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  23 agosto 2012 - 5 Elul 5772
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
alef/tav
elia richetti Elia
Richetti,
presidente dell'Assemblea rabbinica italiana
 


Il brano di questa settimana si conclude con una norma di non facile comprensione: quello della “ ‘eglà ‘arufà”, la vitella decapitata. La Torah stabilisce che se si trova in un campo un morto ammazzato e non si ha alcun modo per scoprire chi ha commesso l’omicidio, i capi ed i sacerdoti della città più vicina devono recarsi sul più vicino alveo di torrente, decapitarvi una vitella e, lavandosi le mani, dichiarare la propria estraneità al delitto.
Questa è la regola, alla quale ho accennato molto brevemente perché non è direttamente ad essa che voglio appoggiarmi, bensì ad un midràsh ad essa collegato.
Il Midràsh sostiene che quando Yosèf fu mandato dal padre a vedere come stavano i fratelli, ed a seguito di ciò fu venduto, col padre stava studiando proprio questa regola; e solo quando, anni dopo, glielo ricordò tramite i fratelli, Ya‘aqòv si convinse che il suo figlio dato per sbranato era vivo.
È chiaro che la domanda su come potessero Ya‘aqòv e Yosèf conoscere questa regola, visto che la Torah non era ancora stata data, è una domanda mal posta: i nostri Maestri – benché affermino che i Patriarchi conoscevano ed osservavano tutta la Torah - sanno perfettamente che “storicamente” non è stato così. Se fanno un’affermazione di questo genere, è per trasmetterci un insegnamento diverso. La vera domanda è: che cosa ha a che fare la storia di Ya‘aqòv e di Yosèf con la ‘eglà ‘arufà?
Di per sé è una delle regole che ci sembrano meno comprensibili. Il solo fatto di ricordarla e studiarla è uno strumento attraverso il quale Israele sopravvive (come è detto a proposito di Ya‘aqòv, dove si legge che quando sentì le parole di Yosèf, “wa-techì rùach Ya‘aqòv”, “sopravvisse lo spirito di Ya‘aqòv”.
Il principio cui la regola della ‘eglà ‘arufà si ispira è quello della responsabilità indiretta, quella responsabilità solo morale che però è fondamentale nel mantenere l’identità e la coesione di Israele. Affinché lo spirito, la spiritualità d’Israele rimanga in vita è necessario continuare a studiare, conoscere, approfondire e mettere in pratica i valori etici e pratici delle mitzvot.


Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Qualcuno dovrà pur decidersi a scrivere la storia tragica e grottesca del reportage dal Medio Oriente. Di fronte a quella che in un articolo su Limes (2012, 2) ho definito "deficienza analitica", sfonda una porta aperta chi sostiene che la "hasbaràh" sia non solo utile ma essenziale per Israele. Ma con due ben precisi correttivi. Il primo è che hasbaràh (che in italiano si può rendere con "spiegazione informativa") è termine paternalistico e, nella prassi degli ultimi decenni, fallimentare. Vuol dire: "ora te la spiego bene" – dopo che mi sono trovato in perenne ritardo, o sono stato poco chiaro e convincente, o perfino ho commesso dei madornali errori nel confronto dialettico con i miei detrattori (o semplicemente con il pubblico in cerca di informazione primaria). Quello che è invece necessario fare è costruire un serio e ampio discorso su Israele che sia capace di confutare punto per punto le innumerevoli inesattezze fattuali e interpretazioni perverse, e allo stesso tempo dia un quadro equilibrato della complessità multiculturale e multipartitica della realtà israeliana. Ed ecco la seconda e non meno importante discriminante: quella fra hasbaràh di Stato e hasbaràh di Partito. Quella che oggi si legge in Italia in certi siti e osservatori dichiaratamente filo-israeliani sembra spesso una crociata stizzosa contro tutto ciò che non sia conforme a una determinata posizione dottrinaria, a volte sulla falsariga di fonti americane impegnate all'estremo nella campagna elettorale contro il Presidente Obama. Tale dottrina può, sí, trovarsi periodicamente a far parte della coalizione governativa in Israele, ma certamente non riflette la maggioranza dell'opinione pubblica del paese. Il pensiero unico si scaglia non solamente contro i nemici di Israele, ma anche contro le idee del centro e della sinistra parlamentare alla Knesset, contro determinate sentenze della Corte Suprema, contro delibere del Controllore di Stato, o anche contro posizioni moderate espresse dalle Forze di Difesa e dai Servizi – tutti strumenti fondamentali della legalità istituzionale dello Stato d'Israele. In questi casi, il profitto d'immagine per Israele è dubbio, il danno è certo. Non vorremmo allora dover tornare al vecchio adagio: dagli amici mi guardi Iddio, che ai nemici ci penso io.

davar
Berlino - Rav Metzger "Milah alla base dell'anima ebraica"
“La religione ebraica e quella musulmana devono continuare a poter essere praticate in Germania” dichiarava una risoluzione indirizzata al governo guidato dalla cancelliera Angela Merkel e sostenuta dai leader di maggioranza e opposizione del Parlamento tedesco. Una risoluzione che invitava l’esecutivo a intervenire perché la circoncisione, pratica fondamentale tanto per gli ebrei quanto per i musulmani, potesse essere praticata in Germania senza il timore di conseguenze legali.
In questi giorni i rappresentanti della Repubblica federale tedesca incontrano a Berlino il rabbino capo ashkenazita di Israele Yona Metzger allo scopo di trovare una soluzione.
La sentenza pronunciata dal Tribunale di Colonia lo scorso 26 giugno che qualificava la circoncisione del neonato per scelta dei genitori come un reato penale, ha provocato infatti non pochi problemi. Molti ospedali tedeschi, e persino austriaci e svizzeri hanno vietato di praticare la circoncisione fino a che non si ristabilisca un quadro legale chiaro. Nel frattempo, solo un paio di giorni fa, è uscita sui giornali la notizia che un rabbino tedesco, David Goldberg, sarebbe stato denunciato da un medico per aver praticato la milah su un bambino in Baviera. 
Rav Metzger ha dichiarato ai giornalisti di essere fiducioso che una soluzione di compromesso possa essere presto raggiunta, insistendo però sul fatto che debba essere consentito ai mohelim, coloro che praticano la circoncisione secondo la legge ebraica, di continuare a operare, per preservare il significato sacro del rito, che rappresenta un dettame di D-o per gli ebrei “Questo è il nostro credo, e la base stessa dell’anima ebraica” ha spiegato.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked


Giornata della cultura - La speranza dopo il terremoto
Le celebrazioni della tredicesima edizione della Giornata europea della cultura ebraica previste per domenica 2 settembre, filo conduttore l'umorismo, coinvolgeranno oltre 60 località in tutta Italia. Ma ci saranno dei luoghi in cui avranno un sapore particolare, quello della speranza e della rinascita fra tante preoccupazioni. Si tratta delle Comunità ebraiche delle aree colpite dal terremoto che lo scorso maggio e giugno ha portato devastazione in Emilia Romagna e in parte della Lombardia.
Per la Comunità di Parma, il fulcro delle celebrazioni sarà la cittadina di Soragna. In programma lo spettacolo teatrale Terra Promessa e aringhe marinate a cura di Laura Forti e con Max Sbarsi e Paola De Crescenzo, che porterà in scena un percorso per due attori che parte dall'arrivo dei primi immigrati ebrei in America con il loro ampio bagaglio di tradizioni e storie. A seguire il concerto di Amit Arieli & The New Old Klezmer Ensemble.
A Modena in mostra l’umorismo di una delle menti più eclettiche del Novecento italiano, Angelo Fortunato Formiggini, editore di successo, anima della Casa del ridere che costituì il primo grande tentativo di raccolta di materiale attinente alla risata pubblicato su carta, stampa e quadri, in Angelo Fortunato Formiggini è stata una delle menti più eclettiche del Novecento italiano. Per tutta la giornata poi proseguiranno visite guidate, letture a tema per adulti e bambini, stand gastronomici, l’intrattenimento di Olek Mincer e Onyvà Teatro.
Tra gli appuntamenti più attesi a Bologna, sarà la conferenza di Giacomo Manzoni sul tema Tradizione e provocazione: l'umorismo ebraico nel cinema contemporaneo con proiezione di corti e spezzoni dei più grandi registi ebrei contemporanei. Da segnalare poi l'intervento del rabbino capo Alberto Sermoneta Il Signore mi ha fatto uno scherzo (Genesi 21,6). L’ironia nella tradizione ebraica, e ancora l’inaugurazione della mostra sui luoghi ebraici cittadini al Museo ebraico.
Risate e musica cuore degli eventi di Mantova, dove a una conferenza del professor Stefano Patuzzi sul tema Umorismo ebraico, seguirà un concerto klezmer. Il tutto a fare da preludio a Storie vecie, passeggiando sotto la luna, iniziativa suddivisa in due momenti: lettura di poesie in dialetto giudaico‐mantovano e musica in ghetto con assaggi di cucina ebraica, che si ripeterà ogni sera dal 6 all’8 settembre in occasione del prestigioso Festivaletteratura.
Più difficile la situazione di Ferrara dove la sinagoga tedesca, la ex-sinagoga italiana e il museo comunitario, che si trovano nello stesso gruppo di edifici sede della Comunità dal 1485, sono stati dichiarati inagibili a causa del terremoto. Solo dopo le festività autunnali (per le quali sarà utilizzata la piccola sinagoga fanese) sarà possibile iniziare i lavori per ripristinare l’agibilità.
Un segnale di speranza giunge infine da Finale Emilia, uno dei luoghi dove il terremoto ha portato maggiore devastazione, e che non ha voluto rinunciare alla celebrazione della sua straordinaria eredità ebraica nonostante le difficoltà, e sarà dunque possibile prendere parte alle visite guidate del cimitero e dell'antico ghetto.


La nostra Maturità - La prova di David Assael
La conferenza di Wannsee e la preparazione della Soluzione finale, nelle parole di Hanna Arendt. È una delle tracce proposte quest’anno alle prove dell’esame di maturità per il tema storico. Un argomento complesso e delicato dalle implicazioni sia storiche sia filosofiche. Ma che significato ha uno spunto di questo genere? Quanto aiuta approfondire i meccanismi della Shoah? E in quali modi lo si può declinare? Abbiamo girato questi interrogativi ad alcuni dei nostri editorialisti, che si sono cimentati con la loro personale versione del tema di Maturità: una sfida non facile che ci aiuta a capire meglio.

Anna SegreNel 1961 Hannah Arendt assisteva a Gerusalemme come inviata del New Yorker al processo EichmLa riflessione di Hannah Arendt, che sfocia nella tesi della banalità del male come categoria interpretativa della Shoah, ha senz’altro dei meriti per il richiamo alla responsabilità individuale nei confronti di qualunque regime totalitario. Anni fa sentivo una filosofa italiana, Laura Boella, che a lungo si è confrontata con il pensiero della Arendt, evocare l’immagine del contadino polacco del film documentario di Lanzmann, che si guarda la punta delle scarpe davanti alla domanda se non avesse sentito l’odore acre che veniva fuori dai camini dei forni crematori, come maggiore esemplificazione dell’idea della pensatrice tedesca. Immagine che può essere messa in relazione con i richiami di Eichmann all’imperativo categorico kantiano. Da più parti, però, ci si è chiesti se la formula arendtiana non sia troppo generica per rendere ragione della specificità della Shoah, che ricordiamolo, è uno sterminio che già nei suoi tratti più superficiali presenta delle peculiarità rispetto alle tradizionali macchine dei genocidi, anzitutto perché non si è trattato di eliminare lo straniero dalle proprie terre, semmai di portarcelo dentro per assicurarsi che nessuno sfuggisse all’eliminazione. Una volontà sterminatrice che non trova risoluzioni in ragioni locali, ma che sembra rinviare a una sfida cosmica fra due estremi, opposti fin dall’origine della storia. Il richiamo alla specificità della Shoah proviene, come era logico attendersi, anzitutto da parte del mondo ebraico. Scrivendo da queste colonne, fa piacere ricordare il numero di Pagine ebraiche dedicato al processo Eichmann, in cui, da testimoni di allora, viene ribadita la percezione di distanza fra la figura di Hannah Arendt e la sensibilità ebraica post Shoah. Con ciò, non vogliamo assolutamente unirci al coro di chi cataloga la riflessione della Arendt come espressione dell’odio di sé, perché qui si vanno a toccare i tessuti soggettivi delle persone, che possono essere conosciuti solo da chi li ha frequentati in maniera diretta. Riteniamo però utile sottolineare la necessità di riconoscere la specificità dell’azione nazista e non certo per partecipare a una macabra conta dei morti in cui vince chi ha subito più vittime, un esercizio che pure a volte si sente. È una sensibilità che non ricaviamo dallo sterminio subito. Concordo con chi sostiene di non tramutare una religione della vita in un culto della morte. E’ del resto la Torah stessa a considerare i genocidi subiti come elementi sì tangenti, ma esterni alla nostra storia, visto l’esiguo numero di passukim dedicati al periodo di schiavitù in Mitzraim. Semmai, il riconoscimento della peculiarità dell’odio nazista è un dovere dettato dalla cultura delle distinzioni che ci impone l’etica ebraica, già a partire dall’arcobaleno di Noakh, che riafferma un discernimento dopo il grande mischiamento del mobbul. E resta un imperativo nel seguito del percorso dell’identità israelita, mostrando, di volta in volta, le insidie implicite in questo orizzonte etico. Itzhak affronterà, in rapporto ad Avimélech, la condizione dell’ebreo della diaspora, che, vivendo da straniero in terra straniera, sarà sopportato finché non cresce troppo in ricchezza e influenza (Avimélech disse a Isacco: “Vattene da noi perché sei diventato troppo grande rispetto a noi”. Bereshit 26, 16). Lo stesso suo figlio Ya’akov, che svilupperà la consapevolezza della necessità della Terra proprio in conseguenza del trattamento ricevuto da Lavàn, il quale, incarnando già la figura del compagno di banco che diverrà filonazista, muta, da un momento all’altro, faccia e atteggiamento nei confronti dell’ebreo (e disse loro: “Ho osservato che i volti di vostro padre nei miei confronti non sono più come in precedenza”. Bereshit, 31, 5). Così come un compito specifico avrà Moshé nell’affrontare la mentalità imperiale del faraone. Commentando Bereshit 27, 3, Or Ha’- Haim sottolinea la distinzione fra keshet (arco) e sadeh (campo), sostenendo che il primo simboleggia la Grecia, per l’etica ebraica simbolo del rischio di assimilazione, il secondo Edom, che dunque ha connotati diversi. Edom è Esav, ossia la figura attraverso la quale si esprimono per la prima volta pulsioni di morte nei confronti di quello specifico percorso identitario rappresentato dall’ebraismo. Esav vuole uccidere il fratello perché il suo percorso etico prevedeva che la struttura sociale dove avrebbe avuto diritto alla primogenitura fosse scardinata. Esav è ciò che è stato sacrificato ad una prospettiva in cui “il minore comanderà sul maggiore”, sostituendo a una visione genealogica ciò che oggi definiremmo un paradigma del merito. È, questo, un odio ancestrale e costitutivo, che precede la storia, la quale, semmai, è sfruttata per raggiungere il suo fine. Il mondo ebraico nella Shoah ha riconosciuto quest’odio e negli occhi indifferenti dei nazisti che destinavano i bambini alle camere a gas non ha percepito la freddezza del burocrate, bensì ha scorto l’odio di Amalék, la tribù sterminatrice che discende da Esav e che forse è nata anche per una teshuvah incompleta da parte di Ya’akov, ossia di tutti noi. Lo ripetiamo, non si tratta qui di rivolgere una sterile critica alle parole di Hanna Arendt. Ci si chiede, però, se una tesi di chiara derivazione heideggeriana (il che aggiunge ulteriore ambiguità al tutto), sia adatta a interpretare la Shoah, e, cosa più importante se non si ritiene che la Memoria serva solo a occupare un giorno sul calendario, a favorire oggi un confronto con la specificità delle pulsioni che abitano la coscienza europea. Solo analizzando la composizione del nostro animo, capiremo la più autentica origine dello sterminio nazista, aprendo la possibilità di un nuovo modo di relazionarci all’Altro.

David Assael, Pagine Ebraiche, agosto 2012

pilpul
Padri

"Mio padre apparteneva a una diversa generazione di leader, dotata di ideali e valori".

Gilada Shamir Diamant, Pagine Ebraiche, Agosto 2012

notizieflash   rassegna stampa
Champions League - Sconfitta
per gli israeliani del Kyriat Shmona
  Leggi la rassegna


La squadra di Kiryat Shmona è stata sconfitta per 2-0 a Minsk dai
bielorussi del Bate Borisov nell'andata dello spareggio valevole per l’accesso alla fase a gironi della Champions League. Gli israeliani hanno terminato la partita in dieci per l'espulsione di Dusan Matovic per doppia ammonizione. La partita di ritorno si disputerà il 28 agosto.
Stasera in campo per i preliminari di Europa League l'Hapoel Tel Aviv contro i lussemburghesi del F91 Dudelange.

 
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