Qui Trieste – L’inciampo della Memoria
Per la prima presentazione italiana di “Trieste” è stata scelta la città che dà il titolo a questo “romanzo documentario”.
Per la sua realizzazione Daša Drndić ha impiegato due anni, alternando la ricerca a una scrittura che richiese a sua volta, in modo costante, il recupero di altro materiale, altri tasselli da inserire, in un continuo moto circolare. Nella sala Auditorium del Museo Revoltella, dopo il saluto dell’assessore Antonella Grim in rappresentanza dell’amministrazione comunale e la presentazione di Alessandro Mezzena Lona, di circolarità si è parlato a lungo, soprattutto grazie a Mauro Covacich che, ben cogliendo lo spirito del testo, lo ha definito una costellazione di giganti, con i quali il ventesimo secolo è stato affrontato frontalmente attraverso la narrazione della storia di una persona qualunque, in cui il lettore quasi inciampa. Inevitabile allora il riferimento a Gunter Demnig, l’ideatore delle Stolpersteine, le pietre d’ottone che impongono un triplice omaggio alle vittime ricordate: l’ottone lucido fa fermare chi le incontra impedendogli di passarci sopra; si è obbligati a inchinarsi di fronte ad esse per poter leggere il nome e le date incise; infine, chi le calpestasse ne aumenterebbe la lucidità.
Si è parlato anche di opposti o piuttosto, di contraddizioni apparenti. Una per tutte: il racconto inizia e termina a Gorizia, ma il titolo delle edizioni anglo-americana e italiana è “Trieste”.
Non ci si poteva limitare al romanzesco ed ecco il rimando al lunghissimo documentario “Shoah” di Claude Lanzmann (613 minuti) e alla narrazione di Sebald, ma quando la prosa non riesce ad articolare più un pensiero, ecco venire in soccorso il canto della poesia, saltando da Paul Celan a Ezra Pound, da Saba a Ungaretti e a molti altri.
Legata all’importante rimando al progetto Lebensborn, presenza pesante nella storia narrata, inevitabile la richiesta pronunciata da una persona del pubblico che, con le sue parole, sembrava dar voce a qualcosa che giaceva ancora inespresso in sala, la questione dell’identità. La risposta di Daša Drndić è stata una serie di domande rivolte ad ognuno dei presenti: chi siamo veramente, tutti noi? Qual è la nostra vera identità? Quale ci fa sentire veramente bene nella nostra pelle? Il nome? Il cognome? La provenienza? La lingua madre? O piuttosto una costellazione di piccoli elementi troppo spesso in contraddizione fra loro, molti dei quali a noi stessi sconosciuti?
Sullo sfondo, alle spalle dei relatori Covacich ha efficacemente richiesto che fosse esposta un’immagine dell’opera “Sternenfall” di Anselm Kiefer e, ad apertura e chiusura della presentazione alcuni brani tratti dal libro sono stati letti con gran coinvolgimento da Lučka Počkaj.
Paola Pini
(29 gennaio 2015)