#EyalGiladNaftali – Con la forza delle madri

Jacqueline fellusRachel, Rachelle, Racheli, pur se in varie declinazioni il suo nome è noto in tutto il mondo, quanto quello di suo figlio e degli altri due adolescenti che sono stati seppelliti ieri pomeriggio. Madre di Naftali, il sedicenne che amava la pallacanestro ed era di casa anche a Brooklyn, Rachel Frankel è stata in questi giorni capace di rappresentare al mondo le famiglie dei tre ragazzi. Con forza, con coraggio, ha portato alta la sua voce di fronte al Consiglio generale di diritti umani dell’ONU a Ginevra, dove – accompagnata dalle madri di Eyal e di Gilad – è andata a domandare se non è diritto di ogni ragazzo, di ogni ragazza, di poter tornare a casa da scuola, sano e salvo.
Tre famiglie unite da storie simili , storie di normalità, padri e madri che lavorano, che si impegnano per le rispettive comunità e che crescono i propri figli. Il loro incontro con la missione di solidarietà partita da Roma, quando ancora c’era speranza, è avvenuto subito dopo il ritorno da Ginevra. Jacqueline Fellus, partita in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, era rimasta particolarmente colpita dall’accoglienza riservata alla delegazione soprattutto da parte delle tre madri: “Me le aspettavo distrutte dal dolore, disperate, arrabbiate e invece ho abbracciato tre donne forti di una immensa fede, capaci di affrontare la situazione con dignità e con speranza”. Nel tentativo di portare solidarietà, affetto, un poco di calore e di speranza erano stati numerosi gli italiani, giunti appositamente o residenti in Israele che si erano ritrovati a Kfar Etzion. Nella grande sala le tre madri “sembravano sorelle: l’immagine di loro tre, che sta girando il mondo, rispecchia un senso di vicinanza e condivisione reale, fortissimo”. “Ancora non sapevamo che per Eyal, Gilad e Naftali non c’era più speranza possibile – continua Jacqueline Fellus – e ho chiesto loro di non smettere di urlare, perché le loro parole parevano capaci di sfondare tutte le barriere, di arrivare direttamente al cuore”.
Un punto sottolineato anche dal presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici: “Penso che si tratti di donne straordinarie che hanno saputo, anche nel dolore, insegnarci cose importanti. Non è la prima volta che la comunità romana si reca in missione di solidarietà in Israele, purtroppo, e siamo sempre arrivati rapidamente in situazioni drammatiche, ma questa volta la condivisione di dolore, pensieri, emozioni e anche immagini degli incontri è stata ancora più forte e più immediata, grazie anche ai social network”. La necessità di condividere preoccupazione e poi dolore ha in effetti portato a diffondere con grande intensità parole e immagini, ma anche sfoghi di rabbia e orrore. Per Pacifici “Ritengo che andrebbe riconosciuto il grande insegnamento delle madri di Eyal, Gilad e Naftali: anche nella tragedia che le stava colpendo hanno tenuto una posizione molto netta, ripetendo con forza che due cose preoccupavano molto loro e le loro famiglia. Sono stato davvero colpito dalla chiarezza con cui hanno rifiutato anche la sola idea di poter liberare dei terroristi in cambio dei loro ragazzi: ‘Come potremmo mai guardare in volto altre madri, altri padri, se uno di loro, una volta liberato, portasse a compimento un gesto simile a quello che ci ha portato via i nostri figli?’”.
E non era l’unica preoccupazione: nei pensieri, nelle preghiere, sono sempre stati presenti anche tutti i giovani impegnati nelle ricerche. “Il loro istinto materno riusciva anche in quelle ore a comprendere i figli degli altri insieme ai loro, a preoccuparsi per i rischi che stavano correndo altri ragazzi”, ha aggiunto Pacifici. Era stato organizzato un viaggio a Roma, e i genitori dei tre rapiti avrebbero dovuto essere in Italia il sei e il sette luglio, accolti dalla comunità ebraica, per un momento di preghiera comune e poi per una lunga serie di incontri istituzionali importanti. Ci sono stati invece tre funerali, cerimonie che pur partendo da luoghi diversi hanno portato Eyal, Gilad e Naftali ad essere seppelliti l’uno accanto all’altro. “Sarebbe potuto succedere a uno qualsiasi dei nostri ragazzi, sono tanti quelli che vanno a studiare in Israele, ne ho incontrato uno proprio a Nof Ayalon, nel corso della missione, un quattordicenne romano che vi studia. Penso che dovremmo intitolare a Eyal, Gilad e Naftali delle aule studio in tutte le scuole ebraiche, nei Talmud Torah e nelle scuole rabbiniche, perché il loro nome e la loro memoria restino con noi, restino ad accompagnare i nostri ragazzi, che ancora possono studiare”.
Un sentimento condiviso dalla redazione del giornale dell’ebraismo italiano, che già ieri mattina aveva deciso di intitolare ai tre giovani il laboratorio giornalistico che si svolge ogni anno a Trieste, nella seconda metà di luglio. Perché – come ha dichiarato il coordinatore Informazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale – Redazione aperta è sempre stata un luogo di incontro e formazione per i giovani ebrei italiani. E “Il dolore di questi giorni deve donare nuove energie alla gioventù ebraica e chi lavora nelle istituzioni ebraiche deve impegnarsi come non mai perché fra i nostri giovani mai prevalgano la paura e lo scoraggiamento.”

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(1 luglio 2014)