Lisetta Carmi, fotografa dell’anima

Ha uno sguardo gentile Lisetta Carmi, ma quando racconta della sua vita e delle sue passioni ha la forza e la determinazione di chi ha sempre saputo cosa voleva. La musica, la fotografia e la ricerca spirituale hanno segnato alcuni momenti di svolta nella sua lunga biografia tessendo un ordito diretto ad un unico comune denominatore: la ricerca della verità. Nata a Genova nel 1924 da una famiglia ebraica, si dedica fin da bambina allo studio del pianoforte con il maestro Alfredo They e la musica diventa la sua unica consolazione dopo la promulgazione delle leggi razziste. Ritorna in Italia nel 1945 e solo allora viene a sapere delle persecuzioni, dei campi di stermino e della lotta partigiana, temi che assecondano una natura molto sensibile alle ingiustizie. Inizia la stagione dei concerti dopo l’esordio a Bayreuth, segue la Svizzera, l’Italia e Israele, verso cui avrà sempre una tensione culturale ma anche un atteggiamento critico. Decisa a partecipare a una manifestazione, viene redarguita dal suo maestro sul rischio di rovinarsi le mani. Lisetta Carmi decide che non sono più importanti del resto dell’umanità e smette di suonare. Accompagna in Puglia l’etnomusicologo Leo Levi e per l’occasione acquista la prima macchina fotografica. Quelle immagini documentarie la invitano a conoscere il mondo e a raccontarlo attraverso l’obiettivo. Totalmente autodidatta, Lisetta entra nel mondo della fotografia con grandi risultati. La prima palestra sarà il Teatro Duse di Genova dove viene assunta come fotografa di scena. Il primo grande lavoro engagé ”Genova porto: monopoli e potere operaio”. Sarà ancora Genova, con il cimitero di Staglieno, a offrire lo spunto per la raccolta Erotismo e autoritarismo a Staglieno, sulle sculture a corredo delle sepolture. Dopo una incursione nella metropolitana di Parigi (Metropolitain, 1965) inizierà il lavoro più conosciuto, sui travestiti della sua città. Sono immagini che documentano vite difficili nell’accettazione di sé attraverso gli occhi degli altri e con un profondo desiderio di normalità. L’Italia di quegli anni non è ancora pronta ad accogliere con serenità questo tema e il libro, concepito graficamente con grande modernità, fu troppo vero e diretto per essere accettato in un paese ancora bigotto. Nel ritratto si esprimerà un’altra caratteristica della sua produzione. Indimenticabili i ritratti di Ezra Pound: nei pochi minuti in cui il giornalista dell’Ansa Gaetano Fusaroli cerca di stabilire un contatto con il poeta, Carmi scatta alcune foto che raccontano la bellezza di un volto carico di una complessità intellettuale smarrita. Seguono viaggi e reportage in giro per il mondo fino a quando parte per l’India. Una serie di coincidenze la portano direttamente dal maestro spirituale Herakahan Baba, conosciuto come Babaji. Lisetta Carmi racconta l’incontro con il Baba come una rivelazione. Il suo nome diventa Janki Rani e la sua missione costruire un ashram a Cisternino, dove aveva acquistato un trullo. In questo periodo la vita dell’ashram e la ricerca spirituale la occupano a tempo pieno. Il ritorno alla fotografia e alla musica arrivano attraverso uno scritto di un allievo delle lezioni di pianoforte, Paolo Ferrari, che nel 1994 scrive Le lezioni dell’assenza. Le tematiche importanti nella vita di Lisetta Carmi, la musica, la fotografia, la ricerca spirituale arrivano a un momento di forte compenetrazione, creando un unico armonico che è la sua esistenza.

Susanna Scafuri, photo editor – Pagine Ebraiche maggio 2013

(26 maggio 2013)

(nell’immagine uno scatto tratto dal volume I Travestiti, Roma 1970)