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4 maggio 2012 - 12 Iyar 5772
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


In un famoso passo talmudico Hillèl risponde a un non ebreo che voleva imparare la Torà nello spazio di tempo in cui riusciva a stare in equilibrio su un piede solo, "non fare agli altri ciò che hai in odio, questa è tutta la Torà, il resto è commento, vai e studia". La risposta di Hillèl basata su un verso della parashà di questa settimana (amerai il prossimo tuo come te stesso), è molto problematica. È possibile dire di una sola mitzvà che è tutta la Torà? Che senso ha dire "il resto è commento"? Dicendo questo in realtà si reintroduce tutto il resto della Torà? Ci sono molte risposte a queste domande. Ne riporto una. In realtà non fare del male al prossimo è veramente tutta la Torà ma è anche estremamente difficile. Un grande Maestro contemporaneo, Rabbi Chaim Shmuelevitz diceva che i rapporti con gli altri sono come giocare con il fuoco, prima o poi ci si scotta. Si può far del male anche con le migliori intenzioni, si può fare del male pensando di fare del del bene. Per non fare agli altri ciò che si ha in odio è necessaria tutta la Torà.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Nel marzo 1848, trovandosi a Roma dove dirigeva la Legione polacca da lui creata, Adam Mickiewicz, il poeta che più di ogni altro ha dato forma all’ “anima polacca”, scriveva, in italiano e in polacco, il “Simbolo politico polacco”: Quindici norme che riassumevano il futuro assetto della Polonia democratica e indipendente. Al punto 10 aveva scritto: “All’Israele, nostro fratello maggiore, rispetto, fratellanza, aiuto nella via al suo bene eterno e terrestre; eguaglianza in tutto nei diritti politico-civili”. Mickiewicz certamente conosceva Paolo e la sua Lettera ai Romani: “Il maggiore sarà sottomesso al minore” (9,11), ovvero Israele sarà sottomesso ai cristiani. Ma pensava a Paolo redigendo il suo Simbolo, e il punto 10 aveva dunque un sottofondo caricaturale? E il papa polacco, quando citava Mickiewicz nella sinagoga di Roma in un giorno di aprile del 1986, aveva anche lui in mente la beffa di Paolo? Il tema, già dibattuto ai tempi, è stato recentemente ripreso su queste colonne da David Assael. Anche io preferisco pensare, sia in un caso che nell’altro, a un momento di generoso altruismo. Ma la questione resta, ovviamente, aperta.

davar
Contando l'Omer - Un'esperienza mistica
Venerdi 4 maggio 27° giorno dell'Omer, 3 settimane e 6 giorni

Il periodo dell’Omer è diventato centrale nell’esperienza della kabbalà, la mistica ebraica. Il senso più profondo della parola sefirà, la “conta”, riferita all'Omer, è nell'uso che ne fa la kabbalà, con la dottrina delle sefiròt, al singolare sefirà. In uno dei testi mistici più noti dall'antichità, il Sefer Yetzirà (Il libro della creazione), la parola sefirà compare a proposito dei “32 sentieri” della creazione, rappresentati da 22 lettere (sono le 22 lettere dell'alfabeto ebraico) e dieci sefiròt, che a prima vista, in questo contesto, dovrebbero essere i 10 numeri con cui, appunto, si conta. Di qui, attraverso complicati passaggi simbolici, la parola sefirà indica gli aspetti con i quali la realtà divina si manifesta. C'è una apparente analogia con la “sfera” che abbiamo ereditato dalla lingua greca, che si presta in qualche modo, molto controverso, a rappresentare le sefirot come sfere concentriche; ma sarebbe solo un’analogia suggestiva, una strana coincidenza (anche se in questi campi è improprio parlare di coincidenze). Che cosa c'entra tutto questo con l'Omer? C'entra molto perché attraverso questi collegamenti e allusioni i giorni della conta diventano un'esperienza mistica, un percorso attraverso le sefirot, come vedremo avanti.


rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma - twitter @raviologist

Israele - Un miracolo e una grande festa
Festa grande ieri pomeriggio a Roma. Nella cornice suggestiva della Villa Miani si è celebrato il 64esimo anniversario della nascita dello Stato di Israele. Accolti dall'ambasciatore d'Israele in Italia Naor Gilon, numerosi i protagonisti della vita politica, culturale e artistica del nostro paese che hanno voluto testimoniare di persona la loro amicizia. “Oggi celebriamo 64 anni di un autentico miracolo” ha affermato l'ambasciatore Gilon, sul palco per i saluti assieme al presidente del Consiglio Mario Monti, al presidente del Senato Renato Schifani e al presidente della Camera Gianfranco Fini. In chiusura di intervento Gilon ha poi formulato un auspicio di pace per tutto il Medio Oriente e ringraziato l'Italia per il notevole impegno profuso in questo senso. La parola è quindi andata a Monti: “Il mio recente viaggio in Israele – ha affermato il premier – ha ulteriormente rafforzato il senso di stima e ammirazione che provo per questo grande Paese cui siamo legati in modo speciale e indissolubile. Sono certo che questo momento potrà rappresentare soltanto l'inizio di una proficua collaborazione che ci porterà lontano”. Monti ha poi voluto ripercorrere la storia dei rapporti tra Italia e Israele soffermandosi tra le altre sulle vicende degli ebrei di San Nicandro Garganico e sulla singolare esperienza dell'ebreo fiorentino Yoel De Malach. “Donato Manduzio e i suoi seguaci – ha spiegato Monti – dicevano che quando si è sicuri di far fiorire il deserto si può avere fiducia nel futuro. Ed è proprio la fiducia nel futuro una delle impressioni più profonde che ho tratto dal mio breve ma intenso e commovente viaggio in Israele”.

Qui Torino - Primo Levi e il rapporto con l’identità
“Dai miei lettori e dalla critica, in Italia e all'estero, io vengo ormai considerato uno 'scrittore ebreo'. Ho accettato questa definizione di buon animo, ma non subito e non senza resistenze: in effetti, l'ho accettata nella sua interezza solo abbastanza avanti nella vita e nel mio itinerario di scrittore. Mi sono adattato alla condizione di ebreo solo come effetto delle leggi razziali, emanate in Italia nel 1938 quando avevo 19 anni, e dalla mia deportazione ad Auschwitz, avvenuta nel 1944. Mi sono adattato alla condizione di scrittore ancora più tardi, dopo i 45 anni, quando avevo già pubblicato due libri, e quando il mestiere di scrivere (che tuttavia non ho mai considerato un vero mestiere) ha cominciato a prevalere sul mio mestiere 'ufficiale' di chimico. Per entrambi gli scalini, si è trattato piuttosto di un intervento del destino che di una scelta deliberata e consapevole”.
Queste le parole di Primo Levi tratte da Itinerario di uno scrittore ebreo in cui emerge in modo lampante la sua difficoltà a definirsi con una sola 'etichetta': quella di ebreo o quella di scrittore o ancora quella di chimico. Sarebbe forse più corretto parlare di queste 'etichette' come di tre elementi che si sono intrecciati in modi e quantità diverse nel corso della sua vita, ma mai l’uno senza l’altro.
“In occasione del venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, spiega Dario Disegni, consigliere del Centro Studi Primo Levi, «avvenuta l’11 aprile 1987 in seguito a una tragica caduta dalla tromba delle scale di casa sua, il Centro Internazionale di Studi Primo Levi ha deciso di organizzare una serie di iniziative tese a riflettere sull’importanza di questa straordinaria figura e sulle diverse sfaccettature che ne hanno caratterizzato la personalità”. Sei incontri per ricordare e per pensare: questo il titolo dell’iniziativa, una sorta di viaggio teso a ripercorrere la vita e gli interessi di Levi. Il primo incontro, svoltosi il 26 marzo scorso, ha affrontato il tema di Auschwitz e della deportazione, presentando al Teatro Gobetti di Torino la nuova edizione di Se questo è un uomo a cura di Alberto Cavaglion. Il 3 e 4 aprile è stato poi messo in scena, presso le Fonderie Limone di Moncalieri, lo spettacolo Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi, una pseudo intervista le cui risposte sono state attinte direttamente dalle sue stesse opere.
Per indagare e approfondire il rapporto tra Levi e il mondo ebraico è stato quindi organizzato un convegno di studi che si svolgerà domenica 6 maggio nella sede della Comunità ebraica di Torino. A presiedere l’incontro Dario Disegni, chiamati a portare un contributo rav Eliahu Birnbaum, Stefano Levi della Torre, Amos Luzzato e David Meghnagi.
L’intera opera di Levi risulta costellata di elementi tratti dalla cultura e tradizione ebraica, anche se è lui stesso a definirsi laico: “Io sono ebreo come anagrafe, vale a dire che sono iscritto alla Comunità Israelitica di Torino, ma non sono praticante e neppure sono credente. Sono però consapevole di essere inserito in una tradizione e in una cultura. Io uso dire di sentirmi italiano per tre quarti o per quattro quinti, a seconda dei momenti, ma quella frazione che avanza, per me è piuttosto importante».
Il contatto con la cultura ebraica si intensifica una volta tornato in Italia dopo la guerra: “Poiché i miei genitori sono ebrei – afferma Levi – mi sono costruito una cultura ebraica, ma molto tardi, dopo la guerra. Quando sono ritornato, mi sono trovato in possesso di una cultura supplementare e ho cercato di svilupparla »”
Il richiamo alla tradizione ebraica emerge in modo più o meno esplicito: a volte è diretto, altre rimane celato. Anna Segre, in un articolo scritto per Ha Keillah, Da Ulisse a Lilit, si chiede come si debbano cercare le influenze dell’identità ebraica in uno scrittore ebreo. Restringe il campo di ricerca a tre ambiti: l’ebraismo come condizione, come ambiente e come linguaggio. Nel caso di Primo Levi è possibile rintracciare riferimenti specifici alla cultura ebraica sotto forma di metafore e citazioni. A partire dalla prima pagina del suo primo libro, Se questo è un uomo, è presente un riferimento esplicito a due frasi dello Shemà, la prima pregheria che si impara e che si ripete ogni giorni alzandosi e coricandosi: costituisce un ammonimento alle generazioni future affinché l’orrore della Shoah non precipiti nell’oblio del tempo.
In Argon, primo racconto della raccolta Il sistema periodico, Primo Levi approfondisce lo studio delle sue origini ebraico‐piemontesi e del dialetto parlato dai suoi familiari, che si contraddistingueva per l’ironia, l’amore per i giochi di parole e per i soprannomi, così da poter far capire al lettore il modo in cui parlavano e pensavano gli ebrei dell’epoca.
Il richiamo al mondo ebraico è costante e continuo in tutti i suoi scritti, dal racconto autobiografico, al saggio. Un altro tema caro all'autore, l’uomo e il lavoro, sarà ripreso l’11 maggio, in occasione del Salone Internazionale del Libro, dove verrà presentato il volume Una telefonata con Primo Levi di Stefano Bartezzaghi. Gli ultimi due incontri si svolgeranno l’8 novembre, nell’aula magna della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Torino e il 20 novembre con una mattinata dedicata all’importanza di raccontare, insegnare, imparare Auschwitz, rivolta soprattutto ai giovani.
La varietà dei temi che vengono affrontati mette in risalto l’aspetto più significativo di Primo Levi: il suo essere poliedrico, che è ciò che gli ha permesso di instaurare un rapporto originalissimo tra la cultura ebraica, le discipline umanistiche e il sapere scientifico. Tutto questo ha contribuito a renderlo uno dei più stimabili intellettuali e testimoni del secolo scorso.

Alice Fubini, Italia Ebraica, maggio 2012

pilpul
Parole in libertà
Nella parashà letta sabato scorso, Tazrìa’, sono riportate le regole riguardo al metzorà’, colui che è affetto da una malattia della pelle chiamata tzarà’at. La Torah scrive che, una volta che la malattia sia stata accertata, il metzorà’ è impuro e “sarà isolato, la sua sede sarà fuori dell’accampamento” (Levitico 13, 46). Che alcune malattie siano contagiose è cosa nota da secoli, e non c’è bisogno di arrivare a Pasteur, Koch e agli altri illustri microbiologi dell’800 per saperlo. La Torah ci vuole forse insegnare che la profilassi prevede la segregazione dei malati? Per questo basta fare riferimento a un manuale di istruzione sanitaria. E infatti Rashì, commentando questo verso, riporta le parole del Talmud (‘Arakhin 16b) che dicono: “Perché il metzorà’ è diverso dalle altre persone impure, tanto che debba risiedere da solo? Dato che con la maldicenza (leshòn ha-ra’) ha posto una separazione fra un uomo e sua moglie, fra un uomo e il suo prossimo, anche lui sarà separato dagli altri”. Il detto dei Maestri del Talmud deriva dall’idea che il metzorà’ sia colpito dalla malattia perché ha parlato male dell’uno all’altro. Una delle basi di questa idea è l’affinità fra la parola metzorà’ e l’espressione motzì ra’, colui che fa uscire del male.
La Torah quindi ci insegna che se uno è affetto dalla tzarà’at è bene che oltre a prendere antibiotici e sulfamidici risieda da solo, non soltanto per non contagiare gli altri (come notano il Ramban/Nachmanide e la Torah Temimà) ma anche per meditare sulle proprie colpe riguardo al prossimo, perché le parole in libertà a volte hanno effetti disastrosi.

rav Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano

Non siamo originali
Anna SegreChiedo scusa se torno ancora una volta sul tema del Moked appena concluso, il ruolo della donna nell’ebraismo, ma c’è un aspetto che non mi sembra sia stato finora preso in considerazione a sufficienza: quanto i discorsi che di solito si propongono come ebraici sono davvero tali? Prendiamo per esempio una tra le argomentazioni più tipiche che si sentono: le donne non hanno bisogno di determinate mitzvot, o di ricoprire determinati ruoli, perché hanno un livello spirituale più alto di quello degli uomini. Questa concezione della donna viene presentata spesso come una specificità ebraica. Ebbene, alcuni mesi fa ho sentito le medesime argomentazioni, quasi con le stesse identiche parole, nell’ambito di una discussione tra i miei allievi di prima liceo (circa sedicenni) riferite al ruolo della donna nella religione cattolica. Niente di male se si elaborano le stesse riflessioni tra gli appartenenti a religioni diverse, ma se in ambito cattolico si dicono le stesse cose diventa duro sostenere che si tratti di valori specificamente ebraici. A me pare piuttosto che si tratti di valori che gli ebrei hanno assimilato in passato da altre culture: temo che a volte per paura dell’assimilazione di oggi ci si adagi sull’assimilazione dei secoli passati e la si accolga senza troppo senso critico. Al Moked Daniela Ovadia ha dato un’efficace dimostrazione visiva di questo paradosso mostrando due foto relative al bat mitzvà, che rappresentavano rispettivamente un gruppo di ragazzine vestite di bianco e una ragazzina che leggeva il Sefer Torà, chiedendo poi provocatoriamente al pubblico quale delle due apparisse più ebraica. Per quanto l’immagine della ragazzina in tallit possa apparirci strana io non avrei dubbi a scegliere la seconda, dato che la prima di ebraico non ha assolutamente nulla. Quante volte si rischia di scegliere il nulla per paura del poco o del nuovo?

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Tunisia - Allarme sicurezza   Leggi la rassegna

Massima sicurezza per i turisti  che si recheranno nei prossimi giorni a visitare l'antica sinagoga di Gerba. Ad annunciarlo il ministero dell'Interno tunisino che ha confermato di avere adottato tutte le misure necessarie. "La sicurezza - si legge nel comunicato del Ministero - regna in tutto il Paese, grazie agli sforzi delle forze di sicurezza e dell'esercito, che favoriscono un clima propizio all'accoglienza dei turisti".
 
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.