Pesach…

Mi è sempre interessata la posizione del figlio “cattivo” (rashà) al tavolo del Seder. Mi domandavo come mai potevamo definirlo così e se si poteva applicare questa definizione qui, in Erez Israel. Le spiegazioni tradizionali mi erano senz’altro note, come ad esempio il commento di Rashì ad Esodo 13,8: “Il Signore operò in mio favore”. Qui vi è un’indicazione della risposta da dare al figlio “cattivo”, sottolinenando il fatto che ciò fu fatto “in mio favore” e non “in tuo favore”, perché se egli fosse stato presente [lett.: lì], non sarebbe stato considerato degno di essere liberato” (Nella traduzione di Rav S.J.Sierra). Una spiegazione interessante mi è stata data dal Rav Zvi Jehuda Kook, il quale sottolineava: “Se fosse stato lì” cioè in Egitto, nella Golà, dove purtroppo vi sono ebrei che si sentono staccati dall’ebraismo e dal popolo ebraico e che vanno per noi perduti giorno per giorno. Ma se fosse stato qui, in Eretz Israel, avrebbe partecipato anche lui al processo di redenzione: è molto più difficile all’ebreo che decide di venire qui, che lotta per l’indipendenza e la difesa di Israele, non considerarsi parte del popolo ebraico ed è doveroso per noi considerare questo fratello, come gli altri fratelli, parte integrale del processo di redenzione. Ma tutti noi dobbiamo sapere anche che non vi è vera libertà senza lavoro e sforzo per ottenerla e che il figlio più in pericolo ci sembra che sia quello indifferente. Moàdim lesimchà.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista

(28 marzo 2012)