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10 maggio 2012 - 18 Iyar 5772
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elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


“U-sfartèm lakhèm mi-machoràth ha-Shabbàth eth ‘Òmer ha-tenufà, shéva‘ shabbathòth temimòth tihyéna”, “Conterete per voi dall’indomani della festa l’‘Òmer dell’elevazione, sette settimane complete saranno”. Con questo verso la Torà prescrive il conteggio dei giorni del periodo dell’Òmer, cioè del periodo tra Pésach e Shavu‘òth nel quale ci troviamo. L’Omer, la misura d’orzo che veniva portata al Santuario, logicamente non viene più né presentata né elevata. Invece il conteggio è rimasto. Perché? Per rispondere, dobbiamo fare mente locale ad altri momenti collegati a un conteggio di giorni o di epoche. Innanzitutto, noi contiamo i giorni della settimana con riferimento alla Shabbàth: “yom ri’shòn (shenì, shelishì,...) be-shabbàth”, “giorno primo (secondo, terzo,...) per il Sabato”; pertanto il conteggio è in relazione allo Shabbàth, ragione e scopo di tutto il lavoro settimanale. Si contano i giorni di scadenza per la Milà. Contano mensilmente i giorni preparatori al Miqwè le donne sposate. Contava i giorni una persona affetta da impurità rituale prima di riacquisire la purezza del corpo e poter rientrare a pieno diritto nella società. Si contavano gli anni rispetto alla scadenza dell’anno sabbatico, ogni sette anni, ed infine si contavano gli anni prima della scadenza dell’anno giubilare. Quest’ultimo computo era di quarantanove anni, parallelo ai quarantanove giorni dell’‘Òmer. Ora, se facciamo attenzione a tutti questi conteggi, notiamo che in tutti si tratta di passare da una condizione ad un’altra del tutto diversa: lo Shabbàth si pone in una dimensione extratemporale rispetto alla settimana; l’ottavo giorno di vita del neonato segna il suo ingresso nell’alleanza di Avrahàm e la sua effettiva nascita alla vita d’Israele; la moglie, col Miqwè, rinnova il magico momento della sua unione col marito; la persona impura, riacquistando la purità, rientra dall’isolamento nella collettività; l’anno sabbatico rinnova i rapporti con la società e la natura; l’anno giubilare significava una pacifica rivoluzione nei rapporti della vita sociale. Anche l’Omer segna il passaggio d’Israele da una condizione ad un’altra. Israele, che con Pésach celebra la proclamazione della sua unità di popolo, deve prepararsi a celebrare la sua nascita alla vita vera d’Israele, alla sua vocazione di popolo sacerdotale, che si celebra a Shavu‘òth, col dono della Torà. Israele deve salire gli scalini di questa nuova vita, deve contare gli scalini che lo condurranno ad essere “mamlékheth kohanìm we-goy qadòsh”, “un reame di sacerdoti ed un popolo consacrato”.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Eravamo andati a letto la sera, felici, sapendo che la Knesset aveva votato con 109 favorevoli contro uno contrario per l'anticipo delle elezioni in Israele al 4 settembre 2012 invece del novembre 2013. Shaul Mofaz, da poco eletto nuovo leader del partito Kadima aveva detto in serata: "Non entrerò nel governo di Netanyahu, è chiaro?" e poche settimane fa in commissione aveva detto: "Netanyahu è un bugiardo, e mi potete citare". Ci siamo risvegliati al mattino, stupefatti, con un governo di grande coalizione sostenuto da 94 deputati su 120. Ed ecco Mofaz viceprimo ministro nel governo di Bibi. È la grande svolta politica che porterà avanti e anzi trasformerà il paese nei prossimi 18 mesi? Gli israeliani non sono tanto sprovveduti e non la bevono. Nei sondaggi, il 63 per cento dicono che la manovra è stata fatta per angusti interessi personali e di partito e non per ragioni di Stato. La grande maggioranza non crede che le due grandi riforme promesse da Mofaz verranno effettuate: il nuovo statuto sul servizio militare o civile da parte di tutti i cittadini, inclusi i haredím e gli arabi; e la riforma del sitema elettorale. Ma è anche vero che ora non ci sono più scuse. Con una tale mastodontica maggioranza quasi bulgara, Bibi non può più essere ricattato dai suoi partners, e tutto quello che il governo di Israele farà o non farà fino alle prossime elezioni potrà essere attribuito solo a lui.

davar
Contando l'Omer - La regola che non c'è
Giovedi 10 Maggio, 33° giorno dell’Omer, 4 settimane
e cinque giorni

Nella nostra generazione assistiamo ad un eccezionale sviluppo dello studio della Torà, per quantità degli studiosi e qualità della produzione. Ma non tutti i periodi della storia ebraica sono stati così, e vi sono stati momenti di tale decadenza che i Maestri addirittura prefigurarono (in TB Shabbat 138b-139a) la fine della Torà, per oblio. Li sosteneva un brano di Amos (8:11-12) nel quale si annuncia una grande fame, non di pane, e una grande sete, non di acqua, ma della parola divina, che sarà però introvabile. In totale opposizione un unico Maestro disse il contrario: la Torà non sarà mai dimenticata da Israele, כִּי לֹא תִשָּׁכַח מִפִּי זַרְעוֹ ki lo tishakhach mipì zar’ò (Dev. 31:21). Se è così, cosa fare del verso di Amos? Significa solo che sarà difficile trovare una regola chiara (come effettivamente succede in molti casi). Il Maestro dissidente è Shimon ben Yochai, l’eroe di questa giornata di Lag baOmer (e c’è chi ha visto un’allusione al nome di suo padre nelle lettere finali di ogni parola del verso che cita). Di solito la regola viene decisa secondo l’opinione della maggioranza, in questo caso non c’è una regola da decidere, forse solo uno schieramento di simpatia. Ma la popolarità del personaggio la dice lunga su chi è stato preferito. Con buona pace dei catastrofisti, un filo di speranza e ottimismo.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma -
twitter @raviologist

Yom ha Torah - Lo studio che dura tutta la vita
Prosegue il viaggio alla scoperta dei programmi, delle storie e dei personaggi che animeranno la prima edizione dello Yom haTorah, la giornata di studio della Torah promossa dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il prossimo 20 maggio. Un grande appuntamento nel segno del confronto che coinvolgerà tutte le Comunità in un continuo scambio di idee tra Maestri e allievi.


Yom ha Torah - Igor: La mia identità


“Ho frequentato la scuola lubavitch fino alle medie, e poi la scuola della Comunità ebraica fino al liceo. Devo ammettere che se ne sono uscito con un grande amore per l’ebraismo e gioia per la vita ebraica, non altrettanto posso dire per quanto riguarda lo studio. Allo stesso tempo però terminato il liceo sentivo un forte bisogno di lasciare Milano per fare nuove esperienze. E poiché i miei genitori erano poco propensi a lasciarmi partire, il modo migliore per convincerli fu iscrivermi in Yeshivah in Israele”. Così Igor Braha, imprenditore milanese nel settore tecnologico racconta la storia del suo incontro con lo studio della Torah, con una permanenza in Yeshivah nata in maniera quasi casuale, ma che si è rivelata fondamentale per la sua formazione “Alla Yeshivat Kibbutz HaDatì vicino Ashkelon mi ritrovai insieme a ragazzi provenienti da famiglie tradizionaliste o religiose, ma non ortodosse al punto da fare sì che gli studi ebraici rappresentassero per loro la via naturale. Era gente che aveva liberamente scelto di dedicarsi allo studio della Torah. Questo mi colpì molto. Così come apprezzai l’attenzione che veniva rivolta allo studio della storia ebraica, per capire chi fossero Rashì, il Rambam, gli altri maestri, nel contesto in cui vivevano”. Dagli studi in yeshivah, Igor ha ricavato anche l’acquisizione di un metodo “Lì imparai, come dicevano i miei Maestri ad ‘aprire un libro’, cioè a essere capace, di fronte a un dubbio o a una curiosità, di prendere autonomamente in mano, per esempio, la Ghemarah, e di studiarne una pagina”. Oggi per Igor Braha lo studio è soprattutto la discussione il confronto con compagni, amici, osservanti e non, tutti con il proposito di imparare e insegnare allo stesso tempo (“non a caso in ebraico queste due parole, lomed e melamed, condividono la stessa radice” sottolinea). E rispetto al passato, studiare è ora più semplice, grazie alle numerose traduzioni anche in italiano, e alla diffusione di programmi per il computer che facilitano la consultazione delle fonti “Io per esempio ne uso uno che permette, cliccando su un versetto, di accedere a tutti i commenti, le spiegazioni, i passaggi collegati - sottolinea Braha, che conclude - Per me lo studio della Torah rappresenta la ricerca di se stessi, la costruzione della propria identità ebraica, che dallo studio della Torah non può prescindere”.

Pagine Ebraiche, maggio 2012

Qui Roma - Napolitano ricorda Stefano Gay Taché
Menzione anche per Stefano Gay Taché ieri al Quirinale alla cerimonia in ricordo delle vittime del terrorismo in Italia. Un momento lungamente atteso dalla Comunità ebraica di Roma che da tempo chiede l'inserimento del nome del piccolo Stefano, caduto vittima dell'agguato mortale all'uscita del Tempio Maggiore della Capitale il 9 ottobre 1982, nella lista che commemora chi ha perso e continua ancora oggi a perdere la vita sotto i colpi dell'odio. È la prima volta che il presidente della Repubblica si sofferma su quel tragico episodio in occasione delle celebrazioni ufficiali del 9 maggio. Ad ascoltare del vivo le sue parole tra gli altri il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici e il fratello di Stefano, Gadiel Gay Taché, anch'egli vittima diretta del fuoco palestinese come molti altri ebrei romani che si trovavano in quegli istanti all'uscita della sinagoga. Soddisfazione, commozione ed orgoglio per le parole del presidente Napolitano sono state espresse da entrambi. “Il ministro dell'Interno Cancellieri – ha poi spiegato Pacifici – ci ha assicurati avere in carico la pratica e che dal prossimo anno, vogliamo immaginare, il nome di Stefano Gay Taché sarà inserito nella lista ufficiale”. Non è stato facile raggiungere questo obiettivo, prosegue il leader degli ebrei romani, che sente per questo di dover ringraziare in primis Pierluigi Battista del Corriere della Sera (“che ne ha fatto una 'sua' battaglia dalle pagine del quotidiano per cui scrive”) e il sindaco di Roma Alemanno (“che dopo essersi esposto con vari appelli pubblici ha pressato in questi mesi il cerimoniale e la Commissione preposta”). L'obiettivo, conclude Pacifici, è adesso quello di organizzare una grande cerimonia al Quirinale in occasione del trentesimo anniversario dell'attentato.

Qui Torino - Informazione e identità al Salone del Libro
Ha aperto i battenti il Salone internazionale del Libro di Torino, una manifestazione che ormai da diversi anni vede Pagine Ebraiche e la sua redazione in prima fila.
Se alla postazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sono pronte migliaia di copie da offrire a tutti i visitatori, con il dossier Pagine e incontri dedicato alla lettura, il confronto Editoria, identità, culture e religioni, introdotto dal direttore Guido Vitale, è stato fra gli appuntamenti di apertura della giornata. A intervenire sono stati lo storico e critico letterario Alberto Cavaglion, Davide Dalmas, storico della letteratura, il rabbino e biologo Gianfranco Di Segni, il giornalista Mostafa El Ayoubi, Sarah Kaminski, traduttrice e critica letteraria, Giulia Galeotti del quotidiano L’Osservatore romano, Luca Negro del settimanale valdese Riforma e Roberto Righetto del quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire. In un luogo in cui si celebrano i libri e la lettura,
proprio dalla scelta di un titolo sono partiti i contributi dei relatori, chiamati a indicare un volume significativo per raccontare cosa significhi il concetto di identità. Diverse le suggestioni proposte, da Saggezza straniera di Arnaldo Momigliano, che Cavaglion ha definito “un inno all’osmosi culturale” a Il cabalista di Praga di Marek Halter, scelto da rav Di Segni; da Epistola ai romani di Karl Barth, suggerito da Davide Dalmas, a Qabbalessico di Haim Baharier segnalato da Luca Negro. E poi ancora le diverse scelte dei due giornalisti della stampa cattolica, Fino ai confini del mondo di Maria Barbagallo per Giulia Galeotti, e Il bene sia con voi di Vasily Grossman per Roberto Righetto. A completare il quadro, L’Islam spiegato ai nostri figli di Tahar Ben Jelloun proposto da El Ayoubi. Mentre la professoressa Kamiski ha sottolineato che il libro che vorrebbe è un libro che ancora non esiste, un libro in grado di spiegare l’ebraismo nelle sue diverse identità.

Qui Roma - Contro l'intolleranza insieme al Colosseo
Si sono spente le luci del Colosseo e si sono accese quelle delle fiaccole di solidarietà per i cristiani vittime di discriminazione e persecuzione nel mondo. Nel luogo che parla della storia dei martiri cristiani dell'epoca romana, per un attimo il tempo si è fermato in una tiepida serata di primavera, mentre tutto intorno le macchine continuavano a sfrecciare nel traffico denso del rientro a casa dopo il lavoro. Tante davvero le persone che sono accorse alla serata promossa dalla Comunità ebraica di Roma e dalla Comunità di Sant'Egidio cui hanno aderito anche molte istituzioni e associazioni ebraiche italiane a partire dall'UCEI. Sul palco il ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione Andrea Riccardi, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità di Sant'Egidio Marco Impagliazzo, il sindaco della Capitale Gianni Alemanno, il presidente della provincia Nicola Zingaretti e Mariella Zezza, assessore regionale al Lavoro intervenuta in rappresentanza della governatrice del Lazio Renata Polverini. Molti anche i messaggi di adesione e di sostegno delle istituzioni. Tra gli altri viene letto quello del presidente della Camera Gianfranco Fini, che si sofferma sull'importanza della diffusione del valori del dialogo in tutta la società italiana.
"Noi sappiamo che i cristiani in quei Paesi sono una presenza importante per l'aiuto che danno alle popolazioni in campo medico, sanitario, educativo. Con Sant’Egidio - ha detto Pacifici - dividiamo il ricordo della Shoah e ci siamo sempre intesi per lo sforzo straordinario che profondono per far conoscere il mondo ebraico. Insieme ci ritroviamo questa sera al Colosseo, un simbolo di persecuzione che noi e i cristiani abbiamo subito. Che le fiaccole di stasera aiutino a far riflettere". "Tante volte - ribadisce rav Di Segni - abbiamo raccolto la solidarietà dei cristiani per gli attacchi alle comunità ebraiche in varie parti del mondo. Oggi siamo noi a portare solidarietà, e a manifestare insieme contro l’offesa della dignità umana". Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, fa riferimento a Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze ucciso nel 2011, per sottolineare come spesso essere cristiani significhi trasmettere un messaggio di pace che disturba. "La nostra libertà - afferma - deve portarci a difendere la libertà degli altri. La risposta alla violenza è la solidarietà, l’attenzione, la preghiera". Della forza della preghiera parla anche il ministro Riccardi. ''Le luci di questa sera - spiega - significano che non accettiamo il silenzio e che non ci siamo abituati alla triste litania delle donne e degli uomini cristiani che vengono uccisi e terrorizzati. Questo è un fatto terribile e l'attenzione da parte del governo italiano c'è oggi e c'è da sempre''. Il ministro ha poi ricordato anch'egli come le persone presenti alla fiaccolata di ieri sera fossero le stesse che si trovano ad onorare le vittime della Shoah su piazzale 16 ottobre 1943 nella sera della marcia silenziosa che ha luogo ogni anno in quella data. ''La libertà religiosa - interviene il sindaco Alemanno - è fondamento ineludibile della dignità umana. Quello che impressiona è che ancora oggi ci sia di fronte alla libertà religiosa una specie di pudore''. Anche dal presidente della Provincia Zingaretti arriva l'appello ad ''intervenire per la libertà religiosa, che è la prima libertà del mondo'' e all'Europa per assumere ''la questione come prioritaria''. A concludere la serata è la testimonianza di Regina Martins, nigeriana, che esprime preoccupazione per il fatto che nel suo Paese l’odio religioso sfoci in guerra civile e la speranza che si possa arrivare a una convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.
Le personalità scendono dal palco per lasciar parlare la voce del silenzio. Una musica tribale si diffonde mentre si spengono le luci del grande monumento, per lasciar spazio alla luce della speranza, della tolleranza e del dialogo che brilla fra le mille candele accese.

le - twitter@lefratimoked


Qui Roma - Il potere della parola
Penultimo appuntamento, prima della sosta estiva, che si svolgerà oggi pomeriggio alle 18 al Centro Bibliografico, Lungotevere Sanzio 5, del ciclo “Quale identità ebraica – Generazioni a confronto” a cura dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Questa volta la riflessione verterà sulla lingua ebraica che, nella sua specificità, ha sempre avuto un ruolo determinante per l’identità ebraica in mille modi e risvolti. L’ebraico, con le sue lettere e parole, è sempre stato il luogo dove il popolo ebraico si è misurato, formato e confrontato prima e dopo la nascita dello Stato di Israele, unendo generazioni, laici e religiosi, come fosse una “casa migrante”. Quali particolarità caratterizzano questa lingua, nei suoi tratti essenziali, dalle lettere alle parole, dalla sua grammatica alla sua sintassi, tanto da incidere sulla nostra identità? Ma soprattutto, dall’antichità ad oggi, quali visioni del mondo dischiude? La tradizione ebraica ha sempre dato risalto al grande potere creativo della parola: cosa può creare dunque questa lingua e in che modo? Cosa comporta vivere questa lingua? A quali conoscenze ed esperienze ci apre? Cosa incontriamo se abitiamo questa lingua? Quali teorie vi sottendono?
A discuterne saranno Rav Benedetto Carucci, l’artista Tobia Ravà, lo psicanalista Cherles Melman, allievo diretto di Lacan, Luisa Basevi, professoressa di lingua e letteratura ebraica del Liceo Renzo Levi e i suoi studenti. Un incontro a più voci che mostreranno le letture  molteplici e soprattutto le varie esperienze che a più livelli scaturiscono da questa lingua, veicolo creativo di identità, tradizione e storia ebraica. Così, Tobia Ravà, il pittore dal magma pittorico fatto di lettere e numeri, ci racconterà di come sia nata in lui l'idea di dipingere con la Ghematrià - il criterio di permutazione delle lettere in numeri in uso fin dall’antichità nell’alfabeto ebraico – e, mostrandoci i suoi lavori, ci spiegherà il suo rapporto tra Kabbalah, Matematica e Ghematrià; mentre rav Benedetto Carucci, affronterà la questione linguistica da un punto di vista rabbinico e farà da ponte con la riflessione sull’ebraico moderno, Luisa Basevi, accompagnata dalle letture di alcuni studenti, si soffermerà sull’uso della lingua nella poesia moderna, sull’”israeliano", la lingua in continua evoluzione che inventa nuovi vocaboli e sulla lingua ebraica intesa come strumento fondamentale per la creazione di un'identità nazionale.
A trarre le conclusioni e rilanciare altre chiavi interpretative, sarà lo piscanalista Cherles Melman, il quale ci svelerà l’incidenza specifica della lingua ebraica, non solo nell’identità personale, ma anche nelle procedure d’analisi da lui praticata: citando le sue parole,
"l’analisi lacaniana riprende infatti procedure che sono le stesse della tradizione ebraica, fondate più sulla valorizzazione della lettera che del significante…"
Con tutto ciò che questo vuol dire naturalmente...

Ilana Bahbout

pilpul
Cose buone e piccolissime cose buone 
Il Tizio della Serall Tizio legge che la comunità ebraica di Roma e quella di Sant’Egido hanno  realizzato al Colosseo una fiaccolata per le comunità cristiane perseguitate. Il Tizio lo legge diversi giorni dopo che il fatto c’è stato. E' contento della  buona notizia, scontento di averla letta in ritardo. Il Tizio allora si domanda se le buone notizie non sono talmente notizie da sfondare, o lui era distratto quando il fatto c’è stato. Se io ero distratto e magari dormivo e lo hanno detto in Tv, pensa il Tizio che non è affatto un abile pensatore ma un ruminante dei fatti, perché la notizia non mi ha svegliato con un sonoro bum? Deve essere che le piccole notizie sono umide, la miccia non prende e non  esplodono. Uffa, sospira il Tizio. La signora Linda dell’appartamento accanto lo sente mormorare uffa, e bussa sul muro del Tizio. “Perché uffa, signor  Caio?”. Lei chiama Tizio signor Caio dato che Caio è il secondo nome del signor Tizio. Allora, pensa Tizio, qualcuno le sente le piccole cose. Esistono lo stesso anche se non diventano notizie.

Il Tizio della Sera

La demagogia di Hollande
Ho letto con interesse l’articolo di Tobia Zevi dove ha provato a spiegare, perché come ebreo (di sinistra), avrebbe votato Hollande e non Sarkozy alle elezioni presidenziali francesi. La riflessione riapre una discussione, mai del tutto risolta, per cui ci si interroga sull’opportunità che gli ebrei scelgano un candidato migliore per le elezioni. Perché se è giusto affermare che l’identità ebraica non può che influenzare la nostra scelta politica, altra cosa riguarda l’ipotetica scelta di un candidato comune. Il rischio che si corre è che la scelta maggioritaria possa far apparire quella minoritaria, come contraria all’interesse collettivo dell’ebraismo. In questo modo un voto ragionato, ma contrario all’opinione comune, invece di contribuire al dibattito finirebbe per etichettare in modo negativo una parte del mondo ebraico. Per questo bisogna prestare attenzione, senza però dimenticare di giudicare secondo i valori della nostra tradizione. Sarà per questa ragione che a me la retorica (vuota) di Sarkozy sugli immigrati non ha spaventato più di tanto; non bisogna dimenticare che negli ultimi 10 anni, prima come Ministro dell’Interno, poi come Presidente della Repubblica, è stato lui il responsabile della sicurezza della Francia senza che mai destare nessuna preoccupazione per le minoranze. Mentre mi spaventa molto di più la demagogia di Hollande, la sua visione collettivista e le sue affermazioni in cui definisce preoccupanti le minacce d’Israele all’Iran. Ma come detto, nel cercare di convincerci che un candidato sia meglio dell’altro, si corre il rischio di apportare più danni che benefici alla causa ebraica e che forse l’eterogeneità nel voto non sia tanto male. Ah, e se non si fosse capito, io avrei votato con convinzione Sarkozy.

Daniel Funaro, studente

notizieflash   rassegna stampa
MO - Giulio Terzi favorevole
al nuovo governo israeliano
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Il ministro degli Esteri Giulio Terzi, commentando l'ingresso del partito Kadima, nel nuovo governo israeliano di unità nazionale, ha affermato che esso può offrire una "maggiore possibilità di aprire il dialogo sul versante palestinese". Secondo Terzi è "un'analisi molto affrettata" quella secondo cui con il nuovo governo si avvicinerebbe l'attacco ai siti nucleari iraniani. Al contrario, secondo il titolare della Farnesina, si tratta di una decisione "che appartiene alle dinamiche interne della politica israeliana e la valuto sicuramente un fatto positivo, perché allarga la base di maggioranza".
 
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