'anno la possibilità di accedere alla Final Four.
 
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