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22 giugno 2012 - 2 Tamuz 5772
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
rav arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano 


Nella parashà della scorsa settimana Kòrach dice che tutto il popolo ebraico è santo e tutti gli ebrei sono santi. La parashà di questa settimana comincia con una serie di regole riguardanti l'impurità. Sembra quasi una risposta a Kòrach. Ciò che dice Kòrach è indubbiamente affascinante ma ha due difetti: non corrisponde alla realtà (non siamo tutti santi) ma soprattutto è la descrizione di una situazione statica che non prevede un miglioramento. Nella parashà di Kedoshìm la Torà dice "kedoshìm tihyù" - siate santi. Sembra molto simile a ciò che dice Kòrach ma è profondamente diverso. "Siate santi" è l'indicazione di un obbiettivo, di un percorso, di un continuo miglioramento. Per intraprendere questo percorso è più utile ritenere di essere persone impure che possono e devono purificarsi.

Laura
Quercioli Mincer,
 slavista



laura quercioli mincer
“Una vittoria del Sud”, commentava stamattina la giornalista del GR3 i goal del grande Mario Balotelli. Eppure io, da Roma, consideravo Super Mario un ragazzo del Nord… Di quale sud parlava la giornalista? Dell’Africa, per il colore della sua pelle? Dell’Italia, come sud d’Europa? O forse sud perche causalmente nato a Palermo da genitori che, così ho letto, lo hanno abbandonato in ospedale poco dopo la nascita, per poi disinteressarsi al suo destino fin quando non è diventato famoso? Ben rimarca, il Super Mario bresciano, il legame con la sua “vera” casa, la pianura padana, e con la “vera” famiglia, quella affidataria. Un legame così forte da farlo piangere ad Auschwitz per le origini ebraiche della madre adottiva. Chissà se i goal di Balotelli aiuteranno l’Italia e gli italiani nella battaglia per la sopravvivenza economica, e in una maggiore comprensione della complessa identità degli esseri umani.

davar
"Bravo Mario!" "Eccomi, mamma..."
L'abbraccio dell'azzurro Mario Balotelli alla madre adottiva, la signora Silvia, ha coronato lo straordinario incontro con la Germania che apre all'Italia la finale degli Europei di calcio. Un'emozione per tutti gli italiani e un'emozione tutta speciale per gli ebrei italiani. Anche la redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it ha trascorso una serata con il fiato sospeso. In questi giorni è in distribuzione il numero di luglio di “Pagine Ebraiche” che scommette proprio su Balotelli nella fotonotizia di prima pagina, mostrando il calciatore alla vigilia degli Europei durante il suo viaggio della Memoria nel campo di sterminio di Auschwitz. “Mario Balotelli – si legge nel testo che accompagna l'immagine – cammina lungo le strade della Memoria nel corso della visita della Nazionale azzurra al campo di Auschwitz. Il simbolo dell'impegno di un cittadino che raccoglie in sé l'esperienza dell'immigrazione, dell'accettazione e del successo. Ma anche un omaggio alla madre adottiva, l'ebrea italiana che lo accolse bambino e la cui famiglia soffrì negli anni bui della Shoah”.

Qui Trieste - La sinagoga compie cent'anni
L’appuntamento è di quelli storici. La sinagoga di Trieste, una delle più grandi d’Europa, festeggia questa domenica un secolo di vita. In occasione del centenario, la Comunità ebraica di Trieste, apre le porte al pubblico proponendo un calendario di eventi che coniugando storia, memoria e contemporaneo offriranno uno spaccato di grande suggestione. Momenti dedicati all’ebraismo triestino e nazionale e alla cittadinanza, nel segno del dialogo con la società che sempre ha contraddistinto gli ebrei giuliani.
“Caro presidente Salonichio, cari amici del Consiglio e della Comunità di Trieste – scrive in un messaggio d'auguri il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna – sarà per me un grande rammarico non poter essere presente alla cerimonia in considerazione della concomitante prima riunione di lavoro del nuovo direttivo UCEI a Roma. Colgo però l'occasione per testimoniare l'amicizia e la condivisione di questo momento di festa da parte di tutto l'ebraismo italiano che oggi come nel passato guarda alla vostra Comunità, alle idee e ai valori straordinari che da sempre proiettate non solo a Trieste ma in tutta la società italiana, con profonda ammirazione e gratitudine. La vostra gioia è la nostra gioia”.


Inaugurata nel 1912, la sinagoga di Trieste compie 100 anni. Nel 1903, quando è bandito il concorso, esistono in città tre “scole”, mimetizzate in edifici esistenti: Scola Piccola, per gli ebrei askenaziti, Scola Grande, di rito sefardita e askenazita, Scola Vivante, di rito sefardita. Grazie allo status di porto franco dichiarato dagli Asburgo nel 1719, all’Editto di Tolleranza del 1781 e, quattro anni dopo, all’apertura del ghetto, ebrei da tutta Europa convergono su Trieste per esercitare le loro attività professionali, commerciali, finanziarie, assicurative, oltre che intellettuali. Si aggiungono presto gli ebrei di Corfù che, grazie a un dialetto che mescola pugliese-veneto a greco ed ebraico, arricchiscono la liturgia ebraico-triestina. Nessuna ‘scola’ è sopravvissuta: l’àron di Scola Vivante è ad Abbazia, quello di Scola Grande a Fiume, quello di Scola Piccola a Tel Aviv. L’idea di una unica grande sinagoga risale al 1870 ma il progetto dell’ingegner Geiringer è accantonato fino al concorso del 1903.
Al bando sono allegati: la planimetria del luogo - il Borgo Franceschino - schizzi e sezioni degli edifici circostanti, indicazioni tecniche relative al sottosuolo, alle uscite di sicurezza, alla resistenza alle intemperie e al tempo. Si pensa insomma a un edificio monumentale, sicuro ed eterno. Massima libertà è lasciata ai partecipanti circa le scelte stilistiche e formali. 42 i concorrenti, da tutto l’Impero, le cui proposte, divise per stile - gotico, secessionista, orientale - sono oggi di ardua consultazione causa la disseminazione e spesso dispersione degli originali. Nonostante le 42 sedute, la giuria, composta da esponenti della Comunità ebraica triestina e dal direttore della Regia Accademia e Istituto di Belle Arti di Venezia, non è in grado di indicare un unico vincitore: come per tutti i grandi concorsi, i progetti sono esposti nel 1904 in una mostra al Ridotto del Politeama. Sorprendente la motivazione della fumata nera: l’inadeguatezza delle proposte alle aspirazioni moderne della Comunità. “Che cosa c’entra il medioevo col romanico e col gotico nella religione ebraica? Come col bizantino e col moresco? Se gli artisti avessero pensato alla meravigliosa capacità d’adattamento degli Israeliti e al loro grande amore per il moderno, non si sarebbero umiliati nell’imitazione, ma avrebbero acceso la loro fantasia alla creazione del novo…!”. Una comunità aperta, variegata e cosmopolita esige dunque un edificio linguisticamente innovativo, moderno e al passo con i tempi. Fallito l’incarico ai due architetti ungheresi favoriti dalla giuria, non resta che l’opzione per un architetto triestino. Quasi inevitabile che la scelta cada sullo studio Berlam, fondato da Giovanni Andrea nel 1847 e portato avanti dal figlio Ruggero e dal nipote Arduino fino al 1936: una vera dinastia, con all’attivo importanti incarichi professionali e ottimi agganci istituzionali.
Realizzata nel tempo record di quattro anni, la sinagoga di Berlam spicca nettamente su altri esempi coevi: è monumentale – l’altezza della cupola raggiunge i 30 metri e la dimensione è calcolata per mille persone – ma allo stesso tempo austera; denuncia all’esterno l’articolazione degli spazi interni; predilige volumi squadrati, seppur fortemente rastremati; adotta una decorazione ricca e preziosa ma non ostentata, a intaglio più che a rilievo; è rivoluzionaria infine sul piano tecnico e strutturale. Tre i corpi principali: l’avancorpo loggiato su piazza Giotti, con il grande rosone in pietra a forma di Stella di Davide - originalmente collocato sul fianco - che ospita l’Oratorio; il vano centrale, un possente cubo sovrastato dalla cupola, che si protende, all’estremo opposto dell’ingresso, nella zona absidale composta da un semicilindro che ospita l’Aron haKodesh, e da due parallelepipedi, coperti rispettivamente da una semicupola e da due cupolini; la torre a base rettangolare, infine, che sormonta l’ingresso principale su via Donizetti ma è invisibile all’interno. A dispetto degli anatemi contro i partecipanti al concorso del 1903, tacciati di ricorrere a “stili fortemente e inscindibilmente legati a edifici cristiani”, la sinagoga di Berlam è, a detta di Aulo Guagnini, autore di un dotto studio pubblicato dal Rotary di Trieste, un raro esempio di adattamento al culto ebraico di un impianto basilicale.
E’ ancora lui a riferirci le scelte degli architetti: “Si ricorse allo stile della Siria Centrale del IV secolo dell’era volgare, singolare fenomeno di ripullulamento delle antichissime forme assire di mezzo ai ruderi dell’arte romana…Il nostro è dunque uno stile fortemente influenzato dalle preesistenti forme d’una remota civiltà e dalle condizioni peculiari al suo paese d’origine”. Architettura siriana tardo-antica, dunque, la cui influenza sull’arte medioevale europea è sostenuta con convinzione dallo storico dell’arte Josef Strzygowski, ben noto ai Berlam, ma anche struttura romana nelle quattro grandi volte a botte su cui s’innesta la cupola culminante in un’apertura circolare.
Nel rispetto delle tre prerogative di ogni sinagoga: l’Aron haKodesh, orientato a est, decisamente ridondante nella struttura a baldacchino realizzato con preziosi marmi policromi, con porte di rame e bronzo e culminante nelle Tavole della Legge; la tevah e i tre grandiosi matronei, cui si accede da due scaloni anteriori. Sono però le innovazioni tecniche e tecnologiche, l’organizzazione del cantiere, la qualità delle maestranze, la polifonia dei materiali a fare della sinagoga di Trieste un caso paradigmatico, “uno degli esempi più rilevanti nella storia della tecnica edilizia italiana degli inizi del Novecento”. Se le strutture di fondazione sono calibrate per fronteggiare la natura argillosa del terreno, le piastre in calcestruzzo armato nelle murature, le travi che sostengono le gallerie dei matronei ma soprattutto la cupola, uno dei primi esempi in Europa a doppio guscio parabolico, richiedono, per il loro carattere pionieristico, l’intervento di maestranze bavaresi.
Esemplari le decorazioni, in materiali allo stesso tempo preziosi e “ingannevoli”: pietra bianca artificiale, stesa a intonaco sulla superficie muraria per l’esterno, stucco lucido e mosaico per l’abside, marmi per balaustre, podio e gradinate, pietre di taglio per portali e rosoni. E, per confermare il duplice richiamo alle origini orientali e alla patria d’adozione, il pregevole portale d’ingresso evoca sia il Duomo di Orvieto di Lorenzo Maitani sia un monastero armeno.

Adachiara Zevi, Pagine Ebraiche, Luglio 2012

Fare i conti con l'antisemitismo di matrice cattolica
Il Corriere della sera oggi in edicola pubblica una recensione del giurista Francesco Margiotta Broglio  "L'antiebraismo cattolico dopo la Shoah" ( Viella editore), della storica Elena Mazzini cui Pagine Ebraiche di luglio in distribuzione dedica ampio spazio con molte e diverse riflessioni. A confrontarsi sull'argomento gli editorialisti  Anna Foa, Giacomo Todeschini, Ugo Volli e Davide Assael.

II mese scorso Benedetto XVI ha riaffermato che il Vaticano II «non solo ha preso una posizione chiara contro tutte le forme di antisemitismo, ma ha gettato le basi per una nuova valutazione teologica del rapporto Chiesa-ebraismo», mentre, qualche giorno dopo, il cardinale Koch, presidente della Commissione per i rapporti con l'ebraismo, ha dichiarato che nel mondo di oggi «la piaga dell'antisemitismo sembra inestirpabile», che la Chiesa ha l'obbligo di «denunciare l'antigiudaismo e il marcionismo come tradimento della stessa fede cristiana» e che «il negazionismo non è ammissibile nella Chiesa, ma anche in una onesta visione storica». Posizioni molto chiare, ben diverse da quelle del cattolicesimo italiano del secondo dopoguerra oggetto dell'analisi originale e, per alcuni aspetti pionieristica, di Elena Mazzini (L'antiebraismo cattolico dopo la Shoah, Viella, 2012, pp. 200, Euro 25), che si affianca ai volumi di Zanini e di Di Figlia dei quali il «Corriere» ha già parlato (29 aprile e 15 maggio). Un'analisi che conferma che, se per gli anni della guerra si deve parlare di «rimozione psicologica» e di invisibilità di Auschwitz, per quelli del dopoguerra si deve riconoscere che la memoria dell'Olocausto è rimasta sostanzialmente marginale fino al processo Eichmann (1961) e alla guerra dei Sei giorni (1967) (Laqueur, Traverso). E dimostra che la Chiesa di Roma non sfugge fino al Concilio alla tentazione neo-antisemita: l'ebreo del genocidio diventa gradualmente sionista e israeliano grazie al comodo alibi che camuffa il razzismo da questione di politica internazionale. E non sfugge a quella rimozione delle leggi del 1938 che anche per la Santa Sede erano rimaste una «memoria estremamente imbarazzante», che non veniva integrata in quella della Shoah (A. Foa). L'autrice isola e discute i momenti che segnano continuità e discontinuità storiche della tradizione antiebraica cattolica esaminando per gli anni Cinquanta 1'«Enciclopedia cattolica» e la «Civiltà Cattolica». Tra i lemmi della prima (razzismo, genocidio, ebrei, Israele, sionismo, antisemitismo) fa notare che solo nell'ultima voce una sola riga, «più allusiva che storicamente determinata», è dedicata alla Shoah e che se vi si legge che «l'antisemitismo... è contrario alla morale cristiana e comporta gravi pericoli perla fede», vi si osserva anche che «è lecito un antisemitismo nel campo delle idee, volto alla vigile tutela del patrimonio... della cristianità». Le interpretazioni della seconda, nota per la propaganda antisemita tra fine '800 e primi decenni del '900, si segnalano essenzialmente per la strenua difesa di Pio XII messo in discussione, negli anni Sessanta, da «Il Vicario» e da una serie di opere storiche: certo è che l'attenzione riservata alla Dichiarazione conciliare che segnò la svolta nel rapporto con l'ebraismo fu del tutto esigua. Particolarmente riuscito lo studio pionieristico della «letteratura del pellegrinaggio» degli anni Cinquanta e Sessanta — essenzialmente diari e testimonianze di ecclesiastici che utilizzano «stereotipie dell'antiebraismo per decifrare lo Stato d'Israele» e che, in alcuni casi, trasformano in antisionismo il tradizionale antisemitismo, evitando ogni riferimento allo Stato, ma richiamando spesso il conflitto arabo-israeliano. Seguono l'analisi del viaggio di Paolo VI in Terra Santa e dei commenti sulla stampa ebraica, lo studio dei riflessi della conciliare «Nostra Aetate» nella stampa cattolica (aperture religiose e dinieghi politici, con le posizioni anticonciliari del vescovo Carli) e della sua «ricezione» nella stampa ebraica. Per la Mazzini anche la «Nostra Aetate» non ha consentito una riflessione «incisiva e matura sull'antisemitismo cattolico» fino a quando la Chiesa non ha sciolto «il problema della sua posizione nei confronti di Israele». Un problema che resta, comunque, irrisolto per il molto che riguarda Gerusalemme e i Luoghi Santi, e che se ha mutato la retorica dell'antisemitismo, non ne ha completamente rimosso tutti i profili sistematici.

Francesco Margiotta Broglio (Corriere della sera, 29 giugno 2012)


Qui Roma - Inaugurato il nuovo spazio Ose
È stato inaugurato ieri pomeriggio, in un locale di viale Trastevere a Roma, il nuovo spazio dell'Ose, l'Organizzazione Sanitaria Ebraica, un nido che ospiterà neonati fino a 36 mesi. Nell'immagine il presidente dell'Ose Giorgio Sestieri assieme al presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e al rabbino capo rav Riccardo Di Segni, che nel corso della cerimonia ha anche apposto una mezuzah all'ingresso della sala.

pilpul
Festa di tutti
Anna SegreLa Comunità di Torino è considerata poco “multietnica”: in parte è vero, in parte, forse, gli ebrei di origine non italiana hanno poca visibilità. Ci sono poi gli studenti israeliani, un numero non indifferente per le nostre dimensioni, ma fino a pochi anni fa la maggior parte di loro frequentava poco la comunità. Negli ultimi tempi le cose stanno cambiando e un sintomo molto positivo di questo è stata la bella idea di Elad e Nitsan, sposi novelli, che ieri sera hanno invitato tutta la comunità a una festa in cui, oltre a proiettare il filmato del loro matrimonio avvenuto pochi giorni fa in Israele (curioso che a sposarli sia stato proprio rav Birnbaum, rabbino capo di Torino), hanno illustrato la cerimonia della "China", tradizione degli ebrei orientali, che molti di noi non conoscevano, hanno mostrato gli abiti tradizionali che si indossano e naturalmente ci hanno fatto gustare i cibi tipici. Una serata interessante e gradevole, che ha dimostrato come anche una comunità dalla forte identità “italiana” possa essere davvero la casa di tutti gli ebrei del luogo, da qualunque parte provengano, che stiano pochi mesi, pochi anni o per sempre.
In omaggio alle tradizioni italiane non mancava uno schermo per chi voleva seguire la partita. E così a completare l’allegria della serata è giunta, come un altro auspicio favorevole, la vittoria dell’Italia.
Ancora un caloroso mazal tov a Elad e Nitsan!

Anna Segre, insegnante

notizieflash   rassegna stampa
Qui Biella - La chitarra di Piero
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Dai canti yiddish alle melodie sefardite. Dalle straordinarie tradizioni canore dell'Italia ebraica alle voci di memoria dai campi di sterminio. Un percorso culturale sulla grande storia degli ebrei d'Europa che Piero Nissim, popolare artista e cantautore pisano, ha proposto nel suo spettacolo Mayn Lidele andato in scena la scorsa sera alla sinagoga di Biella. Un omaggio ai brani che hanno fatto da substrato alla sua formazione che è stato lungamente applaudito dal pubblico accorso nel rinnovato Tempio di vicolo del Bellone. “Una serata bellissima – dice il presidente della Comunità ebraica di Vercelli Rossella Bottini Treves – faceva già caldo di suo ma a riscaldare ulteriormente il clima ci ha pensato il pubblico che, assiepato perfino nel matroneo, ha accolto con grande entusiasmo e passione la performance di Piero”.
 
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