Qui Roma – Il sinodo della donne

marisa patulliMentre i vescovi si riunivano per discutere della famiglia, l’associazione Sound’s good metteva in scena, sullo stesso argomento, un altro Sinodo, quello delle donne: l’altra faccia, più silenziosa e marginale eppure basilare ed essenziale, di un confronto su un tema di cui se non le donne, chi deve parlare? E se non donne diverse, di estrazione, cultura, credenze e competenze, chi meglio può rappresentare la varietà delle voci e dei punti di vista della nostra ben complessa società? E se non loro, chi può includere nel confronto anche l’altra voce, compresa quella maschile? Donne e uomini si sono alternati per due lunghe giornate in uno spazio comune, per discutere uno dei temi più spinosi del momento. Abbiamo chiesto a Marisa Patulli Trythall, ideatrice e organizzatrice del “Sinodo delle donne”, di raccontarci questa esperienza:

Perché e come si è arrivati al sinodo delle donne sulla famiglia?

“Io ti ribalto subito la domanda: com’è possibile che in tutti questi secoli le donne non abbiano pensato di far convergere il proprio variegato, ma precipuo modo di pensare, in un’agorà specifica che rendesse evidente al resto dell’umanità, quanto importante, multi direzionale, profonda e allo stesso tempo leggera e impalpabile sia la natura femminile. In realtà la storia, in ogni sua epoca, ha conosciuto momenti di aggregazione al femminile, per cercare di trovare uno spazio di ‘distanza’ dal vivere quotidiano segnato drasticamente dal dominio più segnatamente maschile. Ne abbiamo esempi infiniti dai primi agglomerati umani, per far fronte alle ‘specificità’ temporali femminili, per il parto, per la preparazione alla coabitazione con il maschio. Perfino nell’Olimpo mitologico si configurano luoghi e momenti al femminile, con specifici poteri o privilegi. Nelle ‘corti d’amore’ e giù fino alla presa di coscienza di classe del XIX secolo e a quella della specificità delle attese femminili: non solo emancipazione, ma liberazione da schemi retrivi, non accettati per arrivare ad essere e non solo ad apparire parte di uno schema predefinito. E come ho avuto modo di affermare nel convegno, dobbiamo riappropriarci del senso delle parole, del loro significato, non dando nulla per scontato. E Sinodo, parola acquisita dal greco, sta per ‘cammino insieme’, dunque un cammino comune: e chi, se non le donne, ha in ragione della propria capacità multi-tasking, una storia di cammino comune che mantiene solido anche il retaggio di cultura e memoria del passato? Dunque prima di un Sinodo dei Vescovi si deve pensare a sapere, sviluppare, e capire, cosa pensino, desiderino, intendano fare, le donne, la metà dell’umanità al posto della quale un’assemblea maschile (per sua scelta celibe, dunque sterile rispetto alla capacità procreativa) deciderà i modi e i tempi dell’appartenenza a una comunità di fede e le modalità di fruizione del quotidiano”.

Che rapporto c’è con il sinodo dei vescovi?

“Il rapporto con il Sinodo dei Vescovi è, naturalmente, solo indiretto per le ragioni sopra esposte. Le studiose, le teologhe, le religiose di fedi diverse, che sono intervenute, hanno illustrato i tanti diversi modi nei quali si possa leggere o ri-leggere le scritture, i testi fondamentali di ciascuna comunità religiosa. Dunque c’è un dialogo a distanza che tende a far comprendere come sia importante confrontarsi sui temi comuni, con lealtà, ma anche con parità di partecipazione e azione modificatrice, e come non sia il confronto e l’analisi comune che minano le basi di retaggi secolari, al contrario: lo è il cristallizzarsi nell’applicazione di limiti, censure, chiusure, rimaste immutate. La codificazione dell’immobilità non fermerà il movimento di nessuno e nelle più varie direzioni. Rifiutarsi di parlare di ciò che possiamo non gradire, o non voler accettare, non ne farà scomparire gli effetti. Dunque, senza nessun senso di superbia, credo che il “Sinodo delle Donne” sia stata un’articolata e puntuale conversazione a distanza, durante la quale sono state rese evidenti le radici più arcaiche della differenza uomo-donna; si è ripercorso il cammino tortuoso della coscienza di sé e quella del momento di perdita del rilievo sociale, fino all’oggi alle voci che parlano con cognizione e partecipazione della imprescindibilità del contributo femminile al culto, alla teologia, alla comunità religiosa, fuori dalle gabbie e dagli schemi che hanno imbrigliato il contributo femminile alla lettura e accettazione della realtà nella comunità di fede, così come nella società”.

Che cosa ha differenziato il sinodo dalle altre iniziative sulla donna?

“La domanda implicita, che attendeva di formarsi nel contributo di ognuna delle partecipanti, era: il nostro cammino nella storia ci ha messe in grado di fornire risposte diverse, credibili e attuabili anche nello specifico della comunità più selettiva e chiusa, quella religiosa? E se sì: perché la nostra voce continua a contare di meno?”.

Che cosa è emerso secondo te di particolarmente significativo?

“Certamente il rinnovato piacere delle donne di partecipare, di offrire il proprio speciale punto di vista e di poterlo argomentare con gli stessi strumenti che per secoli sono stati ritenuti appannaggio dello studio e dell’approfondimento maschile dei testi sacri. La ricerca del confronto dialettico, senza più il bisogno di interpretare un ruolo riconoscibile socialmente. Ciò che abbiamo ascoltato è stata la sintesi chiara, di studiose in grado di interloquire per ore, per giorni, su quegli stessi argomenti e di poterlo fare, inoltre, senza abdicare a nessuna delle proprie specificità e prerogative”.

Cosa può dare in più un sinodo delle donne rispetto a quello dei vescovi, secondo te?

“Il punto di vista della metà dell’umanità che l’altra ha semplicemente ignorato, limitandosi a categorizzarla e indirizzarla per secoli, non conoscendone e riconoscendone che le manifestazioni esteriori e tangibili, ma ignorandone completamente il sentire e la vastità delle prerogative di intervento?!”.

Che cos’è Sound’s good?

“Un’associazione culturale senza fini di lucro che opera come tale da circa 11 anni, ma i cui soci hanno collaborato e realizzato progetti comuni ancora prima e sempre con una formula interdisciplinare, vale a dire facendo convergere su un argomento (o un soggetto) dato, i contributi scritti, o gli interventi diretti o le azioni specifiche di istituzioni, studenti, scuole, docenti universitari, ma anche di artisti o di religiosi, tutti incontrandosi su un terreno terzo, diverso dall’usuale ambito di azione nel quale operano. Questo è stato, e resta, il segno distintivo, se così lo vogliamo chiamare, la mission, o il brand, dell’associazione culturale Sound’s good. Già nel nome abbiamo trovato un significato successivo, a posteriori, del genere: ‘Come ti sembra questo titolo, questa definizione?’ Cultura? Il suono è buono, the sound'(i)s good, sì è buono, funziona!”.

Progetti per il futuro?

“Sempre e tanti: dall’evoluzione di temi la cui trattazione è iniziata e si è evoluta in questi anni, all’apertura di nuove aree di approfondimento, per trovare modi sempre nuovi di sorprendere l’interlocutore, sia esso una studiosa, un accademico, un filosofo, un religioso, una femminista storica o un politico. Comunque facendo confluire nella disamina i saperi di diversa provenienza e, all’interno della stessa, le posizioni più varie, espressione dei diversi modi di aderire alla realtà che ognuno di noi si ritaglia (o che modella) nella realtà in cui è prevalentemente incastonato. Pubblicare entro l’anno gli atti di questo convegno e convocare una conferenza di medio termine per elaborare un documento finale che diventi, semplicemente, il canovaccio da cui ripartire per un futuro di partecipazione attiva in tutte le comunità religiose, per superarne le barriere astoriche”.

(nella foto Marisa Patulli Trythall)

Ilana Bahbout

(23 ottobre 2014)