Qui Milano – Interrogarsi sull’identità ebraica
Chi è ebreo? Questo il quesito al centro degli ultimi due incontri di Kesher a Milano, e del saggio da cui prende spunto il dibattito intrapreso, dal titolo “Cosa significa essere ebreo? 50 Saggi rispondono a Ben Gurion”, tradotto in italiano dal francese a cura dell’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas e pubblicato in ebook da Proedi (Milano). A tentare di dare una risposta ieri sera rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Simone Mortara, consigliere della Comunità ebraica di Milano, e rav Paolo Sciunnach, insegnante alla Scuola delle Comunità. Il libro preso in esame, scritto nel 2001, si compone di un saggio del professore dell’Università di Tel Aviv Eliezer Ben Rafael intorno a questo quesito posto da appunto da David Ben Gurion nel 1958 a una cinquantina di intellettuali di tutto il mondo, definiti “Saggi di Israele”, per definire la Legge del Ritorno, e di un documento inedito che raccoglie le cinquanta lettere che Ben Gurion ricevette in risposta alla sua cruciale domanda. “Il nostro incontro intende fare altro: assumere il quesito posto a intellettuali, rabbini e leader politici di diverse parti del mondo, per ricordare un evento storico di grande portata culturale e riproporre lo stesso interrogativo a persone di diversa formazione e sensibilità”, ha spiegato rav Della Rocca. Nel corso della serata il rav ha delineato una risposta che prende in analisi in prima istanza le regole della halachah, in particolare per quanto riguarda le conversioni. Specificando che la conversione oltre che una richiesta da fare al rabbino deve essere una richiesta da fare alla Comunità, che deve essere pronta a dare al convertito gli strumenti per rispettare l’halachah e accoglierlo come una famiglia. “L’ebraismo non ha nulla a che vedere con la purezza del sangue: un uomo non vale per ciò che è, né per ciò che ha, ma esclusivamente per ciò che fa”, ha concluso Della Rocca, esprimendo così quanto è importate il rispetto delle norme halachiche per la Comunità. Volutamente al di fuori della halachah è stato invece l’intervento di Simone Mortara, che ha dato al pubblico una panoramica di tipo sociologico sull’ebraismo mondiale, prendendo in esame le diverse definizioni che gli ebrei danno di se stessi, ma soprattutto le diverse denominazioni l’ebraismo e il senso di appartenenza a organizzazioni comunitarie. “I numeri evidenziano che coloro che hanno una forte identità ebraica e che sono iscritti e dedicano tempo a queste organizzazioni sono una minoranza, ma che i giovani si definiscono più consapevoli rispetto alle generazioni passate”, ha rilevato Mortara. E proprio sul concetto di identità ebraica si è concentrato Paolo Sciunnach, un campo da lui definito poliedrico ma all’interno del quale è in realtà possibile mettere dei paletti. “L’identità ebraica è data da un equilibrio di diverse componenti, all’interno delle quali una sola non dipende dalle altre ma da essa tutte quante dipendono, e si tratta dello studio della Torah”, capace secondo il rav di guidare gli individui nel rapporto con la divinità, con Israele e con il proprio popolo. A conclusione della serata, una schermata mostrata al pubblico da Mortara, con una citazione da una lettera di Dante Lattes che dava la sua opinione in merito alla questione dell’iscrizione a uno stato civile come la cittadinanza israeliana e il suo rapporto con la religione, sostenendo che le due cose non abbiano nulla a che fare l’una con l’altra. “Queste righe suggeriscono che un possibile ponte con la halachah può dunque forse essere proprio l’educazione dei figli nello spirito ebraico”, così Mortara ha voluto terminare l’incontro. Il dibatto tuttavia è tutt’altro che concluso, e andrà avanti negli incontri di Kesher delle prossime settimane.
Francesca Matalon
(28 ottobre 2014)