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9 maggio 2012 - 17 Iyar 5772
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david sciunnach
David
Sciunnach,
rabbino 


“Conterete per voi stessi sette settimane che siano complete...” (Vaikrà 23, 15). Su questo verso Rabbì Yehudà Liva figlio di Rabbì Betzalèl, conosciuto come Maharal di Praga, dice: I figli d’Israele hanno ricevuto il comando di contare ogni anno 49 giorni, dal giorno in cui veniva offerto il manipolo d’orzo sino al giorno in cui è stata donata la Torah. Questo per insegnarci che nella vita quotidiana è necessario abbinare “la farina e la Torah” (con il termine farina i Maestri intendono il lavoro quotidiano e le necessità materiali e con il termine Torah s’intende l’osservanza dei precetti e lo studio della Torah. Questo concetto è stato espresso sinteticamente da Rabbì El’azàr ben Azarià nel Trattato di Avòt (3, 23) dove è scritto: “Se non c’è farina non c’è Torah e se non c’è Torah non c’è farina”.

 Davide 
Assael,
ricercatore



davide Assael
Inutile commentare i risultati dell’ultima tornata di elezioni in Europa. Ormai ci dobbiamo abituare ad un futuro politico in cui è legittimata la presenza di forze apertamente xenofobe e, sia detto per inciso, non mi conforta affatto se i loro rancori sono prevalentemente orientati verso la minoranza islamica; già abbiamo avuto negli ultimi mesi l’esempio di come l’apertura di questa deriva finisca col coinvolgere gli ebrei (ed anche se non fosse, sarebbe comunque intollerabile). Basti per questo quanto ha scritto, mirabilmente, Anna Foa sull’ultimo numero di “pagine ebraiche”. Ciò che mi fa riflettere è, piuttosto, il compiacimento che vedo nella sinistra europea, contenta della situazione creatasi, che vede da una parte la rinascita delle formazioni legate al Pse, dall’altra una destra in preda ad un processo di cannibalizzazione interno. A mio modo di vedere, si dovrebbe piuttosto immaginare uno schema che vede da un lato i partiti che si riconoscono nei valori fondanti dell’Unione, dall’altro le forze che vi si oppongono. Non vorrei che questa miopia portasse, per spirito competitivo, alla formazione di strane alleanze per ottenere quel seggio parlamentare in più essenziale a battere coloro che si immaginano come i veri rivali politici. Magari, partendo dalla situazione greca, con quel bel partitino che ha nel suo programma l’installazione di mine antiuomo al confine turco. Ma dov’è finito quel sentimento che aveva portato Jospin a chiedere ai propri elettori di votare Chirac contro l’ipotesi Le Pen? E dov’è quell’Europa che emanava sanzioni all’Austria alla sola ipotesi di un’alleanza di governo con la destra di Haider? È probabile che quello stesso partito l’anno prossimo sarà chiamato a formare un governo…

davar
Contando l'Omer - Rabbì Shimon ben Yochai
Mercoledi 9, 32° giorno dell'Omer, quattro settimane
e quattro giorni

Questa sera, alla fine del 32° giorno, l'austerità dell'Omer avrà finalmente un'interruzione. E' il giorno divenuto sempre più caro e importante per i nostri kabbalisti, che vi festeggiano l'hillula deRashbi, il giorno della nascita, della morte (date che per i giusti coincidono) e delle nozze di rabbi Shimòn ben (bar in aramaico) Yochai. Prima di diventare il padre della mistica ebraica come autore dello Zohar, nel Talmud (TB Shabbat, non a caso nel foglio 33) rabbì Shimon è il fiero difensore di una linea di dura contro ogni compromesso con Roma. Altri suoi colleghi, anche in un periodo in cui Roma era assolutamente ostile ad Israele, ne apprezzavano la tecnologia e l'organizzazione, lui ne valutava solo i rischi morali. Fu per questo condannato e scampò alla morte nascondendosi insieme al figlio per anni in una grotta. Per questo diventò modello di rigore e di ascetismo e nel giorno a lui dedicato a decine di migliaia si recano in pellegrinaggio alla sua tomba a Meron in Galilea. Lui, almeno, con il Romano non voleva aver niente a che fare.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma -
twitter @raviologist

Yom ha Torah - Un giorno di festa per studiare ogni giorno
Prende il via domenica 20 maggio la prima edizione dello Yom HaTorah, la giornata di studio della Torah promossa dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in tutto il paese. Numerose le sfide, molti i protagonisti della vita ebraica in Italia e nel mondo che si confronteranno con gli iscritti alle varie Comunità per un'iniziativa che vuole essere un ponte di sensibilizzazione verso una maggiore conoscenza delle proprie radici storiche, culturali e religiose. "Il messaggio che vogliamo mandare - spiega l'assessore UCEI referente del progetto Settimio Pavoncello - è quello dello studio come un'attività per tutti, non riservato solo a una cerchia di professionisti. Un'attività che venga portata avanti tutto l'anno, come un'orchestra che accorda gli strumenti musicali per preparare il concerto".

Yom ha Torah - Alex: Il mio studio

Una giornata che comincia presto, prima delle cinque. Con sei bambini e un ufficio da mandare avanti può essere naturale. Specialmente se si aggiunge un’altra esigenza imprescindibile per Alex Haddad, imprenditore nel settore orafo: lo studio della Torah. Un’attività quotidiana che occupa ben più dei ritagli di tempo. Perché costituisce lo scopo ultimo della giornata. “Partecipo sempre al primo minian del mattino del tempio Josef Tehillot. Ma arrivo sempre prima dell’inizio della Tefillah per studiare un po’”, racconta. Poi inizia la giornata: ci sono i bambini da portare a scuola, l’ufficio nel centro di Milano da gestire, i mille impegni. Ma quelle ore di studio quotidiano riempiono di contenuto la giornata, le discussioni con il socio Victor, con gli amici, con la famiglia. L’ufficio del signor Haddad chiude alle 18 per permettergli di studiare fino alla preghiera di Arvit. “Poi la sera, il più spesso possibile, mi siedo con mio figlio di 12 anni ad approfondire una pagina di Ghemarah che io stesso non conosco, in modo che tra noi si crei non un confronto tra maestro e allievo, ma una havrutah. Non c’è nulla di meglio per rinsaldare il rapporto tra padre e figlio. Inoltre in casa non abbiamo la televisione, e ci sono tanti momenti in cui ci ritroviamo tutti insieme attorno al tavolo con un libro in mano. Nel mio piccolo, penso che questo sia il vero modo di vivere la Torah, senza relegarla a un unico momento della settimana, ma trasformandola in qualcosa di costante”.
Studiare autonomamente però non è facile, specie all’inizio. “A partire dal bar mitzvah, ho sempre cercato di studiare con assiduità - spiega Haddad - Tuttavia non ho mai frequentato una Yeshivah che mi desse un metodo e una base generale. Poi qualche anno fa ha iniziato a venire tutti i giovedì sera al Josef Tehillot il rav Eli Maknouz di Lione. Lui ci ha insegnato un metodo. Da allora tutte le settimane ci assegna una pagina di Ghemarah da preparare per la lezione successiva. Questo tipo di studio dà grande soddisfazione. Certo siamo facilitati anche dal fatto che al tempio c’è una biblioteca fornitissima, e un kollel, un gruppo di persone che passa le giornate a studiare, sempre a disposizione per discutere e chiarire i dubbi”. Poi il giorno principe da dedicare allo studio resta naturalmente lo Shabbat, mattina e pomeriggio, genitori e bambini insieme.
 “La cosa importante - ci tiene a sottolineare Alex Haddad - è sentire lo studio come qualcosa di proprio, seguire un programma, prendere appunti, segnarsi le domande. E arrivare al momento in cui anche il caffè con un amico diventa l’occasione per confrontarsi, per scoprire cosa di nuovo si è imparato quel giorno”.

Pagine Ebraiche maggio 2012

Qui Torino - Pagine e incontri
Fervono i preparativi per il Salone internazionale del libro di Torino, che aprirà i battenti domani per una cinque giorni di pagine e appuntamenti dedicati alla lettura in quella che è la più importante rassegna italiana del settore. Pagine Ebraiche sarà presente come da tradizione con una postazione che consentirà a tutti i visitatori di ricevere una copia del giornale, oltre che di Italia Ebraica, voci dalle Comunità, e di DafDaf, il giornale ebraico dei bambini. Il mensile dell’ebraismo italiano dedica nel numero di questo mese ampio spazio ai libri nel dossier Pagine e incontri: i primi tentativi di dialogo tra Israele e l’Iran, giocati dal basso sul filo dei social network e sul fronte letterario da una coppia di autori d’eccezione, l’israeliano Ron Leshem e l’iraniano Mahmoud Doulatabadi, il lavoro di due giovani scrittori, Alessandro Piperno ed Emanuele Trevi, entrambi profondamente legati al mondo ebraico e oggi in lizza per lo Strega, uno dei massimi premi letterari italiani, il valore inesauribile dell’opera di Primo Levi, che torna in una nuova preziosa edizione critica curata da Alberto Cavaglion. Un invito alla lettura che segnala al tempo stesso la possibilità di costruire nuove occasioni di dialogo e di conoscenza reciproca proprio grazie alla cultura e alla sua capacità di aprire nuove impensate possibilità. In questa prospettiva si colloca l’incontro di giovedì 10 maggio (ore 11.00 Spazio Autori B) ‘Editoria, identità, culture, religioni’ organizzato dalla redazione di Pagine Ebraiche e moderato dal direttore Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. A confrontarsi saranno lo storico e critico letterario Alberto Cavaglion, Davide Dalmas, storico della letteratura, il rabbino e biologo Gianfranco Di Segni, il giornalista Mostafa El Ayoubi, Sarah Kaminski, traduttrice e critica letteraria, Giulia Galeotti del quotidiano L'Osservatore romano, Luca Negro del settimanale valdese Riforma e Roberto Righetto del quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire.
Ma gli appuntamenti di Salone Off organizzati dalla Comunità ebraica di Torino cominciano già stasera. Alle 21 al Centro sociale si terrà infatti l’incontro ‘L'aleph ghimel beth della Qabbalà’ condotto da Ugo Volli con Haim Baharier in occasione dell'uscita del nuovo libro Qabbalessico edito da Giuntina. 


Maurice Sendak (1928-2012)
Illustratore di un centinaio di libri ‘per bambini’ e autore, oltre che illustratore, di un’altra ventina di testi, vincitore di numerosissimi premi, Maurice Sendak era un personaggio di forza almeno pari di quelli che popolano i suoi libri.
Aveva recentemente dichiarato: “Quando ti capita di incontrare i mostri molto presto, essi domineranno la tua vita per sempre. Se non riesci a controllarli finirai per assumere droghe, oppure chiuso in un manicomio. Se cerchi di controllarli finisci per diventare un autore di libri per bambini.” E lui è diventato uno dei più grandi, un vero Mostro sacro, definizione che forse gli sarebbe piaciuta. Certamente gli piaceva essere un personaggio, con idee molto chiare su praticamente tutto, e non erano necessariamente idee molto popolari, anzi. In effetti disse: “Non ho mai deciso che sarei diventato un autore di libri per bambini. Non ho la sensazione di voler salvare i bambini, o che la mia vita possa essere loro dedicata. Io non sono Hans Christian Andersen. Nessuno mi farà una statua da mettere in un parco con mucchi di bambini che si arrampicano sopra di me. Non se ne parla neppure!”
Nato nel 1928 a Brooklyn da una coppia di immigrati polacchi, ebrei, Maurice Sendak sicuramente non ebbe un’infanzia serena e la sua famiglia gli diede materiale in abbondanza per quella che sarebbe diventata la sua professione. Molti dei suoi libri hanno un inizio particolarmente brutale, al punto che si potrebbero individuare due temi ricorrenti: i bambini abbandonati e la perdita dei genitori. “È quello di cui ho sempre scritto. Da bambino pensavo continuamente alla morte. Ma non è una cosa che puoi raccontare ai tuoi genitori, no?”
Quando venne pubblicato il suo libro più famoso, Where the Wild Things Are (Nel paese dei mostri selvaggi, 1963), sia i suoi estimatori che i suoi detrattori iniziarono a chiamare lui Wild thing (Cosa selvaggia, tradotto in italiano come Mostro selvaggio). Fino ad allora Sendak era noto soprattutto come l’illustratore delle Storie di orsacchiotto di Else Holmelund Minarik, e l’uscita del suo libro, il primo come autore ed illustratore cambiò decisamente le cose. Non si trattava più di un cucciolo adorabile e della sua attenta mamma bensì di un quattrenne pestifero travestito da lupo che viene mandato a letto senza cena e di una ridda di mostri che piantano un putiferio pazzesco e vengono lasciati liberi, a disposizione di un pubblico di piccoli lettori.
“Un libro da non mettere in mano a bambini sensibili che potrebbero esserne negativamente i
nfluenzati” fu una delle opinioni più moderate fra quelle che seguirono l’uscita del libro. Anche altri suoi volumi furono tolti dagli scaffali perché considerati troppo spaventosi e inquietanti per i bambini (per esempio In the Night Kitchen, del 1970, fu sottoposto a censura) ma proprio questa sua capacità di dare vita ai mostri è la caratteristica che lo ha fatto amare così appassionatamente dai suoi lettori.
Maurice Sendak ha rivoluzionato l’approccio alla narrativa per ragazzi e il modo in cui i lettori vedono l’infanzia, lasciando nelle sue pagine ciò che gli altri avevano escluso. I bambini da lui raffigurati possono comportarsi male e non avere rimorsi, nei loro sogni e nei loro incubi volano in luoghi di cui nessuno immaginerebbe l’esistenza, incontrando mostri e ogni sorta di creature bizzarre.
In un’intervista rilasciata nel 93 si trova una spiegazione esaustiva: “Gli adulti hanno un bisogno disperato di sentirsi al sicuro, e proiettano questa loro necessità sui bambini. Ma quello che nessuno di noi sembra realizzare è quanto i bambini siano in gamba. A loro non piace quello che scriviamo ‘per i bambini’, quello che prepariamo apposta per loro, perché si tratta di cose insulse mentre loro cercano cose forti, concetti difficili, vogliono confrontarsi con qualcosa da cui possano imparare, non racconti didattici, vogliono racconti appassionati”.
E in un’altra intervista: “I bambini sono forti, anche se noi ce li rappresentiamo come fragili. Devono esserlo, l’infanzia non è un periodo facile, anche se noi ne abbiamo una visione sentimentale. Capiscono bene cosa è reale e cosa non lo è, capiscono le metafore e i simboli. Se i bambini sono differenti da noi, è perché sono più spontanei, mentre gli adulti negli anni si sono ricoperti di un guscio fatto di scorie”. Per chiarire definitivamente il concetto ha dichiarato: “Non scrivo per i bambini. Non scrivo per gli adulti. Scrivo e basta.”

Ada Treves - twitter @atrevesmoked


Qui Roma - Le pietre della Memoria tornano a posto
Sono tornate nella loro collocazione originaria le pietre d'inciampo in ricordo delle sorelle Graziella, Letizia ed Elvira Spizzichino barbaramente divelte a poche ore dalla loro apposizione lo scorso 12 gennaio. La cerimonia di riposizionamento delle stolpersteine, efficace incontro tra Memoria e arte opera dell'artista tedesco Gunter Demnig, si è svolta questa mattina in via Santa Maria in Monticelli di fronte al civico 67, da dove le tre donne, allora giovanissime, furono deportate verso i Campi di Bergen Belsen (Graziella e Letizia) e Auschwitz (Elvira). Tra la piccola folla di giornalisti, familiari e curiosi radunatasi attorno agli operatori del Comune anche la curatrice del progetto 'Pietre d'inciampo a Roma' Adachiara Zevi.

Qui Roma - Storia di un (difficile) reinserimento
Scrive Fabio Levi nell'introduzione al testo: “Nella considerazione dei partiti di maggioranza e dei governi centristi affermatisi negli anni Cinquanta del secolo scorso, davanti a tutti, prima dei perseguitati politici e poi anche di quelli 'razziali', dovevano stare i reduci della Repubblica di Salò. La Democrazia cristiana e i suoi alleati, malgrado l'opposizione dei partiti di sinistra, subordinavano qualsiasi azione risarcitoria per antifascisti ed ebrei all'approvazione di analoghe, se non più generose, misure rivolte ai reduci della repubblica collaborazionista di Mussolini. Era come lungo una fila in attesa: gli ebrei stavano in fondo, seminascosti da chi si trovava in una posizione più favorevole e avrebbe dunque avuto ascolto prima e meglio. Non importa che il posto d'onore fosse riservato ai loro persecutori”.
Fresco di presentazione alla Festa del Libro ebraico di Ferrara, il volume “Il difficile reinserimento degli ebrei-Itinerario e applicazione della Legge Terracini” (Zamorani editore, 2012) sarà oggi protagonista anche nella Capitale con un'intensa tavola rotonda che avrà luogo a partire dalle 17 alla Casa della della Memoria e della Storia. Al centro del dibattito, cui prenderà tra gli altri parte l'autrice Elisabetta Corradini, i vari passaggi che portarono all'emanazione della Legge Terracini – che vede la luce nel 1955 con l'intento di recare “Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti" – ma anche le sue reali applicazioni, comprensive di successive integrazioni e modifiche, verso chi fu vittima dell'odio nazifascista in Italia. L'occasione di fare il punto sull'efficacia dei risarcimenti e sul percorso di reinserimento degli ebrei italiani dal primo dopoguerra fino a oggi sarà data dalla presenza all'incontro di molti autorevoli relatori. Tra gli altri l'avvocato Giulio Disegni, che rappresenta l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di cui è consigliere nella specifica Commissione istituita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Micaela Procaccia (Archivio di Stato) e Fabio Levi (Università di Torino). Presiederà i lavori Claudio Fano, presidente ANPPIA Roma e Lazio, mentre le conclusioni saranno affidate al presidente nazionale Guido Albertelli.

Qui Genova - Alla scoperta delle chiavi perdute
Musica e Parole. La preghiera nella tradizione ebraica: alla scoperta delle chiavi perdute è il titolo della serata organizzata dal Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunita’ Ebraiche Italiane insieme alla Comunità ebraica e l’Adei-Wizo di Genova al Centro Sociale Dino Foa.
Si tratta di un tema a cui i relatori invitati, lo psicanalista David Meghnagi e la psicologa Daniela Abravanel, lavorano da tempo, per ritrovare quelle “chiavi perdute” in un duplice senso, non solo musicale ma anche interpretativo: filo conduttore della serata è stato infatti riscoprire e ricollocare il rituale di preghiera ebraico, la tefillà, all’interno di un quadro complesso e interpretativo ebraico, svelando l’importanza e la centralità della preghiera nella tradizione ebraica, oltre a  mostrare il senso che essa può avere nella vita e nella quotidianità alla luce di alcune ricerche in psicologia. Non solo le parole della preghiera ma anche la musica ad essa associata mostrano soprattutto una cosa: la volontà di aprirsi al mondo e costruire una visualizzazione positiva della realtà. Come ha fatto notare Daniela Abravanel questa è l’opera che soprattutto Miriam, sorella di Mosè, ha insegnato al popolo ebraico. La preghiera nell’ebraismo secondo David Meghnagi sembra infatti avere proprio questa funzione di mediazione tra sé e la realtà e potremmo dire avere un ruolo curativo e positivo di grande importanza. Anche la musica, prevalentemente basata sul “Mi” e non sul “Do”, come invece la musica gregoriana, sembra confermare la stessa funzione: apertura positiva al mondo e alla vita e al sentimento di gioia. Per questo si tratta di “musica e parole” che rafforzano una certa disposizione d’animo e che accompagnano, non a caso, i nostri gesti, quello che vediamo e sentiamo nella nostra quotidianità, circostanze e occasioni, dal risveglio della mattina al momento in cui ci corichiamo. Anche rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova, nelle sue conclusioni ha rafforzato proprio questa idea di apertura e anche di studio che la tefillà rappresenta: essa infatti raccoglie molti brani della Torah oltre ai testi poetici d’autore. Sarebbe ora troppo lungo raccontare le riflessioni e i numerosi stimoli della serata.
Credo che tra i tanti meriti della due relazione vi sia il tentativo di offrire una cornice adeguata, potremmo dire “al passo coi tempi”, a una pratica che spesso rischia di divenire mera ritualità senza un grande significato, un semplice gesto spesso sconnesso da una riflessione e una curiosa consapevolezza. Svelare i significati originari di una pratica alla luce della tradizione e delle conoscenze che oggi abbiamo non fanno che dare senso, rivitalizzare e riattualizzare gesti e pratiche che ci arrivano da lontano e magari non sappiamo perché...

Ilana Bahbout

Qui Firenze - La Comunità torna alle urne
Il Consiglio della Comunità ebraica di Firenze ha fatto pervenire ai suoi iscritti la seguente comunicazione:

Il Consiglio della Comunità ebraica di Firenze riunitosi in seduta straordinaria a seguito delle dimissioni del consigliere Filippo Fiorentini, preso atto che le dimissioni del consigliere Fiorentini fanno seguito a quelle presentate a suo tempo da Gadiel Liscia, Silvia Bemporad Servi e Mauro Di Castro, considerato evidente lo stato di crisi della rappresentatività necessaria per una piena e fattiva possibilità di governo della Comunità, constatato il malessere della base comunitaria con manifestazioni di aperto dissenso e di sostanziale distacco dal Consiglio. Dopo profonde riflessioni al proprio interno, essendo emersa l’impossibilità a proseguire nel proprio lavoro con quella necessaria serenità che i problemi comunitari richiedono. Nel superiore interesse della Comunità Ebraica di Firenze, all’unanimità, rimette il proprio mandato. Il Consiglio, ai sensi dell’art.12 dello Statuto dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, indice per il giorno 28 Ottobre 2012 le elezioni per il nuovo Consiglio. Convoca per mercoledì 23 maggio 2012 alle ore 21 l’Assemblea degli iscritti per la nomina della Commissione Elettorale. Definisce per le ore 12 di venerdì 28 settembre 2012 il termine ultimo di presentazione delle candidature.  Convoca per il 14 ottobre 2012 alle ore 10 l’Assemblea degli iscritti per la illustrazione da parte dei candidati delle linee-guida che si propongono di adottare. 


Qui Milano - Un festival di cultura ebraica sui mitici Navigli
Fare una passeggiata in una sera di primavera lungo i Navigli a Milano è un’esperienza davvero piacevole. La calma dei canali contagia chi li costeggia, il clima gradevole consente di godersi di più i dettagli di quell’angolo un po’ vecchio stile della città, e mentre si cammina si colgono con l’orecchio stralci di chiacchiere o musica che escono dagli innumerevoli locali. È in un’atmosfera come questa che si è svolto alle Scimmie l’ultimo evento del Piccolo festival della cultura ebraica, tre giorni dedicati alla cultura, alla musica e alla cucina ebraica: dopo quello che si è deciso significativamente di chiamare tiul, una cena sotto forma di tour gastronomico alla scoperta delle specialità israeliane ed ebraiche, ogni sera la presentazione di un libro seguita da un concerto. Questa domenica Gabrio Gabriele ha presentato il suo libro "La breve stagione di Teodora Anita Grandi Langfelder” e ha suonato l’ensemble di musica kletzmer Mashkè; ieri invece è stato presentato il libro di Waldy “Lettere da Varsavia” e si è tenuto lo spettacolo-concerto delle Stellerranti. Un’iniziativa fortemente voluta dal proprietario dello storico locale milanese Sergio Israel, che ha raccontato di sentire molto forte, in quanto ebreo della diaspora, “l’esigenza di mostrare la nostra normalità, di parlare agli altri, all’interno di un contesto ordinario e conosciuto, della nostra cultura e anche delle cose belle che riguardano Israele. Un modo anche questo per combattere l’intolleranza”. E proprio intorno alla lotta contro l’intolleranza ruota tutta l’attività di Angelica Calò Livne, che ieri sera è venuta da Israele a presentare il suo libro “Una voce ha chiamato e sono andata…” (Proedi). Romana, abita dall’età di vent’anni nel kibbuz Sasa, da dove ha dato vita alla Fondazione Beresheet Lashalom, che si occupa di far incontrare ragazzi di culture ed etnie diverse, in uno spirito di pace e fratellanza, per unirli attraverso l’arte e la musica. Ed è così che è nata una compagnia teatrale composta da ragazzi israeliani e palestinesi, il Teatro comunitario della Galilea Arcobaleno, che il 20 maggio porterà per la seconda volta qui in Italia, a Trento, il suo spettacolo The Seasons of Adolescence. Impossibile raccontare in poche righe tutto quello che Angelica fa e che ha fatto negli ultimi dieci anni di vita della Fondazione. Dal toccante episodio dei professori palestinesi che non avevano mai potuto superare il check point e vedere il mare e che hanno potuto farlo per la prima volta proprio venendo all’incontro con i loro colleghi israeliani, al soccorso del marito di Angelica a un ebreo molto religioso caduto per terra rompendosi la gamba che inizialmente diffidava di lui in quanto laico ma che ora lo ha praticamente accolto nella sua famiglia, tutte avventure che hanno avuto come risultato il superamento dei pregiudizi, a partire dalla semplice condivisione di esperienze che ha portato alla nascita di vere e proprie amicizie fra persone molto diverse. E a testimonianza  di quanto queste possano essere forti, ad accompagnare Angelica ieri sera c’era l’amica e collega Samar Sahhar, palestinese e cristiana, esperta nel campo dell’educazione. Le due donne girano insieme il mondo per spiegare quanto l’educazione sia un potentissimo mezzo per risolvere i conflitti, e che dunque le scuole siano il vero punto di partenza del percorso verso la pace. Pace che, nel caso del conflitto mediorientale, ha detto Samar, “ci potrà essere solo quando ogni palestinese avrà un amico fra gli israeliani e quando ogni israeliano avrà un amico fra i palestinesi”, perché è solo instaurando rapporti personali che si può andare oltre le apparenze e superare le paure, che stanno alla base della violenza. Dopo la presentazione del libro si sono esibiti il violinista israeliano Uri Chameides con il figlio Michael e il chitarrista milanese Marco Pisoni, in un concerto che ha portato gli spettatori in un viaggio alla scoperta della musica kletzmer, una musica che nasce dalla sovrapposizione di culture diverse nello spazio e nel tempo. E costeggiando a ritroso, sulla via di casa, il placido naviglio con queste melodie ancora in testa, le quasi foscoliane parole di Samar acquistavano forza e chiarezza: “Non bisogna aspettare per compiere  buone azioni, perché si vive solo una volta e non si può chiedere al Signore di tornare indietro lungo la strada già percorsa. E l’uomo non è niente, solo i ricordi buoni della vita”. 

Franscesca Matalon - twitter @MatalonF  


pilpul
Antisemitismo e paraocchismo
Francesco LucreziSi parla molto, negli ultimi tempi – e, purtroppo, a ragion veduta – della recrudescenza dell’antisemitismo in Europa nel mondo, tanto che le dimensioni del fenomeno avrebbero indotto perfino le autorità europee a indagare su di esso, per misurarne l’estensione e la pericolosità, al fine di studiare possibili misure di contrasto. E non pochi interventi, su questo portale, così come sulla sua edizione cartacea, hanno offerto delle lucide, allarmate radiografie del pregiudizio antiebraico, considerato nelle sue odierne configurazioni e ramificazioni (di tipo politico, razzista, clericale, xenofobo ecc.). Nonostante la puntualità di tali analisi, resto comunque dell’idea che ogni tentativo di ‘catalogazione’ e ‘censimento’ dell’antisemitismo sia, in partenza, parziale e fallace, dal momento che cerca di fotografare un fenomeno che, da sempre, per sua stessa natura, è ambiguo, invisibile, sotterraneo. Di chi, oggi, in Italia, si potrebbe infatti dire, senza timore di smentita (o di condanne giudiziarie: vedere la vicenda Nirenstein-Vauro-Caldarola), che è antisemita? Chi è che dice apertamente “odio gli ebrei”, “morte agli ebrei” ecc.? C’è anche chi lo dice, purtroppo, ma è evidente che tali esplicite affermazioni – che, nel mondo islamico, non c’è bisogno di nascondere – circolano, da noi, quasi esclusivamente sul web, o nell’oscurità di ambienti ‘ghettizzati’ dell’estremismo di destra (e anche di pseudosinistra), e raramente vengono allo scoperto in ambito pubblico, sulla stampa cartacea o nel dibattito culturale e politico. Lo stesso vale per il negazionismo e il revisionismo, che hanno pericolosamente preso piede, arrivando perfino a penetrare in scuole e Università, ma restano tuttavia, grazie a Dio, almeno per ora, fenomeni marginali. Fuori dal ‘buio’ dei ghetti neonazisti o negazionisti, alla luce del sole, nella società civile, nella cultura, nell’opinione pubblica, nell’informazione, non c’è dubbio che l’antisemitismo, qui e ora, al 99 %, si cela nell’antisionismo. E qui, naturalmente, si pone l’eterno problema della distinzione tra la libera critica politica del governo di Israele - ovviamente, lecita, anzi salutare - e la delegittimazione globale dello Stato ebraico, del quale si auspica la distruzione - che sarebbe, essa sola, una forma camuffata di antisemitismo. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Anche in questo caso, ci dobbiamo chiedere: quanti, in Italia, dicono apertamente che lo Stato di Israele non dovrebbe esistere, o dovrebbe essere distrutto? Non sono molti. Quanti sono, invece, quelli che esercitano, con severità, la “libera critica”? Milioni, quasi tutti. Si dovrebbe forse impedirglielo? Dovremmo forse costringere tutti a elogiare il governo di Gerusalemme, qualsiasi cosa faccia? Dovremmo bollare quasi tutti quelli che criticano Israele di antisemitismo? Si tratta di domande retoriche, ma la seguente non lo è: cosa è che spinge tanti direttori di giornali, nel riempire le pagine degli esteri, a cercare notizie relative al Medio Oriente, con evidente preferenza rispetto ad altre aree, pur importanti, del mondo? Cosa li spinge a trascurare, nascondere, minimizzare qualsiasi cosa possa dare qualche ragione ad Israele, e a raccogliere ed enfatizzare tutto ciò che vada nella direzione contraria? Cosa li annebbia al punto da non vedere mai travi gigantesche, e sempre minuscole pagliuzze? Cosa li spinge a essere attratti dai torti (veri o inventati) di Israele come api dal miele, a cercarne le possibili ‘colpe’ con meticolosa, instancabile cura? E cosa, soprattutto, li induce a non scorgere il carattere assolutamente autogeno, autoreferenziale dell’ostilità antisraeliana, sulla quale qualsiasi eventuale comportamento virtuoso di Israele scivola come l’acqua? In altre epoche, l’ostilità antiebraica, com’è noto, aveva altre giustificazioni. E quasi tutti ne erano imbevuti. Tutti, per esempio, erano convinti che gli ebrei avessero, tutti insieme, ucciso Gesù. Come si sarebbe potuto individuare, allora, chi era antisemita? Lo erano tutti? O nessuno? Era il mondo di allora a essere, nel suo insieme, antisemita? Oggi, l’antisemitismo agisce in un altro modo, imponendo alla gente dei paraocchi, utili a nascondere la verità dei fatti, e a fare vedere, sempre e solo, le colpe di Israele. Ed è molto difficile, con questi paraocchi, esercitare una libera critica. Per questo, un ‘censimento’ dell’antisemitismo è pressoché impossibile. E può essere anche controproducente, dal momento che potrebbe dare un bel “bollino blu” di “non antisemita” a chi si  impegna giorno per giorno, ora per ora, a spargere veleno contro la patria degli ebrei. Occorrerebbe quindi un nuovo concetto, una nuova parola. Proporrei ‘paraocchismo’. Quasi tutti gli ‘autisti’ dei nostri giornali supererebbero senza difficoltà il test alcolemico di antisemitismo. Molto più difficilmente quello di paraocchismo.  

Francesco Lucrezi, storico


notizie flash   rassegna stampa
Algeria - Matite con la scritta "I love Israel"
  Leggi la rassegna

Matite colorate con la scritta "I love Israel" sul dorso, è quanto sta accadendo in Algeria non senza causare qualche polemica. A Mascara sono infatti arrivate confezioni di matite colorate, destinate agli alunni, con la inequivocabile dichiarazione d'amore per Israele. Le confezioni sono imballate con un quaderno da disegno, un'altra matita e un temperamatite, questi però senza scritta."La vendita di questo prodotto ai nostri bambini - ha commentato il genitore di uno studente - è semplicemente una incitazione ad amare lo Stato sionista israeliano". Le matite non sono state costruite in Israele. Portano invece l'immancabile marchio 'Made in China' e non quello del distributore.

 

Nel giorno nel quale in Israele avrebbe dovuto essere ufficializzata la data di nuove elezioni che, a detta di tutti, avrebbero dovuto migliorare la posizione di Netanyahu alla Knesset, con una mossa tipica dei grandi statisti il premier israeliano annuncia l'intesa con il principale partito d'opposizione.

Emanuel Segre Amar


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