Qui Roma – Le grattachecche di sora Mirella
Gli amici e i famigliari la chiamavano affettuosamente “la carabiniera”. Per i romani era un’istituzione. A 78 anni è scomparsa “sora Mirella”, storica proprietaria del chiosco dell’isola Tiberina e considerata dai romani la regina della “Grattachecca”, la granita tipica della Capitale. Schiena diritta e tanto lavoro, Mirella Mancini era figlia di Enrico, un esempio di dignità e resistenza, antifascista della prima ora, assassinato dai nazisti nella strage delle Fosse Ardeatine.
Pe cinquant’anni sora Mirella ha presieduto con la sua ironia salace, propriamente romana, il suo chiosco a pochi passi dal Tevere. Qui romani e turisti venivano e vengono a rinfrescarsi dal caldo estivo e assaporano l’invenzione di casa, la grattachecca (dal grattare il blocco di ghiaccio da cui creare la granita) al lemoncocco. Un’istituzione, si diceva, che fu aperta nel 1915: quasi un secolo di storia, per una delle più antiche realtà di questa tradizione che fa della semplicità la sua bandiera (ghiaccio, sciroppo e frutta fresca). E fu nel dopoguerra che Mirella si lanciò in quest’avventura durata una vita, cinquant’anni a lavorare fino alle tre, le quattro a volte le cinque del mattino. “Era una filosofa da marciapiede”, ricorda con una battuta il nipote Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio. Una romana de Roma, si direbbe, con il vanto di aver avuto un padre coraggioso e dai solidi principi. Enrico Mancini non si piegò davanti al fascismo, in quella parata di camicie nere e violenza non vedeva opportunità ma un pericolo. Lui, ebanista di professione, che per la patria si era speso nella Prima guerra mondiale, diventando sergente maggiore del Genio e potendo appuntare al petto una medaglia di bronzo e una croce di guerra. Tornato dalla guerra, aprì in zona Porta San Paolo una falegnameria pronto a lavorare e crearsi una famiglia. L’avvento del fascismo però ne scombussolò i piani. Bussarono alla sua porta le camicie nere per costringerlo ad aderire al fascismo. Mancini rifiutò e per tutta risposta gli fu bruciato il negozio. Aveva sei figli e una famiglia da mantenere ma anche principi saldi da onorare. Nel 1942 sarà tra i primi ad aderire al Partito d’Azione. La sua attività, divenuta il commercio di mobili, era il viatico di informazioni dell’antifascismo romano. Testaccio, Ostiense, Garbatella, Mancini controllava e coordinava le attività clandestine della zona, entrando l’8 settembre nella Brigata Garibaldi. Uomo della Resistenza, diede aiuto ai perseguitati politici, nell’organizzare i militari sbandati, nel mantenere i collegamenti con i partigiani alla macchia, nel rifornire di armi e di materiale di propaganda i gruppi della Resistenza. Poi l’arresto, il 7 marzo del 1944: la banda Koch viene a prelevarlo in ufficio. Verrà portato nella Pensione Iaccarino e torturato per dodici giorni per ottenere informazioni sui compagni antifascisti. Non parlò. Il 18 marzo fu rinchiuso a Regina Coeli, in attesa di un processo che non ebbe mai luogo. Insieme a 334 persone, fu portato alle Fosse Ardeatine e fucilato il 24 marzo del 1944.