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8 giugno 2012 - 18 Sivan 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


Questo shabbàt leggeremo una haftarà molto e complessa dai molteplici significati simbolici. Nella haftarà compaiono due personaggi, Yehoshua, il sommo sacerdote e Zerubavel (che secondo il midràsh è Nehemia), il capo politico del ritorno a Sion. A Yehoshua viene annunciato l'invio di Zerubavel che guiderà il popolo ebraico di ritorno a Bavèl e ricostruirà il Santuario. Il Kohèn Gadòl Yehoshua deve riconoscerne il ruolo e l'importanza. Alla fine della haftarà Zerubavèl riceve una profezia da Dio. Le parole di Dio sono: "Non con la forza, non con la potenza ma con il Mio spirito". La guida spirituale e la guida politica del popolo devono riconoscersi a vicenda. Non sono in contrapposizione ma complementari a patto che ambedue accettino che ciò che è fondamentale anche per la vita politica non è forza e potenza ma lo spirito divino.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
Nell’importante indagine sull’antisemitismo ora diffusa online e che molti di noi hanno compilato, una domanda risulta forse un po’ enigmatica, e suona più o meno così: giudichereste antisemita chi sostiene che gli ebrei sono una religione e non una nazione? A questo proposito mi piace citare la definizione di nazione data nel 1922 da Jehoshua Ozjasz Thon (1870-1936) rabbino, leader sionista, membro del parlamento polacco: “Il termine nazione indica, per me, solo quegli elementi che possiedono valore morale, ovvero che non contengono alcun aspetto di odio o resistenza nei confronti di nessun altro. (...) La relazione fra nazionalismo e nazione è come quella fra egoismo e individualismo. L’egoismo combatte, conquista, nega; l’individualismo protegge, acquisisce, migliora”.

davar
Consiglio UCEI - L'Italia ebraica al voto
Appuntamento elettorale per l'Italia ebraica che domenica prossima sarà chiamata ad esprimersi per il rinnovo del Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il primo a vedere la luce dopo la storica riforma dello Statuto. Cinque le città in cui si farà ricorso all'urna: Roma, Milano, Trieste, Livorno e Firenze. A Milano e Livorno si vota anche per il rinnovo dei Consigli comunitari.
Gli elettori della Comunità di Roma sceglieranno i loro venti consiglieri a suffragio universale e con voto proporzionale. Due le liste in lizza: Uniti per l'Unione (capolista Renzo Gattegna) e Binah (prime candidate Eva Ruth Palmieri e Sabrina Coen). A Milano si eleggeranno invece dieci candidati con il tradizionale sistema del voto incrociato su nomi, che prevede la formazione di liste e la possibilità di indicare nomi da formazioni diverse. In competizione tre liste: Milano per l'Unione - l'Unione per Milano (capolista Roberto Jarach), Machàr-Domani per l'UCEI (capolista Raffaele Turiel) e UCEI per la scuola (candidato unico Cobi Benatoff). Per le 19 altre Comunità dell'ebraismo italiano l'opzione era tra votare a suffragio universale e ricorrere alla designazione del candidato da parte del Consiglio comunitario. A Trieste la scelta per il consigliere di spettanza è tra Davide Belleli e Mauro Tabor, a Firenze tra Dario Bedarida e Simcha Jelinek, a Livorno infine tra Daniele Bedarida e Gadi Polacco.
Forte dell'esperienza maturata sul fronte dei social network, la redazione ha scelto di usare lo strumento del tweet (al massimo 140 battute) per raccogliere posizioni e programmi dei vari candidati. Una sfida impegnativa accolta da tutti con grande coinvolgimento.

ROMA

Serena Tedeschi (Binah)
17 donne per la Democrazia: vogliamo ascoltare le diverse voci delle nostre comunità e dare continuità e nuova forza all'ebraismo d'Italia

Renzo Gattegna (Uniti per l'Unione)
Raccogliamo le sfide, valorizziamo l'identità e le differenze. Essere uniti è libera scelta, grande valore, progresso che rende più forti

MILANO
Roberto Jarach (Milano per l'Unione)
Un'unione vera e indiscussa rappresentante di tutto l'ebraismo italiano. Rabbini preparati e moderni. Milano laboratorio del rilancio
Raffaele Turiel (Machàr-Domani)
Oltre il decentramento: una rete di servizi, scuole e assistenza che coinvolga grandi e piccole Comunità, con Milano come snodo importante
Cobi Benatoff (UCEI per la scuola)
Visione e coraggio per la definizione di un'identità consapevole e condivisa

LIVORNO
Daniele Bedarida
In Consiglio per rappresentare le istanze e le esigenze delle piccole Comunità
Gadi Polacco
Fare rete per portare l'Unione nelle Comunità e la voce delle Comunità nell'Unione, per cercare ciascun ebreo invece di attenderlo!

FIRENZE
Simcha Jelinek
Per aggiungere un colore all'arcobaleno
Dario Bedarida
Più Comunità nell'Unione e più Unione per le Comunità

TRIESTE
Davide Belleli
Identità e cambiamento
Mauro Tabor
Identità, tradizione, memoria e sguardo aperto sul futuro. Possiamo essere il sale di una società moderna: contro razzismi e intolleranza

Clicca qui per leggere i tweet dei candidati direttamente su Pagine Ebraiche di giugno.

Terremoto - Un aiuto a chi soffre
Prosegue la raccolta fondi lanciata dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in soccorso alle popolazioni colpite dal terremoto. Chi vuole partecipare potrà farlo versando il proprio contributo sul conto corrente bancario intestato all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, IBAN IT40V0200805189000400024817 causale Terremoto Emilia; oppure sul conto corrente postale intestato all’unione comunita ebraiche italiane numero 45169000 sempre specificando la causale Terremoto Emilia.

Qui Napoli - La Praga di Bob Wilson nel caso Makropulos
Attori che si muovono come marionette mentre fili simbolici pendono sullo sfondo, gesti stilizzati, dizione a metà fra la recitazione e il canto, costumi e acconciature tanto antirealistici da sembrare cartoni animati... Sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano Il caso Makropulos, nuova regia dell'americano Bob Wilson che ha debuttato al Teatro Mercadante di Napoli, primo spettacolo del Napoli Teatro Festival Italia diretto, da quest'anno, da Luca De Fusco. Per la quinta edizione del festival il neo direttore artistico ha deciso di darsi un programma a mio avviso giustissimo e adatto all'attuale situazione del nostro Paese: togliere peso senza perdere profondità. Nelle intenzioni di De Fusco, gli spettacoli di quest'anno dovrebbero essere accessibili a tutti e comunicare semplicemente sentimenti e concetti profondi. Esteticamente appagante dal primo all'ultimo sguardo, divertente per la composizione dei linguaggi che attingono un po' ovunque dal fumetto all'opera lirica, il nuovo spettacolo di Wilson promette di rispondere positivamente alla sfida. Scritto dal ceco Karel Čapek nel 1922, Il caso Makropulos è una commedia fantastica che si muove in un universo tipicamente boemo e inevitabilmente kafkiano. Siamo a Praga, nello studio di un avvocato alle prese con un caso che dura da 90 anni, ereditato da suo padre “come una malattia”. Per giunta, il cliente si chiama Gregor. Le carte e i fascicoli impilati negli anni sono ormai tanti da formare alte torri simili a quelle di Anselm Kiefer. Infine, nessuno ricorda più quale sia il motivo della contesa, ma ormai sono entrambi, avvocato e cliente, talmente affezionati al caso da non volere che si risolva.
Praga vuol però dire anche teatro delle marionette, e proprio a questo mondo si affida la regia di Wilson per suggerire una certa leggerezza, un distacco ironico dalla vicenda narrata.
Fra l'assurdo e il surreale, la trama si snoda attorno alla figura di Emma Marty, cantante dell'Opera di Praga dalle molteplici identità che vive da 337 anni grazie a un filtro magico somministratole ai tempi dell'imperatore Rodolfo II, di cui suo padre era medico personale e che impose allo scienziato di provare l'elisir sulla propria figlia prima di assumerlo lui stesso.
La cantante ha avuto oltre tre secoli per perfezionare la propria tecnica vocale e di conseguenza non c'è nessuna altra al mondo che canti come lei, ma in compenso la sua perfezione dà dolore, non ha nulla di umano che possa confortare chi la ascolta.
Mentre intorno a lei i personaggi amano, soffrono, addirittura muoiono per amore, Emma Marty ha smesso di vivere realmente almeno duecento anni prima: non è più in grado di provare passione. Chiusa nella sua perfezione e impenetrabile ai sentimenti, non desidera più continuare a vivere ma ha troppa paura per decidersi a morire.
Quando però un suo giovane e ingenuo ammiratore si suicida dopo essere stato abbandonato dalla fidanzata aspirante cantante che vuole rinunciare a ogni passione per dedicarsi – come la Marty – soltanto alla musica, la donna quasi immortale comprende che la vita merita di essere vissuta solo se per un periodo finito. Contemporaneamente, la giovane cantante si impadronisce della ricetta dell'elisir di giovinezza e le dà fuoco, rompendo per sempre la maledizione. La finitezza e l'imperfezione della vita potranno allora finalmente prevalere: la donna viene accompagnata nella sua dipartita da una grandiosa danza macabra nella quale ognuno dei personaggi suona un diverso strumento citando, come in un tableaux vivant, una storica fotografia della New Orleans degli anni '20.
L'impressione che rimane è che forma e contenuto si siano influenzati a vicenda, fino a creare uno spettacolo talmente perfetto dal punto di vista della recitazione, dei costumi, del disegno delle luci e di ogni altro elemento da restare in qualche modo troppo lontano dalla reale complessità del problema. La bellezza formale dello spettacolo non comunica il dolore del testo; gesti, sentimenti e relazioni sono sempre rappresentati, mai vissuti.
Si potrebbe applicare all'intero spettacolo la definizione che uno dei personaggi dà della notte passata con Emma Marty: “E' come abbracciare un blocco di marmo”.

Miriam Camerini

Qui Casale - Le note che raccontano Schoenberg
pilpul
Un minhag da rispettare
Anna SegreUna vecchia barzelletta (ne esistono più versioni, ma la sostanza è la stessa) racconta di un nuovo rabbino che arriva in una Comunità e vede che a Shavuot durante la lettura dei dieci comandamenti alcuni dei presenti si alzano in piedi mentre gli altri restano seduti, gli uni rimproverano gli altri perché non si comportano con il dovuto rispetto in un momento così solenne, gli altri rispondono che i dieci comandamenti non sono diversi dal resto della Torah, da più parti piovono grida di “alzatevi!” e “sedetevi!” e in breve si accende una lite che coinvolge tutti i presenti. Il rabbino per mettere pace cerca di accertare quale sia effettivamente il minhag (uso) della comunità, e consulta un anziano molto autorevole, sicuro conoscitore di tutte le tradizioni locali: “Saprebbe dirmi che cosa prevede il minhag di questa comunità durante la lettura dei comandamenti?” “Ma certo! risponde prontamente il vecchio, felice di poter sfoggiare la propria competenza – il minhag è così: metà dei presenti si alza in piedi, l’altra metà resta seduta e poi si litiga.”
Nella Comunità di Torino l’usanza prevede che per la lettura dei dieci comandamenti sia chiamato a sefer il Rabbino Capo, in modo che i presenti si alzino comunque per rispetto, risolvendo così a monte la questione se si debba stare in piedi o seduti. Qualcuno però deve aver pensato che in questo modo rischiava di andare perduto il minhag del litigio, e così da alcuni anni a questa parte le usanze comunitarie prevedono che si litighi (non durante la lettura dei comandamenti, ma in qualunque altra occasione) sulla persona stessa del Rabbino Capo. Correttamente, quindi, questo è stato l’argomento che ha suscitato le discussioni più vivaci nell’assemblea comunitaria di mercoledì 6: molti vorrebbero continuare ad avere Rav Birnbaum anche dopo il 2013, altri suggeriscono che si cerchi un nome condiviso da tutti; c’è chi ritiene (a mio parere con qualche ragione) che dietro alla questione del Rabbino Capo si celino in realtà due idee diverse di comunità, una più aperta ed inclusiva ed una più legata al principio “pochi ma buoni”; c’è chi invece, come il Presidente, non si riconosce in questa interpretazione dei fatti. Insomma, tutto secondo le consuetudini, se non per un fatto curioso: chi ha espresso stima per il Rabbino Capo e apprezzamento per le attività da lui organizzate è stato accusato a un certo punto di culto della personalità e di idolatria. Veramente il minhag prevede che si litighi, non che si offenda: non sarebbe opportuno rispettare le tradizioni locali senza introdurre inopportune variazioni a un uso (il litigio semplice) ampiamente consolidato?

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Memoria - "Dolore e orgoglio"   Leggi la rassegna

"Doloroso come non potete immaginare ma siamo tutti orgogliosi di essere stati ad Auschwitz e Birkenau con tutti voi! Grazie e un abbraccio". Questo il testo del messaggio inviato ieri dal direttore generale della Federcalcio italiana Antonello Valentini al presidente del Maccabi Italia Vittorio Pavoncello che mercoledì mattina, assieme al presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, allo storico Marcello Pezzetti e ai tre Testimoni Sami Modiano, Piero Terracina e Hanna Weiss, aveva accompagnato gli Azzurri in visita ad Auschwitz e Birkenau in prossimità del loro esordio a Euro 2012.
 
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