Dal Piemonte al Sudamerica
L’elezione di un papa in teoria non ci dovrebbe interessare più di tanto (o dovrebbe interessarci solo nella misura in cui la guida spirituale di più di un miliardo di persone può influenzare vicende politiche che ci stanno a cuore), eppure esiste anche un altro livello di coinvolgimento emotivo: quando vediamo rispecchiati nei cattolici, amplificati dai loro grandi numeri, sentimenti, emozioni, aspettative, timori che sono anche nostri. In questi giorni abbiamo davvero visto e sentito molti dei nostri stessi dibattiti e dilemmi. Per esempio la ricerca di un difficile equilibrio tra conservazione e innovazione, tra salvaguardia dei valori tradizionali e capacità di rispondere alle sfide del presente. Oppure (e per noi è un problema attualissimo) quale peso debba avere un’autorità centrale rispetto alle realtà locali. E dunque la riflessione su come siano mutati negli ultimi decenni gli equilibri internazionali e sulla perdita di peso dell’Europa (che per il mondo ebraico è in gran parte dovuta alla Shoah, ma di cui forse solo ora stiamo vedendo davvero le conseguenze). Noi ebrei torinesi, poi, non possiamo non identificarci con chi sa che sta per avere una nuova guida ma ancora non sa chi sarà e attende con trepidazione di conoscere un fatidico nome, soppesando ipotesi, valutando caratteristiche e potenzialità di ciascuno (per i cattolici questa attesa è finita mercoledì sera, per noi durerà fino a luglio); anche noi ci siamo trovati a discutere se sia importante che si nomini un italiano o se nella scelta debbano invece prevalere lo stile e le idee. E poi c’è ancora un altro inaspettato terreno comune: curiosamente tre anni fa la maggioranza del Consiglio della nostra Comunità, con la scelta di un Rabbino Capo di origine sudamericana, ci aveva dato l’occasione di riflettere su un continente così fisicamente lontano eppure culturalmente vicino, forse per certi versi più vicino di tanti paesi europei (la facilità con cui molti di noi si sono abituati alle derashot in spagnolo mi pare sottolineare simbolicamente questa vicinanza). Un continente che ha visto l’immigrazione massiccia di europei, italiani, piemontesi (come la famiglia del Papa), tra cui moltissimi ebrei. In particolare, per quanto ci riguarda, sono state soprattutto le leggi razziste del 1938 a spingere molti ebrei italiani verso Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, ecc. Alcuni sono rimasti là per sempre, altri sono tornati, molti membri delle nostre Comunità sono nati in Sudamerica o vi hanno vissuto per decenni, senza contare quanti di noi hanno parenti sudamericani. È un tema di cui non si parla spesso nell’Italia ebraica di oggi ma su cui forse vale la pena di riflettere: se il Sudamerica è vicino, per noi ebrei forse lo è ancora di più. Anche se in fin dei conti le provenienze geografiche non dovrebbero essere troppo rilevanti.
Anna Segre, insegnante
(15 marzo 2013)