Fondazione Annenberg in campo per la dignità di Hopi e Apache
Gli ingredienti del giallo ci sono tutti, ma si tratta di una storia bella, lieto fine compreso. È di questi giorni la notizia che una fondazione americana si è aggiudicata molti lotti di una vendita all’incanto avvenuta presso Drouot, una casa d’aste parigina. Fino qui nulla di strano, ma molti dei pezzi in catalogo erano appartenuti a diverse tribù indiane d’America, e in particolare il valore di 27 opere avevano un valore enorme, non quantificabile: per esempio alcuni copricapo tradizionali degli Hopi e degli Apache San Carlos, noti come Katsinam. I Katsinam – e anche alcuni altri manufatti – non sono solo oggetti sacri per le due tribù, ma contengono ancora, secondo la tradizione, degli spiriti al loro interno. In effetti il governo americano aveva tentato, tramite la propria ambasciata, di fermare l’asta, e gli Hopi aevano fatto causa, cercando in tutti i modi di tornare in possesso delle proprie reliquie. Tentativi senza risultato, perché la casa d’aste aveva risposto che si trattava di lotto legittimamente messi all’asta da collezionisti, che possedevano gli oggetti da molti anni e avevano il diritto di venderli.
Ma esiste in Americana una fondazione nata nel 1989 grazie a Walter Annenberg, politico, diplomatico, e noto filantropo, la cui storia si intreccia con quella di alcune vicende anche controverse in cui decise di utilizzare il suo impero editoriale per influenzare l’opinione pubblica, sia nell’ambito della politica locale, ma anche per portare avanti, per esempio, una campagna contro il maccartismo. Sempre attivo nelle istituzioni ebraiche, a partire dalla sua affiliazione al Zeta Beta Tau durante gli anni del college, è noto per aver contribuito con cifre notevoli a tenere in vita o a far crescere scuole, ospedali, librerie, teatri che in tutti gli Stati Uniti portano il suo nome. Sempre animato dall’idea che “l’educazione è quello che tiene insieme la civiltà”, ha donato la sua collezione di impressionisti al Metropolitan Museum of Art di New York, e ha finanziato università e centri di studi, oltre a fondare – ovviamente – una scuola di comunicazione e giornalismo che porta il suo nome. Le attività della Fondazione Annenberg, alla sua morte avvenuta nel 2002, sono state portate avanti dalla famiglia, e nel caso delle reliquie degli Hopi la decisione è stata di investire un milione di dollari nel tentativo di recuperare i manufatti.
Leonard Aube, direttore esecutivo della fondazione, ha però deciso di agire in totale segretezza, nel timore che l’operazione potesse fallire, perché se si fosse saputo del tentativo di recupero i prezzi sarebbero saliti alle stelle, e forse la stessa casa d’aste avrebbe bloccato la vendita per non penalizzare gli altri acquirenti. Neppure gli Hopi sono stati informati, e un team di alcune persone ha seguito l’asta, anche grazie a un emissario, l’ avvocato francese Pierre Servan-Schreiber, delegato a seguire l’operazione dall’interno della sala. L’unica informata era l’ambasciata americana, per evitare che creasse ostacoli. Gli agenti della fondazione hanno così potuto fare le loro offerte, e i pezzi più preziosi sono stati acquistati, per una cifra complessiva di circa mezzo milione di dollari, nonostante il direttore dell’asta si fosse a un certo punto insospettito e avesse cercato di indagare sui misteriosi acquirenti. Gli Hopi intanto seguivano l’asta, convinti che avrebbero perso per sempre dei pezzi importanti della loro storia.
Solo alla conclusione dell’asta sono stati chiamati, e informati che in breve tempo tutte le opere torneranno in Arizona.
Grazie alla generosità di un grande filantropo ebreo, che sosteneva che “non si può essere soddisfatti della propria vita a meno che non si contribuisca a fare del bene”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(20 dicembre 2013)