Nugae – Enueg

matalonDi solito piacevoli solo per chi le pratica, meno per chi se le deve sorbire, in realtà anche nelle lamentele può esserci poesia. Il modo l’avevano inventato tempo fa i trovatori della lirica provenzale, quei teneri girovaghi medievali che s’innamoravano di donne mai viste e cantavano romanticherie in lingue antiche. L’enueg era infatti un tipo di componimento in cui venivano enunciate preoccupazioni quotidianissime e cosette fastidiose, un simpatico catalogo delle noie. La professoressa di lettere al liceo ne assegnò uno per compito come tema, ma da diciassettenne svampita evidentemente non mi sono concentrata abbastanza, rileggendolo saltano all’occhio troppe mancanze. Le commesse nei negozi che piantonano clienti spensierati per poi sfoderare un sorrisone e cortesia non richiesta: “posso aiutarla?”. No grazie, passa la voglia di fare acquisti, come coi buoni sconti di cinque euro che però sono validi solo se se ne spendono centocinquanta, è scritto in caratteri microscopici in un angolino stropicciato del foglietto. I braccioli della poltrona a teatro entrambi occupati da gomiti invadenti dei vicini e la nebbiolina d’imbarazzo che avvolge la platea quando un comico non fa ridere. Le urla delle litigate dei vicini di casa abbastanza forti da disturbare, ma non da distinguerne il motivo, e quelle delle persone al telefono, come se una maggiore distanza implicasse un volume più alto per comunicare. Il correttore automatico dell’iphone che nel ritardo più totale si permette di dire agli altri che “Sto arrivando!” e il fatto che ci sia chi non sa correggersi da solo. L’uso di “piuttosto che” piuttosto che “oppure”. Le virgole di troppo fra soggetto e predicato, e quelle dei numeri decimali. E ovviamente le malefiche frazioni e le temibili potenze. Lo sciampo che si apre in valigia e la tizia della pubblicità che lo usa e ha i capelli lisci effetto seta. Le spine delle triglie, le calorie della nutella, le briciole da raccogliere. Le macchie di vino sull’haggadah che si moltiplicano di anno in anno e quelle d’inchiostro sulle dita dopo aver preso appunti a lezione, ancora come da bambina. Ah e il famigerato tavolo dei bambini alle cene, che dai sondaggi risulta odiato da tutti i bambini. La spocchia dei Ciceroni e lo specchio dell’ascensore, sempre impietoso. I parcheggi, i vestiti e i denti stretti. Le maniglie e la cecità dell’amore. Gli aghi nei pagliai, le ciambelle senza buco, il prurito alle mani. Ma a dir la verità qui altro che poesia, solo una vera piattola.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF

(3 novembre 2013)