Discorso del consigliere Saul Meghnagi

Giorno della Memoria: discorso del consigliere Saul Meghnagi alla celebrazione tenutasi a Bologna presso Palazzo D’Accursio

27 gennaio 2005

Due interrogativi vengono spesso posti agli ebrei:

– è legittimo considerare la Shoah come evento eccezionale rispetto alla pluralità di eccidi che l’umanità è stata capace di compiere?
– è legittimo il forte legame tra gli ebrei e lo Stato di Israele, nato dopo la Shoah?
Si tratta di due quesiti complessi, ai quale appare utile dare, in questa Giornata della memoria, delle risposte.

Per ciò che attiene la prima domanda, si può osservare che – nonostante l’incommensurabilità del dramma della Shoah – gli ebrei non sono stati gli unici ad aver subito odio, ostilità e aggressioni tese a determinarne la distruzione come popolo e come cultura.
Non è per questo motivo che la Giornata della memoria è dedicata prioritariamente all’eccidio degli ebrei.
La ragione dipende dai luoghi, dai contesti culturali e dalle forme con cui è stato attuato lo stermino. L’idea dell’annientamento del popolo ebraico, nel ventesimo secolo, si è sviluppata in Europa, nel continente dell’illuminismo, dei valori di “libertà, uguaglianza, fratellanza, dell’autodeterminazione dei popoli, dello Stato di diritto, in poche parole nel continente che ascrive a sé i valori fondamentali della democrazia.
L’idea dell’annientamento del popolo ebraico ha trovato la sua realizzazione concreta in Germania, in un paese che ha contribuito in modo decisivo alla filosofia, alla letteratura, alla musica, all’arte che ha fatto e fa dell’Europa un luogo unico di studio, di ricerca, di elaborazione sulle forme della convivenza civile.
L’idea dell’annientamento del popolo ebraico ha visto l’applicazione programmata della scienza, dalla quale si attendeva un decisivo sviluppo delle condizioni di vita e di lavoro di molte popolazioni. Allo sterminio hanno collaborato, non solo gli autori materiali del crimine, ma ingegneri, medici, biologi, tecnici, progettisti, operai per fornire ai carnefici i mezzi più raffinati per lo svolgimento del loro compito.
Per tutto ciò, la Shoah è un evento eccezionale, nella storia e nella costruzione culturale e politica della stessa Europa. Non è solo una tragedia ebraica, ma un dramma dell’umanità, un evento che coinvolge tutte le coscienze, che richiama al senso di responsabilità, individuale e collettiva, al di là delle emozioni profonde e della partecipazione al dolore.

Per ciò che attiene la seconda domanda, sul legame tra gli ebrei e Israele, è necessario riflettere sulla genesi dello Stato ebraico, parlando del passato sapendo che esso si ripercuote sul presente. Nel corso del lungo processo che dai primi editti sulla “tolleranza” ha portato alle costituzioni liberali, dando, nel mondo occidentale, pieni diritti di cittadinanza agli ebrei, si sono consumati innumerevoli misfatti, prima della catastrofe della Shoah. Successivamente, la fuga della quasi totalità degli ebrei dei paesi arabi ha prodotto la scomparsa dell’ebraismo sefardita. Più di recente, ebrei dei paesi del passato blocco socialista – privati della possibilità di esprimere la loro cultura e discriminati in ragione della loro “cittadinanza ebraica”, indicata per iscritto sui loro documenti di identità – hanno lasciato i loro paesi d’origine, decretando la fine di una parte dalla cultura ebraica askenazita.
Lo Stato di Israele –dove erano confluiti i superstiti della Shoah – ha accolto anche questa gente, dando vita a un complesso processo di integrazione tra persone di origine diversa e dando vita a una nuova connotazione dell’ebraismo stesso, in ragione non solo della varietà delle popolazioni, ma anche di un inedito percorso di ridefinizione culturale.
L’ebraismo europeo, depauperato delle sue risorse umane e culturali, ha faticato, dopo la seconda guerra mondiale, nel ritrovare una propria originale elaborazione identitaria, fondata sulla salvaguardia della propria specificità e la partecipazione civile in un contesto democratico più ampio. Le odierne intimidazioni – non solo da parte di risorgenti gruppi antisemiti ma da coloro che partendo da una critica alla politica israeliana, pretendono continue dichiarazioni politiche di equidistanza – determinano, per questo, soprattutto nei giovani, uno stato di incredulità. Ci si chiede come una situazione così complessa possa essere valutata in termini di schieramento e non dia vita a tentativi più articolati di analisi e di ricerca.
Da qui il paradosso di essere cittadini a pieno titolo e, nel contempo, “sulla difensiva” nei diversi luoghi di vita e di residenza, dalle scuole alle università, dalle sedi di dibattito ai vari luoghi del confronto, dagli ambiti politici alle manifestazioni per la pace.
Il riemergere dell’antisemitismo è fonte, inoltre, di una tangibile sofferenza da parte della generazione che, avendo vissuto il periodo delle leggi razziali e delle deportazioni, riteneva chiusa una fase storica in cui l’ebreo doveva temere per il proprio futuro o per quello dei propri figli. Così come è fonte di incredulità e di turbamento il sapere, oggi, che dei bambini ebrei salvati in una Chiesa non siano stati restituiti, essendo stati battezzati, ai loro familiari.

Per questi motivi, è difficile, per un ebreo, accettare che, mentre gli si parla di Shoah, gli si chieda di dare conto del suo ineludibile legame con Israele; che, a Israele stessa, si possa negare il diritto di esistere, al di là della legittima critica ai suoi governi e alle sue azioni; che non si capisca come tali posizioni inducano in lui una rinnovata percezione di pericolo.

In tale ottica, l’ebraismo chiede che in ogni discorso, soprattutto se relativo alle minoranze non ci si riferisca solo alla filosofia dei diritti ma si ragioni anche sulla pratica dei diritti; che la stessa commemorazione della Shoah non sia un’omelia sui diritti connessi con il rispetto dei diversi, che questa giornata non sia solo dedicata ai morti, verso i quali va il nostro rispetto, ma anche ai vivi verso i quali deve andare il nostro impegno.

Sono passati sessanta anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz. Presto e toccherà a un’altra generazione salvaguardare questa onerosa eredità.

Si tratta di un processo difficile per un’Europa che, nello stesso momento in cui tenta di definire, nella pluralità delle genti, una propria unità, deve interrogarsi su come in essa possano convivere tradizioni e culture diverse, su come la stessa idea di democrazia possa essere accolta all’interno e all’esterno dei propri confini, su come ciò che è stato non si ripeta in nessuna altra parte del mondo. Ma questa appare la scommessa del futuro alla quale gli ebrei intendono contribuire come persone e come Comunità.