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1 luglio 2012 - 10 Tamuz 5772
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alef/tav
Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

Le parole irose di Mosè nei confronti del popolo gli impediscono di parlare adeguatamente alla roccia, come Dio avrebbe voluto. L'acqua esce comunque, con due colpi di verga, al prezzo della perdita della Terra Promessa. Meglio evitare l'ira.


David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Parlamentarizzazione e democratizzazione non stanno affatto necessariamente in correlazione, bensì spesso in antitesi tra di loro. Recentemente si è non di rado perfino ritenuto che stiano in un’antitesi necessaria, in quanto un parlamentarismo reale sarebbe possibile solamente in un sistema bipartitico e questo soltanto con un dominio aristocratico di notabili all’interno dei partiti. E’ un passo tratto da “Parlamento e governo”, un saggio che il sociologo Max Weber scrive nel 1917 e pubblica nel 1918 (lo riprendo dall’edizione italiana edita da Laterza nel 1993 pp.95-96). Al di là delle questioni burocratiche che caratterizzano tutti i parlamenti al momento del l’insediamento (verifica eletti, ricorsi, pettegolezzi,...) che non ci siamo fatti mancare, chissà se sarà diverso il parlamento che si inaugura oggi. In ogni caso auguri. Il giudizio resta sospeso.

davar
Renzo Gattegna confermato alla presidenza dell'UCEI
"Lavorerò per valorizzare intelligenze e professionalità"
Conferma al vertice dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per il presidente uscente Renzo Gattegna. Ad eleggerlo all'unanimità il nuovo Consiglio a 52 componenti riunito in queste ore per la prima volta a Roma. L'incontro odierno segna l'inizio del nuovo corso dopo il varo della riforma statutaria dell'ente che ha portato alla nascita del parlamentino dell'ebraismo italiano in cui trovano voce e rappresentanza tutte le 21 Comunità ebraiche italiane.
"Ritengo - ha spiegato Gattegna nel presentare il proprio piano di governo - che ci siano le condizioni e che come ebrei italiani abbiamo acquistato la forza sufficiente per abbattere una volta per tutte i pregiudizi e le discriminazioni e uscire definitivamente dalla condizione di gruppo perseguitabile impunemente e diventare invece il popolo simbolo della sconfitta del razzismo sotto qualsiasi forma e contro chiunque. Sono un irresponsabile, un sognatore, un illuso a dire questo? Non credo, al contrario e ritengo che sarebbe da irresponsabili non saper leggere i segnali che provengono dalla società. Se non li riconoscessimo, li ignorassimo, li trascurassimo, avremmo sulle nostre spalle di leader ebraici la responsabilità di aver perso un'occasione storica, rara, forse unica, forse irripetibile di decidere il nostro futuro e di non subire più le iniziative e le decisioni altrui".
"Lavorerò intensamente - ha poi affermato - per la creazione di organi rappresentativi all'interno dei quali tutte le forze siano adeguatamente presenti. A questo intendo puntare con forza e determinazione, offrendo a tutti la possibilità di donare alle comunità la propria intelligenza, la propria professionalità, il proprio talento. Questo è l'unico modo di governare che intendo adottare".

Qui Trieste - La sinagoga compie 100 anni
Giornata di festa oggi a Trieste per i cento anni della sinagoga, una delle più grandi e gloriose d’Europa. Per celebrare l’evento un calendario di iniziative che coniugano storia, memoria e contemporaneo.Momenti dedicati all’ebraismo triestino e nazionale e alla cittadinanza, nel segno del dialogo con la società che sempre ha contraddistinto gli ebrei giuliani. "La speranza - dice il presidente della Comunità ebraica Alessandro Salonichio - è di poter festeggiare con gioia questo momento storico insieme agli iscritti, ai correligionari di tutt’Italia e alla città: per ricordare il passato e guardare al futuro”.

L'omaggio internazionale dei Chazanim


“Nella nostra liturgia c’è qualcosa di unico. Durante la settimana preghiamo secondo il rito sefardita, il sabato e le feste passiamo invece a quello askenazita. Cent’anni fa fu un modo per convogliare gli ebrei triestini, di provenienze diverse, nella sinagoga appena edificata. Oggi questa necessità forse non c’è più. Ma è una nostra peculiarità divenuta minhag: per noi è giusto e doveroso continuare”. Jacky Belleli, assessore al Culto della Comunità ebraica di Trieste, spiega così le ragioni dell’evento con cui domenica primo luglio si celebrerà il primo secolo di vita del Tempio. Belleli e gli altri organizzatori della manifestazione, tra cui Ariel Camerini, Shai Misan, Davide Casali e tantissimi iscritti (la scelta è stata infatti quella di coinvolgere al massimo la Comunità), hanno infatti voluto far rivivere le tradizioni liturgiche in una serata particolare. A celebrare la giornata saranno dunque sei Hazanim che intoneranno le arie tradizionali nel monumentale complesso che cent’anni fa riunì in un’unica sinagoga gli ebrei fino allora dispersi in quattro Schole disseminate nella città. Parteciperanno Shai Misan di Trieste; Shmuel Barzilai di Vienna; Malach Kaufman di Verona; Ville Lignell di Linz; rav Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, di Milano, e Nathan Neumann di Trieste. Un parterre internazionale, che ripropone quel melting pot che nella storia ha sempre caratterizzato il mondo ebraico triestino. “Non sarà una semplice esibizione canora – dice Belleli – ma un momento che ricorderà più possibile le atmosfere di una nostra Tefillah. Saremmo felici se la città volesse partecipare e sentirsi un po’ parte della nostra Comunità”. “Si tratta di un evento importante a cui stiamo lavorando da tempo – sottolinea Alessandro Salonichio, presidente della Comunità ebraica di Trieste – La speranza è di poter festeggiare con gioia questo momento storico insieme agli iscritti, ai correligionari di tutt’Italia e alla città: per ricordare il passato e guardare al futuro”(...)

continua

Daniela Gross, Italia Ebraica luglio 2012

Yitzhak Shamir 1915-2012
Yitzhak Shamir, strenuo combattente per l’indipendenza dello Stato d’Israele, due volte Primo Ministro, è mancato a 96 anni in una casa di cura a Herzlyia dopo una lunga malattia.
Nato in Polonia nel 1915, emigrò a vent’anni nella Palestina del mandato britannico e nel 1936 entrò a far parte dell’Irgun Zvai Leumi, il clandestino movimento di difesa fondato per contrastare gli attacchi contro gli insediamenti ebraici. In seguito divenne uno dei leader della banda Stern, il gruppo famoso per i suoi attacchi agli inglesi. A lungo politicamente isolato a causa di questa sua militanza, nel 1955 iniziò a lavorare come agente del Mossad, dove ricoprì diverse posizioni. Nel 1970 entrò in Herut, il partito guidato da Menachem Begin e fu eletto come membro della Knesset nel 1973. Quando Herut si fuse nel nuovo Likud, Shamir ne divenne il portavoce, e fu lui a accompagnare l’allora presidente egiziano Sadat durante il suo primo storico discorso al Parlamento israeliano. Tuttavia si astenne quando la Knesset fu chiamata a votare sugli accordi di Camp David. Ministro degli Esteri dal 1979, nel 1983 quando Begin si ritirò, ne prese il posto come premier. Nel frattempo, molto era successo, compresa la guerra del Libano del 1982. Proprio a Shamir molti oppositori imputano quello che successe nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, dove centinaia di persone furono massacrate da milizie cristiane libanesi, alleate dell’esercito israeliano.
Con il suo carattere laconico e la sua personalità schiva, Shamir è stato un uomo politico che non aveva nella capacità di comunicare un punto di forza, ma che “se voleva ottenere qualcosa non mollava mai, per quanto tempo ci potesse volere”, come disse una volta il suo consulente per la comunicazione Avi Pazner. Si oppose strenuamente a concessioni territoriali, ma portò comunque Israele sulla via dei negoziati che furono fondamentali sotto i suoi successori. Shamir si ritirò dalla politica dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 1992. “È stato un esempio di lealtà alla terra di Israele e ai valori del popolo ebraico - ha dichiarato l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu - Yitzhak Shamir appartiene alla generazione dei giganti che hanno fondato lo Stato di Israele e combattuto per la libertà del popolo ebraico nella sua terra”.

Rossella Tercatin @rtercatinmoked

Libertà religiosa: allarme per la situazione tedesca
Negli scorsi giorni il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha inviato il seguente messaggio ai vertici dell’ebraismo tedesco:
“Caro Presidente Graumann, cari amici del Zentralrat der Juden in Deutschland, desidero esprimere a nome di tutto il Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane i nostri sentimenti di solidarietà e preoccupazione per il recente, grave pronunciamento della magistratura di Colonia che, giudicando il caso di un bambino musulmano tedesco cui è stata praticata una circoncisione, sembra colpire la libertà religiosa e la millenaria pratica posta alla base della nostra identità. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane approva il vostro preciso e circostanziato intervento a difesa della libertà religiosa e la decisione di investire direttamente il Parlamento tedesco della questione al fine di impedire che possano essere violati principi praticati in tutte le democrazie progredite e che stanno alla base della convivenza fra i popoli”.
Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni e il rabbino capo di Padova e membro della consulta rabbinica italiana rav Adolfo Locci sono stati ricevuti nel pomeriggio di venerdì 29 giugno all’ambasciata tedesca della Capitale. L’incontro è stato richiesto con urgenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e poiché l’ambasciatore era fuori città a riceverli è stato il suo vice F. Dauble. A nome dell’UCEI i due rabbanim hanno espresso la loro preoccupazione in merito al pronunciamento contro la pratica della circoncisione espresso da un tribunale di Cologna. Il diplomatico ha tradotto loro una dichiarazione ufficiale del ministro degli Esteri tedesco apparsa oggi sulla stampa tedesca e un’altra dichiarazione del ministro della Giustizia. “Dauble – ha affermato rav Di Segni – ci ha spiegato che questo problema può essere risolto soltanto con una legge e che l’auspicio del governo è quello di lavorare in questa direzione”.

pilpul
Davar Acher - Rifiuto di condividere
Ugo VolliUna notizia di cronaca che è circolata nei giorni scorsi su Internet ma non ha attirato l'attenzione della stampa, mi sembra richiedere una riflessione un po' più approfondita, al di là dell'ovvio riflesso di ridicolo o di irritazione che essa suscita a prima vista. La storia riguarda un dirigente del partito di estrema destra ungherese Jobbik, esplicitamente antisemita, antirom, autoritario e nostalgico dei governi ungheresi filonazisti. Costui si chiama Csanad Szegedi, è uno dei tre deputati europei del partito e un leader nazionale: è noto per essere andato al Parlamento Europeo abbigliato nella divisa dei gruppi paramilitari del suo partito. Bene, in un'intervista al giornale di estrema destra Barikad, Szegedi ha ammesso con rammarico di avere appena scoperto di recente una sua discendenza ebraica, ma ha sostenuto con forza che questa non modifica affatto le sue convinzioni politiche diciamo pure il suo razzismo, perché un bravo ungherese si riconosce dallo spirito e non solo dal sangue, eccetera eccetera. In altri termini, il sangue ebraico non impedisce di essere antisemiti, anzi in certi casi lo impone come prova di distacco dalle proprie origini. Che poi al momento buono i nazisti non si facciano impressionare da queste dichiarazioni di fedeltà all'ideologia e trattino gli ebrei fascisti come tutti gli altri, è un dato storico che molti di costoro hanno dovuto imparare quando era troppo tardi.
In realtà, come i bene informati sul caso hanno osservato (per esempio qui), Szegedi deve aver mentito, perché le sue “origini ebraiche” sono una nonna, di nome Magoldna Klein, che non solo era ebrea, ma anche una sopravvissuta dalla Shahà, come il deputato fascista non poteva non sapere. Semplicemente la cosa è emersa adesso e lui si è trovato obbligato a farvi fronte. Il che rafforza la mia considerazione: è probabile che si possa diventare filo-nazisti pur sapendo di essere di origine ebraiche. I governi ungheresi degli anni Quaranta avrebbero mandato Szegedi diritto ad Auschwitz, ma gli piacciono lo stesso.
Non è un caso del tutto isolato. Certamente si può diventare antisraeliani e antisionisti e in definitiva anche antisemiti essendo ebrei e magari osservanti. E' il caso per così dire all'estrema destra (è un'altra destra rispetto a Jobbik, ma pur sempre nostalgica e intollerante), dei tre charedim di Naturei Karta che sono stati arrestati l'altro giorno per aver vandalizzato Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme, con scritte inneggianti al nazismo come alleato del “regime sionista” che opprimerebbe palestinesi ed ebrei ortodossi (la notizia è qui). Sono gli stessi che qualche mese fa inscenarono una sfilata con la stella gialla e la divisa a strisce dei deportati per protestare contro il “nazismo” dello Stato di Israele. Natrurei Karta non sono tutti i charedim, anzi è una piccola minoranza; ma resta il fatto che essi non sono respinti dagli altri. In questi giorni sulla stampa israeliana è apparso l'appello della Rabbanut contro la decisione del governo di iniziare a finanziare alcuni rabbini non ortodossi, non un appello a isolare i gruppi che danno origine a queste grottesche manifestazioni antisemite, come i Naturei Karta e i Satmar. A Meà Shearim si sono fatte manifestazioni contro il progetto governativo di estendere il servizio militare obbligatorio ai charedim, ma, per quel che ne so, dell'incidente, diciamo così, di Yad Vashem, si è preferito tacere.
Magari senza arrivare proprio a questi eccessi, sono molto diffuse posizioni analoghe di rifiuto di Israele e dell'ebraismo anche a sinistra: non sono solo i soliti Sand, Pappé e i loro piccoli imitatori nostrani che si accompagnano ai terroristi palestinesi, dicono che la fondazione di Israele è stata una “catastrofe (Nabka) e così via. Vi sono anche casi più buffi, come quello dell'ex ambasciatore e direttore generale del ministero degli esteri israeliano Alon Liel, cioè il numero due del ministero quando lo governava quello Shlomo Ben-Ami, il politico più estremista del “fronte della pace”, che negli anni recenti è stato oggetto di forti polemiche per aver offerto consulenza all'Autorità Nazionale Palestinese, naturalmente nel senso di non accettare compromessi con Israele. Bene, questo Alon Liel ha fatto rumore in Sudafrica, dov'è stato ambasciatore israeliano, dichiarandosi favorevole al boicottaggio della sua patria: naturalmente per il suo bene, per farla ritornare alla politica giusta (cioè quella delle concessioni indeterminate), per far abbandonare le "colonie", per far ripartire il processo di pace e così via (la notizia è qui)
Un (ex) ambasciatore che rinnega il suo (forse ex) Stato e con esso il suo popolo per ragioni ideologiche non mi appare così diverso da un ungherese che rinnega la nonna per ragioni altrettanto ideologiche, benché più ributtanti, o di charedim che stanno dalla parte di Hitler e di Arafat contro Israele. Credo che dovremmo riflettere tutti sul meccanismo comune alle posizioni di Szegedi, di Liel e dei Naturei Karta, sul fondamentale rifiuto all'appartenenza che le motiva - e anche sulle complicità che queste posizioni suscitano. Le distinzioni sono ovvie e non mette conto di soffermarsi su di esse: Szegedi ci sembra più pericoloso, i Naturei Karta più ridicoli, Liel ad alcuni potrebbe sembvrare quasi rispettabile per il suo "idealismo".
Ma ciò che accomuna questi gesti è meno banale, soprattutto perché sotto ognuno di essi vi è una pretesa morale: il rispetto della Torah e della tradizione lette in maniera particolarmente chiusa e dogmatica da parte dei Naturei Karta, l'amore per il paese di nascita per il deputato neofascista, la passione per la “pace” (anche se essa, a stare alle parole dei palestinesi, rischia di essere decisamente sanguinosa per il popolo ebraico) per Liel e compagni. Quest'ultima posizione merita di essere approfondita in maniera particolare, perché ha un'eco di stampa in Israele e nel mondo e un prestigio intellettuale del tutto esagerati rispetto sia alla sua influenza nell'elettorato israeliano (inferiore al 10%) sia al suo fondamento storico-giuridico. E però è una posizione antica, che risale ben più indietro rispetto all'ubriacatura pacifista dei tempi in cui Ben-Ami faceva il ministro, a quando Martin Buber (proprio lui!) in piena Shoah era favorevole a chiudere le porte agli immigrati dell'Europa orientale, condannandoli a morte sicura, pur di non irritare gli arabi, e Leon Magnes (il primo rettore della Hebrew University) faceva campagna nel '48 a Washinghton perché gli Usa non riconoscessero Israele, anzi gli imponessero sanzioni, a quando Leibowitz paragonava Tzahal all'esercito nazista e via delirando.
A me pare che in fondo ci sia lo stesso gesto: il rifiuto di condividere il destino storico del popolo ebraico, l'assunzione di una propria superiorità, l'assunzione di stereotipi che sono in sostanza antisemiti non solo nel caso di Szegedi, ma anche dei Naturei Karta e dei "post-sionisti" di sinistra, l'illusione che ci si possa salvare dissociandosene. Nel momento in cui il fronte antisraeliano si rafforza e rinasce l'antisemitismo in Europa, è necessario essere consapevoli della sostanziale equivalenza di queste posizioni.

Ugo Volli - twitter @UgoVolli

notizieflash   rassegna stampa
Qui Roma - Domani l'ultimo saluto
della Comunità a Victor Meghnagi

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E' scomparso a Roma Victor Meghnagi. Protagonista dell'opera di assistenza ai profughi ebrei di Libia negli Anni Settanta, era stato tra i fondatori della Coppa dell'Amicizia e a lungo collaboratore del mensile della comunità ebraica capitolina Shalom. I funerali si svolgeranno domani mattina al cimitero di Prima Porta con partenza alle 9.30 dall'ospedale San Camillo.
 

E' morto Yitzhak Shamir, nato Jazernicki, ebreo bielorusso, poi figura storica del sionismo ed esponente di primo piano di quella destra che concorse, in posizione fortemente antagonista, a fondare lo Stato d’Israele. Aveva novantasei anni, gli ultimi sedici trascorsi in una clinica, affetto dall’Alzheimer(...)

continua

Claudio Vercelli
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