Qui Trieste – Tra mondi nuovi e mondi perduti
Il convegno “Il valore del ricordo”, conclusosi venerdì a Trieste ha offerto la possibilità di osservare la memoria attraverso un prisma che ne proietti i molteplici aspetti dando un senso di vertigine per la complessità che traspare, ma ha indicato anche con chiarezza la realtà di un qualcosa di universale e comune ad ogni popolo e in ogni tempo. Storici, antropologi, filosofi, economisti, psicoanalisti, neuroscienziati si sono alternati sollecitando la riflessione del pubblico su un argomento che è assolutamente fondamentale nella vita di ognuno di noi, perché ci condiziona nel profondo, generando conflitti interiori che si esprimono nelle nostre azioni quotidiane, emergendo a volte anche in modo improvviso e violento. Gli oggetti lasciati, conservati, ritrovati, diventano così simbolo di mondi perduti, paradisi sognati che mescolano i ricordi vissuti con quelli narrati, creando labirinti di specchi dai quali non sempre si riesce a trovare la via d’uscita. Beni che, quando sono immateriali, come le ideologie collettive o le esperienze individuali, possono essere ancora più difficili da maneggiare perché più delicati, ma anche perché evocano il ricordo di lacerazioni molto più profonde. E allora viene in mente Tzvetan Todorov, il filosofo e linguista bulgaro, ma anche tanto altro, naturalizzato francese, citato nel corso del convegno e presenza implicita nei discorsi di tanti relatori, quando parla della condizione di “spaesato”, in cui avverte “sia la partenza dal paese d’origine sia lo sguardo nuovo, diverso, sorpreso, che si getta sul paese di accoglienza”, che può essere vissuta non come impoverimento, ma come ricchezza. Ricchezza provocata da una perdita, che può portare a nuove opportunità, ma che, paradossalmente, necessita di una grande chiarezza delle proprie radici per potersi sviluppare in una terra altra, reale o metaforica,richiedendo l’accettazione del trauma subito per poter trarre da esso il nutrimento necessario per vivere nel “nuovo mondo”. Memoria che, quando si riduce a sterile nostalgia, paralizza e risucchia tutte le energie che sarebbero invece necessarie per affrontare le nuove situazioni.
A conclusione dei lavori Konstantin Akinsha, che opera all’interno della Galerie Belvedere di Vienna e che aveva parlato della restituzione del patrimonio culturale e artistico, ha proposto una possibile prosecuzione, accolta da Alessandro Treves della Sissa, ultimo moderatore del convegno: un dibattito sulla necessità che si realizzi un senso di responsabilità collettivo, che faccia da motore e diventi occasione per un incontro verso un dialogo vero fra gli individui. Perché ognuno di noi, in un modo o nell’altro, si è trovato ad essere sradicato da qualcosa di importante e necessario è può dare il proprio contributo a favore delle nuove generazioni.
Paola Pini
(9 novembre 2014)