Rottamare, riciclare

Mi permetto di tornare sul tema già toccato ieri da Daniel Funaro da una prospettiva un po’ diversa. Non è mia intenzione esprimermi a favore o contro l’uno o l’altro personaggio della politica italiana, né è questa la sede per farlo. Devo dire però che trovo la metafora della rottamazione profondamente inquietante. Si parla di personaggi politici con la loro storia, le loro idee, le battaglie che hanno portato avanti, le cariche che hanno ricoperto. Dietro alla metafora della rottamazione c’è l’idea che si possa semplicemente prenderli e buttarli via, che sia opportuno eliminarli completamente dalle nostre vite come se non fossero mai esistiti. Un’immagine che va molto al di là di una generica, e tendenzialmente condivisibile, esigenza di cambiamento e rinnovamento. Esigenza sentita anche nell’UCEI e nelle nostre Comunità: è giusto e utile, infatti, che nei Consigli non siedano sempre le stesse persone, che, pur con la loro competenza e con i loro meriti, finiscono inevitabilmente dopo alcuni anni per cadere nell’abitudine e affrontare i problemi in modo stanco, statico, senza la capacità di immaginare soluzioni originali. L’arrivo di altre persone, con idee e competenze nuove, può rappresentare indubbiamente un’opportunità; a condizione, beninteso, che non si voglia buttare via per principio quanto di buono è stato fatto nel passato. Il problema a mio parere non è la persona in sé ma la persona sempre nello stesso posto. Se proprio si volesse una metafora legata all’idea degli scarti (che in sé non mi piace), più che di rottamazione si potrebbe parlare di riciclaggio: chi ha dato prova di onestà e competenza in un contesto potrebbe fare altrettanto in contesti diversi (politica locale, libri, giornali, fondazioni, ecc.) e non vedo perché si dovrebbe auspicare la sua completa sparizione, seppur metaforica. In particolare nel mondo ebraico, con i nostri piccoli numeri, nessuno si sognerebbe di “rottamare” le persone; ciascuno iscritto è troppo prezioso e gli incarichi sono molti: archivi e biblioteche, commissioni cultura o culto, gestione di centri sociali, visite guidate alle sinagoghe, interventi nelle scuole, attività per Israele e chi più ne ha più ne metta; è praticamente impossibile che un ex Presidente o Consigliere che abbia voglia di lavorare sia costretto a starsene con le mani in mano. Al di là delle metafore, chi ha lavorato in passato per la collettività non dovrebbe essere considerato un paria da evitare ma, anzi, una risorsa da sfruttare: una società che considera aver ricoperto una carica pubblica un marchio d’infamia dimostra di essere profondamente malata.

Anna Segre, insegnante