umiltà…

Secondo il Midràsh, subito dopo la conclusione della costruzione del Mishkàn, Moshè non entra nel Mishkàn e solo la chiamata divina si decide ad entrarvi. In questo modo il Midràsh interpreta la prima parola della parashà di Vayikrà, cioè è Dio che chiama Moshè. Questo atteggiamento di estrema umiltà di Moshè spiegherebbe anche una particolarità di questa parola iniziale della parashà che nella Torà si scrive con una alef piccola. Moshè è descritto nella Torà contemporaneamente come il più grande dei profeti e l’uomo più umile. Questi due aspetti sono strettamente legati. L’umiltà non è scarsa coscienza del proprio ruolo e della propria grandezza ma senso di inadeguatezza che deriva paradossalmente proprio dalla coscienza del ruolo che ci viene assegnato. Maggiore la grandezza, maggiore la responsabilità. La coscienza della propria grandezza può portare in negativo al delirio di onnipotenza e in positivo a un’estrema umiltà.

Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano