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4 aprile 2018 - 19 Nissan 5778
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il governo diviso sul budget dello stato del prossimo anno

Più Educazione, più Difesa: il Bilancio 2019
al vaglio della Knesset per l'approvazione

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Il governo israeliano ha approvato questa mattina il bilancio dello Stato per il 2019, pari a 479,4 miliardi di shekel (circa 140 miliardi di dollari). Secondo una sintesi diffusa dal ministero delle Finanza, la finanziaria prevede una spesa di 60 miliardi di shekel (17 miliardi di dollari) per l’Istruzione e circa 38 miliardi di shekel (11 miliardi di dollari) per la Sanità. I fondi a sostegno dei sopravvissuti alla Shoah previsti dalla finanziaria 2019 sono di circa 13 miliardi di shekel (3,80 miliardi di dollari), mentre la spesa prevista del ministero della Difesa è di 63 miliardi di shekel (18,4 miliardi di dollari). Nel 2019 il deficit sarà il 2,9 per cento del Prodotto interno lordo, mentre nel 2020 dovrebbe essere del 2,5 per cento. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accolto con favore l’approvazione del bilancio dello Stato. “Il governo oggi ha approvato un budget eccellente che esprime la nostra politica responsabile e consistente”.
Diversi membri del governo hanno criticato pubblicamente il bilancio prima che fosse approvato per i tagli proposti ad alcuni dicasteri, tra cui il ministro della Cultura, Miri Regev, il ministro della Scienza e della tecnologia, Ofir Akunis, e il ministro della Pubblica sicurezza, Gilad Erdan. A criticare la finanziaria anche il ministro dell'Interno, Arye Deri, che ha boicottato la riunione del gabinetto per protestare contro i tagli proposti agli Affari religiosi, che vedranno un taglio di 11 milioni di shekel (3,2 miliardi di dollari) destinati all’insegnamento della Torah agli adulti. Il ministro delle Finanze israeliano, Moshe Kahlon, ed il primo ministro hanno preso quella che i quotidiani locali definiscono “l'insolita mossa” di approvare il bilancio del 2019 con quasi un anno di anticipo per stabilizzare la coalizione, che non dovrà occuparsi di un altro bilancio prima delle elezioni previste a novembre 2019. La coalizione di governo ha una maggioranza ristretta all’interno della Knesset, formata da 120 seggi. La coalizione di maggioranza, guidata dal Likud, ha 66 seggi, mentre l’opposizione ne conta 54.


 

le scelte sbagliate che hanno messo l'azienda in grave difficoltà

Teva, la crisi di un gigante farmaceutico

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Nelle ultime settimane la stampa finanziaria di tutto il mondo ha dedicato ampio spazio alla inaspettata e improvvisa parabola discendente del colosso farmaceutico israeliano Teva, leader mondiale nel settore dei farmaci generici. A fare notizia è stato anche l’annuncio che l’azienda taglierà 14.000 posti di lavoro nel mondo. Cosa ha fatto sì che nel giro di pochi anni Teva si sia trasformata da multinazionale di successo a una azienda in crisi, sull’orlo dell’insolvenza?
Fino a pochi anni fa Teva era considerato uno dei fiori all’occhiello dell’economia israeliana, anche perché era l’unica azienda israeliana che era riuscita a liberarsi dal “nanismo” che affligge molte aziende, soprattutto nel settore high-tech: con grande cruccio delle autorità israeliane quasi tutte le start-up di successo vengono vendute dai proprietari ai colossi americani in uno stadio ancora iniziale e il paese non riesce a dotarsi di grandi imprese che creano occupazione e benessere diffuso, anche tramite un indotto. La strada (o scorciatoia) scelta da Teva per crescere non è stata quella della crescita “interna” bensì quella di fare acquisizioni a raffica all’estero (Italia compresa) indebitandosi con le banche.

Aviram Levy, economista

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i rapporti tra gerusalemme e riad migliorano grazie al pericolo iran

Arabia Saudita, il nemico del mio nemico

Si è fatto un bel parlare del riconoscimento di Gerusalemme capitale da parte degli Stati Uniti e del voto all'Onu che ne è seguito. Fatti importanti, per carità, però credo che il fattore che più influenzerà il Medio Oriente, e di conseguenza Israele, nel 2018, sarà un altro. Teniamo gli occhi aperti sull'Arabia Saudita: nel regno del Golfo, uno dei Paesi musulmani più conservatori, dove vige come religione di Stato una versione particolarmente rigida dell'Islam, il wahhabismo, c'è un giovane principe che aspetta di essere incoronato. Il principe ereditario si chiama Mohammad bin Salman, ha poco più di trent'anni, e secondo alcuni potrebbe diventare re già nel 2018. I giornali occidentali, che, lo sappiamo, spesso tendono ad essere un po' troppo ottimisti davanti ai bei gesti, parlano di lui come un modernizzatore, perché ha concesso alle donne di guidate e revocato la proibizione, che vigeva da 35 anni, di andare al cinema. Ora è un po' presto per essere ottimisti però secondo alcuni osservatori tra gli obiettivi di normalizzazione del futuro re ci sarebbe anche una normalizzazione con Israele. Dettata dal buon senso e dal pragmatismo, ma anche dal prendere atto che Riad e Gerusalemme hanno un nemico comune, l'Iran. Varrà il proverbio secondo cui i nemici dei nemici sono amici? Lo vedremo in questo 2018.

Anna Momigliano

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