L’Islam e la Bioetica, di Ahmad Rafat

Nell’Islam tutti gli aspetti della vita del credente sono regolati dalla Sharia, che a sua volta è una combinazione di quanto riportato dal libro sacro, il Corano, e la Sunna ( letteralmente tradizione) che raccoglie quanto detto e fatto dal profeta Mohammad e dai suoi successori e più stretti collaboratori. Per il diritto islamico ogni atto compiuto dall’Uomo deve rientrare in una delle seguenti cinque categorie: Vajeb ( obbligatorio), Mustahab (raccomandato), Mobah (libero), Makruh (sconsigliato) e Haram (proibito).
La Sharia però è dotata di una notevole capacità di adattamento alle varie situazioni, una peculiarità resa possibile soprattutto dall’assenza di una autorità suprema con il ruolo di custode dell’ortodossia.

Proprio questa elasticità, permise all’Islam di espandersi nel corso dei secoli tra popoli di zone geografiche completamente differenti dalla sua terra di origine. I giuristi islamici (I Fagih, gli Ulema, e i Mufti) con le loro Fatwa ( la risposta fornita da un giurisperito a un quesito presentatogli da un fedele per sapere se un fatto sia regolamentata dalla Sharia, e quali siano le modalità per applicarne il disposto) possono interpretare secondo le esigenze del tempo e del luogo la Sharia. Le Fatwa devono essere emesse tenendo presente questi elementi: Ijma (consenso), Ghias (analogia), Maslah (interesse pubblico) e Orf (costumi e usi locali).
I giuristi islamici che cercano di modernizzare la Sharia e di renderla compatibile con le esigenze di una società moderna, fanno leva su due degli elementi sopracitati l’Ijma e il Maslah, citando il profeta che disse “la mia comunità non si accorderà mai su di un errore” e “ciò che ai mussulmani è parso buono è buono anche al cospetto di Allah”. Quando la Sharia non fornisce una chiara regola di comportamento in una determinata situazione gli Ulema ricorrono al Ghias, ossia al ragionamento analogico. Questo strumento logico permette, con l’ausilio dei criteri specifici, di stabilire nuove norme di condotta per gestire situazioni impreviste a partire dalle regole prescritte in casi analoghi individuati nella Sharia. Si cita a tal proposito uno scambio di vedute tra il profeto e il suo inviato nello Yemen Moad ibn Ghabal:
-Il profeta “come giudicherai le controversie che ti saranno sottoposte?”
Moad “Secondo il libro di Allah”
Il profeta ” E se non troverai nulla nel libro?”
Moad “allora giudicherò secondo la Sunna”
Il Profeta “e se non troverai nulla nemmeno lì?”
Moad “allora mi sforzerò con il mio criterio”
Il Profeta “ringrazio Allah di avermi circondato di uomini come te”.

In base a quanto detto sopra negli anni recenti in tre conferenze internazionali uomini di fede e di scienza hanno affrontato le questioni legate alla bioetica.
ABORTO
L’aborto nell’Islam è consentito fino a quando lo spirito non prende possesso del feto. Qui ci sono due correnti; chi afferma che lo spirito entri nel feto dopo un mese lunare e dieci giorni, chi invece è del parere che il feto per i primi tre mesi lunari e dieci giorni sia privo di spirito. Alcune Fatwa consentono però l’aborto anche nei mesi successivi se il proseguo della gestazione può rappresentare un pericolo per la madre.

ESPIANTO DI ORGANI DA CADAVERE
L’Islam non si oppone alla donazione di organi post mortem come principio, ma il vero problema è rappresentato da quando avviene la morte. Anche su questo argomento le tre conferenze sulla bioetica non sono giunte ad una conclusione collegiale. La conferenza di Amman del 1986 ha approvato un documento, non all’unanimità ma a maggioranza, nella quale si afferma che una persona è legalmente morta quando c’è “completo e irreversibile arresto cardiaco e respiratorio” oppure “completo arresto di tutte le funzioni vitali del cervello”. Tale documento non è stato però accettato dalle autorità religiose del Kuwait per le quali “una persona può essere dichiarata morta solo quando tutti i segni di vita incluso il movimento, il polso e la respirazione risultino interrotti”. Per i teologi iraniani di fede sciita, la morte clinica coincide con il momento in cui lo spirito lascia il corpo. Ma anche qui non è stato possibile stabilire una regola accettata da tutti i Mujtahid ( Ayatollah con diritto di interpretare la Sharia e di emettere fatwa).

TRAPIANTI
Uno dei primi quesiti giuridici affrontato dagli Ulema islamici sul tema dei trapianti è se donatore e ricettore dell’organo debbano necessariamente appartenere alla stessa religione, oppure possono essere di fedi diversi. L’università Al Azhar del Cairo nei primi anni settanta emise una fatwa nella quale sosteneva che il trapianto di cornea tra un mussulmano e un infedele era permesso solo se l’organo veniva ceduto ad un mussulmano ma vietato se prelevato per essere donato a un infedele. Altri autorevoli religiosi hanno voluto ammorbidire con le loro fatwa questa distinzione tra fedeli ed infedeli. Lo Sheikh sunnita Yousef al Qardawi nel 2002 emise una fatwa nella quale dichiarava illecito, per i mussulmani, donare organi a “non mussulmani che aggrediscono l’Islam”, così come “agli apostati in quanto traditori della propria fede e del proprio popolo”. Un altro problema a proposito dell’espianto e della donazione degli organi, riguarda la proprietà del corpo umano, pertanto per molti Mufti l’espianto di un organo doppio, come rene o cornea, è permesso in quanto non mette a gravi rischi la vita del donatore. Per la stessa ragione, cioè la non proprietà del corpo da parte dell’individuo è vietata la vendita degli organi.

EUTANASIA
L’Islam non consente in nessun caso di interrompere l’alimentazione del malato, mentre su ciò che è stato definito con il termine accanimento terapeutico, nella conferenza del 1986 ad Amman non è stata raggiunta una posizione comune e le discussioni continuano. Alcuni dotti islamici però sostengono che il ricorso a quelle medicine, analgesici, che riducono la sofferenza psico-fisica del malato, ma che contemporaneamente possono accelerarne la morte se ritenuti indispensabili possono essere prescritti dal medico, a sola condizione che l’intenzione del medico non sia quella di favorire la morte del paziente.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE
Il diritto islamico condanna come fornicazione proibita (Zena) ogni rapporto tra un uomo e una donna che non sia sua moglie o sua schiava. La sessualità rimane quindi consentita esclusivamente all’interno del matrimonio, tenendo presente che oggi la schiavitù è stata abolita. Questa premessa è fondamentale per quanto riguarda la procreazione assistita. Per l’Islam la filiazione legittima è legata alla figura paterna. Solo di recente, alcuni paesi islamici, come il Marocco, hanno stabilito che a filiazione si realizza mediante la discendenza del bambino dai genitori. L’altro elemento da tener presente è che una coppia impossibilitata ad avere figli non può ricorrere all’adozione in quanto questa è vietata dalla Sharia, sulla base del fatto che il figlio legittimo debba essere il risultato di un rapporto sessuale legittimo. In altre parole la fecondazione assistita se la donna è inseminata dal seme di un altro uomo è severamente vietata. Cosa diversa, è l’inseminazione artificiale della donna con il seme del proprio sposo. Questa pratica è stata accettata da moltissimi Ulema. Non è consentita, per la stessa ragione, nemmeno la maternità sostitutiva o la pratica dell’utero in affitto. Nella conferenza sulla bioetica tenutasi a Il Cairo nel 1991, alcuni Ulema si sono espressi favorevolmente alla maternità sostitutiva se inquadrata in un rapporto poligamico. Tra le autorità religiose islamiche non esiste nemmeno una identità di vedute sulla possibilità di rendere gravida una donna dopo la menopausa.

CLONAZIONE
Per la gran parte dei mussulmani la riproduzione di individui geneticamente identici non è ammessa, in quanto la scienza non è in grado di clonare l’anima. Altri invece, partendo dal fatto che la clonazione non è esplicitamente vietata dal Corano e dalla Sunna, credono sia lecita se a scopo terapeutico ma non riproduttivo. l’opinione più diffusa è quella che ogni forma di clonazione, o di correzione del genoma, è un’intromissione nel creato del signore. Nella conferenza sulla bioetica del Cairo del 1991, lo Sheyk Jad al Haq disse: “i caratteri ereditari come l’intelligenza, la stupidità, la bellezza, la bruttezza, la sterilità o la fertilità si sono conservati per generazioni e non possono essere interrotti in pochi secondi con uno scalpello o un’iniezione”.

DOLORE
L’Islam non esalta la sofferenza. Secondo la Sunna infatti, salvare l’uomo dal dolore è un’estensione della misericordia di Allah. Nella Sura 2, versetto 20 del Corano si legge “noi non abbiamo rivelato il Corano perché tu patisca” e “Dio non pone mai pesi insopportabili sulle spalle degli uomini”. La Umma (comunità dei fedeli) è invitata in diversi hadis a contribuire alle spese per curare i malati. “I fedeli, uniti da reciproco amore e compassione, sono come un solo corpo, se una parte del corpo è colpita da una malattia tutte le altre parti si mobiliteranno in suo soccorso”. Il Corano nella Sura 2 versetto 45 riconosce altresì ad ogni individuo una differente capacità di sopportazione e una diversa resistenza al dolore. Si può dire che nell’Islam la medicina rientra nel determinismo divino. Un hadis riportato da ibn-Khosaima sostiene che l’uso dei farmaci e dei medicamenti non modifica la predestinazione in quanto ne fanno parte. Lo stesso profeta Maometto ad una domanda sull’uso dei medicamenti e dei talismani ai quali all’epoca si faceva ricorso disse : “queste fanno parte del potere di Allah”. Secondo ibn-Qayyam “il ricorso alle cure e ai farmaci non contraddice la sottomissione alla volontà divina allo stesso modo in cui l’uomo si protegge dalla fame, dalla sete, dal caldo, dal freddo con i rimedi che Dio stesso ha fornito cibo, vestiti, acqua e fuoco”. In un altro hadis si legge : “ogni malattia ha la sua cura e se la cura corrisponde alla malattia la persona che guarisce agisce con il permesso di Allah”.

Allegato: Dr. Efrati “Trapianti: la compravendita di organi e le problematiche halakhiche

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