Il caso Siné: satira e antisemitismo in Francia

Il caso Siné esplode quest’estate. Il 2 luglio il celebre caricaturista francese, ormai ottantenne, sul settimanale satirico Charlie Hebdo ironizza su una possibile conversione di comodo all’ebraismo del figlio del presidente francese, Jean Sarkozy, in vista del matrimonio con la fidanzata Jessica Sebaoun, figlia del fondatore dei grandi magazzini di elettronica Darty. “Degno figlio di suo padre”, scrive Siné. “Farà molta strada nella vita, questo ragazzo”.
La cosa passa sotto silenzio finché, l’8 luglio, il giornalista francese Claude Askolovitch, probabilmente stimolato dall’entourage di Sarkozy, denuncia l’articolo come antisemita (“in un giornale che non lo è”). A quel punto il direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val, condanna il testo di Siné. Il vignettista rifiuta però di scusarsi pubblicamente e il 15 luglio il direttore Val lo licenzia, motivando tale gesto anche con il desiderio di evitare una querela da parte della famiglia Darty.
Il 28 agosto Siné annuncerà sul suo blog l’uscita, il 10 settembre, di un suo settimanale satirico intitolato Siné Hebo che, annuncia, sarà “libertario, ciò che sarebbe stato Charlie se avesse mantenuto la sua tradizione iniziale”, e “non rispetterà nulla”.
Il caso Siné, per la fama del suo protagonista, apre in Francia un acceso dibattito sulla libertà di stampa, sui limiti della satira e sull’antisemitismo a sinistra.

Sui giornali italiani la vicenda arriva con un buon ritardo, a giochi ormai già fatti. A darne notizia per primo è Il Giornale che il 18 luglio dà notizia del licenziamento dell’umorista “Per Philippe Val di Charlie Hebdo – si legge – Siné con queste parole «ha superato ogni limite». In un comunicato, pubblicato ieri sul suo giornale, Val sosteneva che la vignetta «non solo toccava la vita privata dei due giovani, ma diffondeva anche la falsa voce della conversione di Jean Sarkozy all’ebraismo», ma soprattutto, aggiungeva, «faceva il legame tra la conversione all’ebraismo e la riuscita sociale. E ci è inaccettabile»”. “Sono state invece smentite fermamente dal direttore – conclude il quotidiano – voci secondo cui l’allontanamento del disegnatore sarebbe una decisione di favore nei confronti del presidente Sarkozy che quando era ancora ministro dell’Interno aveva appoggiato apertamente il settimanale satirico nella vicenda delle caricature di Maometto”.

Tre giorni dopo il caso approda sulle pagine del Corriere della sera con un articolo di Massimo Nava che ricostruisce la vicenda e riporta la risposta di Siné alle accuse di antisemitismo.«Se la fidanzata di Jean Sarkozy fosse stata la figlia di un emiro – dice Siné – avrei scritto la stessa cosa. E così se fosse stata cattolica. Non sono antisemita, è una vita che mi batto per la tolleranza e contro ogni forma di razzismo. Porterò in tribunale chi mi accusa di antisemitismo», ha promesso il disegnatore, accusando fra l’altro il direttore e i colleghi che non gli hanno dato solidarietà di essere «dei leccapiedi»”.
“Ovvio il sospetto, da parte del vignettista – prosegue il Corriere – che dietro il suo licenziamento ci sia un altro genere di opportunismo: l’ossequio a Sarkozy. Non risulta che ci siano state pressioni da parte dell’Eliseo, nemmeno per smentire la vicenda matrimoniale di Jean, oggi impegnato in politica con un posto di responsabilità a Neully-sur-Seine. Ma essendo noti i rapporti non proprio idilliaci del presidente con le redazioni, le dichiarazioni di Siné hanno fatto lievitare polemiche”.

Sempre Il Corriere riporta, il 23 luglio, la mobilitazione di quasi 2 mila intellettuali a favore di Siné. Il direttore di Charlie Hebdo, si legge, “viene accusato di servilismo nei confronti del presidente, a dispetto dell’impeto intellettuale” di Siné, dell’umorismo e della sua apertura a tutti, ebrei, arabi o francesi che siano. Tra i firmatari della petizione, i disegnatori Willem, Pétillon, Phiippe Geluck, il filosofo Michel Onfray e l’umorista Guy Bedos”.
Nella stessa giornata sul Corriere si può leggere un’articolata riflessione del filosofo Bernhard Henri-Lévy sui mascheramenti dell’antisemitismo e sul capovolgimento di ruoli (“sbalorditivo”) che hanno finito per trasformare “l’affare Siné” nell’“affare Val”.
“Quel che conta – scrive – sono le parole. E quel che conta, al di là delle parole, sono la storia, la memoria, l’immaginario che esse veicolano e da cui sono ossessionati. Dietro quelle parole, un orecchio francese non poteva non udire l’eco del più acre antisemitismo”. “E quando vediamo un vecchio umorista che in effetti forse non sa veramente quel che dice manipolare significati che hanno sempre, ovunque, con implacabile regolarità, incendiato gli animi, l’atteggiamento giusto non è quello di minimizzare, ma di azionare subito quelli che Walter Benjamin chiamava «segnalatori d’incendio»”.
“E se questa volontà di ridere di tutto e di tutti, tranquillamente, senza ostacoli – prosegue – esprimesse solo la nostalgia dei bei tempi dello scherzo scurrile, salace, quando nessuno veniva ad attaccar briga se avevate voglia di scagliarvi contro i raton, gli arabi, gli youpin, i giudei, i pédé, i pederasti, e le donne?”. “Non penso – conclude il filosofo – che si sia «fatto troppo» sulla vicenda Siné. Per quanto minuscola appaia, è una delle «secrezioni del tempo» di cui Michel Foucault diceva che sono senza eguali per riflettere, compenetrare il malessere di un’epoca”.

Il 31 luglio sul Nouvel Observateur Jean Daniel in un lungo editoriale stigmatizza la riproposizione dello stereotipo che collega gli ebrei al denaro e s’interroga sui rischi dell’antisemitismo a sinistra. Le Monde, il primo agosto, riporta invece alcune passate affermazioni in cui Siné si dichiara antisemita e dà notizia di una petizione a sostegno del direttore di Charlie Hebdo Philippe Val che reca, tra le altre, la firma di Claude Lanzmann, Elisabeth Badinter, Bertrand Delanoe e Bernard Henri Levy.
La vicenda suscita interesse anche in Spagna dove Abc, in un articolo del 22 luglio, solleva alcune perplessità su aspetti a detta dell’articolista piuttosto oscuri relativi all’”onnipresenza della famiglia presidenziale francese”. Il 9 agosto, infine, El Mundo ripercorre l’intera storia con una serie di dettagli sul legame tra Jean e la fidanzata del tutto assenti dalla più compassata stampa italiana e francese. A chiudere, per certi versi in modo emblematico, la vicenda Sinè è un trafiletto di Repubblica che il 9 agosto riferisce del ritrovamento di una scritta antisemita che sul muro del tribunale di Neuilly-sur-Seine, piccolo comune dove il padre Sarkozy è stato sindaco, recita “Sarkozy, ebreo ladro”.

Daniela Gross